Ermanno Pavesi, Cristianità n. 404 (2020)
L’emergenza sanitaria in molti Stati, con i problemi legati alla strategia da seguire fra la necessità di evitare una nuova ondata e quella di non ostacolare il ritorno alla normalità, ha posto in secondo piano alcune questioni come l’origine del virus e la gestione delle prime fasi dell’epidemia, che anche se attualmente possono apparire puramente accademiche, d’altra parte sono di grande importanza per capire se sono stati commessi errori che hanno avuto conseguenze drammatiche a livello globale.
Epidemie nella storia
La contagiosità di determinate malattie è nota fin dall’antichità. Nella Bibbia, il libro del Levitico prescrive che il sacerdote debba ordinare l’isolamento per sette giorni della persona con piaghe sospette e, una volta diagnosticato il morbo, il malato doveva rendersi riconoscibile esteriormente e gridando «impuro, impuro» (cfr. Lev., 13, 1-59).
Mentre nei primi secoli dell’era cristiana le istituzioni caritatevoli, sorte nell’ambito della diaconia, non distinguevano particolarmente fra i vari tipi di sofferenza e di necessità, come malati, poveri, anziani e orfani, dopo la nascita dei primi ospedali nel secolo IV — il primo ospedale della storia è stato il Basiliano, fondato da san Basilio di Cesarea, detto il Grande (330 circa-379) vicino alla città di cui era vescovo (1) —, avviene una specializzazione dell’assistenza. Il Concilio di Lione del 583, per esempio, prescriveva ai vescovi di assumersi il mantenimento dei lebbrosi e in questo modo sono sorti lebbrosari in tutti i Paesi cristiani. Il distanziamento sociale era garantito dalla localizzazione dei lebbrosari lontano dai centri abitati e dal fatto che i malati dovevano farsi riconoscere, per esempio battendo due bastoni o con il suono di una campanella.
Il progressivo aumento della mobilità delle persone nel tardo Medioevo ha favorito la diffusione di malattie infettive che hanno avuto un impatto considerevole sulla vita sociale. Epidemie di peste, per esempio, si sono verificate in Europa per quasi quattro secoli: arrivata a Costantinopoli e a Genova nel 1347, la peste non viene più segnalata dopo il 1721. «In Francia fra il 1347 e il 1536 J.-N. Biraben ha accertato 24 ondate principali, secondarie e collaterali di peste in 189 anni, vale a dire press’a poco una ogni otto anni; in un secondo periodo che va dal 1536 al 1670, se ne contano 12 (una ogni 11,2 anni)» (2). Per la cura e l’isolamento dei malati furono costruiti ospedali fuori dalle cinte murarie, localizzati spesso tenendo conto che le malattie infettive venivano diffuse per lo più da viaggiatori provenienti da sud-est, come è ancora documentato dalla toponomastica di alcune città, quali quelle dell’Emilia. Percorrendo la via Emilia da sud verso nord, alcuni chilometri prima di arrivare alle porte della città esisteva un lazzaretto, con una chiesa dedicata a san Lazzaro: i lazzaretti non esistono più, ma al loro posto si sono sviluppati quartieri che portano ancora il nome di San Lazzaro.
Le epidemie di peste con la loro frequenza, e quasi regolarità, non solo hanno avuto un grande impatto sulla società europea, ma hanno anche costretto ogni persona a confrontarsi drammaticamente con il problema della caducità dell’esistenza umana e della morte. Il tema della morte compare anche nelle arti figurative con le rappresentazioni delle Danze Macabre e nella letteratura con il genere dell’arte di ben morire, l’ars moriendi.
In Europa si sono verificate epidemie anche nei secoli successivi, per esempio di vaiolo, di poliomielite e d’influenza «spagnola». A livello mondiale non si deve dimenticare la sindrome da immunodeficienza acquisita, il cui acronimo è SIDA o, in inglese, più noto, AIDS: secondo i dati dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) nel 2019 sono decedute 690.000 persone per patologie collegate a questa infezione (3). I primi contatti fra europei e popolazioni indigene hanno provocato diverse epidemie di vaiolo, influenza e morbillo, che in alcuni casi hanno decimato tali popolazioni.
Epidemie e senso della sofferenza
Epidemie, e più in generale malattie e sofferenze, pongono anche questioni sul senso della sofferenza, come ha scritto san Giovanni Paolo II (1978-2005): «All’interno di ogni singola sofferenza provata dall’uomo e, parimenti, alla base dell’intero mondo delle sofferenze appare inevitabilmente l’interrogativo: perché? È un interrogativo circa la causa, la ragione, ed insieme un interrogativo circa lo scopo (perché?) e, in definitiva, circa il senso» (4); un interrogativo che, per il credente, investe anche questioni religiose e teologiche sul senso della sofferenza, individuale e collettiva, all’interno dell’economia della salvezza. San Giovanni Paolo II, dopo aver descritto «[…] la dottrina espressa in altri scritti dell’Antico Testamento, che ci mostrano la sofferenza come pena inflitta da Dio per i peccati degli uomini» (5), ricorda il caso di Giobbe, vittima senza una sua colpa particolare di molte sofferenze, per sottolineare che esiste una relazione di fondo tra sofferenza umana e peccato, in quanto sofferenza e morte sono entrate nella storia con il peccato originale, e che malattia e sofferenze non dipendono sempre anche da peccati concreti: «Il male, infatti, rimane legato al peccato e alla morte. E anche se con grande cautela si deve giudicare la sofferenza dell’uomo come conseguenza di peccati concreti (ciò indica proprio l’esempio del giusto Giobbe), tuttavia essa non può essere distaccata dal peccato delle origini, da ciò che in san Giovanni è chiamato “il peccato del mondo” (Gv, 1, 29), dallo sfondo peccaminoso delle azioni personali e dei processi sociali nella storia dell’uomo. Se non è lecito applicare qui il criterio ristretto della diretta dipendenza (come facevano i tre amici di Giobbe), tuttavia non si può neanche rinunciare al criterio che, alla base delle umane sofferenze, vi è un multiforme coinvolgimento nel peccato» (6).
Come raccomandava san Giovanni Paolo II, è necessaria una «grande cautela» nel giudicare le responsabilità personali e sociali in caso di sofferenze individuali o collettive, sia che si tratti di un peccato secondo la morale cattolica, sia di errori umani o di comportamenti dannosi per il bene comune. Ciò deve valere anche per l’analisi dell’epidemia di COVID-19, ma spesso commenti e interpretazioni non sembrano mostrare una grande cautela, fornendo piuttosto un’interpretazione unica e spesso ideologica.
COVID-19: un’epidemia non inaspettata
Dopo l’epidemia della SARS, la sindrome respiratoria acuta grave, del 2002-2004, scienziati e autorità sanitarie erano convinti che lo scoppio di una nuova epidemia, con il rischio di una pandemia, sarebbe stato solamente una questione di tempo. Questo era anche il parere dell’Ufficio Federale della Sanità Pubblica svizzero, che sul suo sito ha scritto: «Dato che non si può negare l’ipotesi che il Coronavirus associato alla SARS o Coronavirus simili continueranno a manifestarsi in diversi tipi di animali selvatici o domestici, non si può escludere che a un certo punto tali virus si trasmetteranno dall’animale all’uomo, innescando di conseguenza una nuova epidemia, come fu il caso nel 2012 con il MERS-CoV (Middle-East Respiratory Syndrome-Coronavirus), o una pandemia» (7).
A livello internazionale sono state condotte ricerche mirate sui coronavirus per migliorarne la conoscenza e per essere preparati nel miglior modo possibile a una nuova epidemia. Questi studi sono stati condotti anche in Italia, per esempio dall’equipe del professor Diego Forni, che nel 2017 ha fatto il punto sulle conoscenze sul coronavirus, precisando: «Gli sforzi per evidenziare i determinanti genetici virali che favoriscono la trasmissione interspecie dovrebbero essere perseguiti come una strategia efficace per prevenire o preparare la futura emergenza di HCoV [human coronavirus]» (8). Le due citazioni mostrano che da anni esiste la chiara consapevolezza del rischio di epidemie di nuovi coronavirus e del fatto che possono assumere il carattere di pandemie e rappresentare una grave sfida per i sistemi sanitari.
Incertezze per prevenzione e terapie all’inizio di una nuova epidemia
Già nelle fasi iniziali della presente epidemia non sono mancate raccomandazioni di applicare terapie con un’efficacia dimostrata scientificamente. Una semplice classificazione del NIH, il National Institut of Health, degli Stati Uniti d’America che distingue tre livelli di vincolatività delle raccomandazioni delle terapie mostra l’ingenuità di una tale pretesa. Essi sono: 1) opinione degli esperti; 2) uno o più test ben progettati, ma senza gruppi di controllo o studi basati sull’osservazione del decorso di un gruppo; 3) uno o più studi randomizzati con risultati clinici e/o validati in laboratorio (9).
Ogni nuova epidemia pone problemi nuovi: non si hanno ancora conoscenze certe sull’agente patogeno e sulla sua aggressività, e quindi mancano ancora certezze tanto sulle misure preventive quanto sulle terapie. In questi casi si può provare ad adottare strategie che si sono mostrate efficaci in casi analoghi o se ne possono curare selettivamente i sintomi. Se alcune terapie sembrano dare buoni risultati in singoli casi, vengono applicate più sistematicamente. Da semplici impressioni sull’efficacia di una terapia si arriva a un’opinione, che viene verificata da primi studi clinici. Ma per avere la certezza scientifica dell’efficacia sono necessari studi complessi che richiedono tempo e anche un numero adeguato di pazienti, ciò che naturalmente non è assolutamente possibile nelle fasi iniziali di una epidemia causata da un nuovo agente patogeno.
Già agli inizi di una nuova epidemia è necessario prendere provvedimenti per contenerne la diffusione, trovare terapie efficaci e preparare il sistema sanitario ad affrontare eventuali emergenze; d’altra parte le conoscenze sulla nuova epidemia sono ancora molto sommarie. Per questo anche le raccomandazioni degli specialisti si basano, per lo più, su ipotesi formulate in base alle proprie, spesso limitate osservazioni.
L’attuale epidemia ha dato un grande impulso agli studi sui coronavirus ed è auspicabile che le conoscenze raccolte nelle centinaia di ricerche per sviluppare un vaccino efficace possano rappresentare un vantaggio nel caso di una nuova epidemia, ma non è escluso che una nuova epidemia presenterà problemi analoghi all’attuale, perché se si tratterà di una realtà effettivamente nuova, con un nuovo agente patogeno; pertanto, le terapie agli inizi andranno necessariamente a tentoni.
I primi casi di COVID-19
La portavoce del ministero degli Esteri cinese, Hua Chunying, in una conferenza stampa tenuta il 6 maggio scorso nella missione permanente della Repubblica Popolare Cinese presso l’ONU di Ginevra, ha descritto a grandi linee la prima fase dell’epidemia a Wuhan: «Il 27 dicembre 2019 la dottoressa Zhang Jixian ha segnalato i primi tre casi sospetti. Il 30 dicembre la Commissione sanitaria municipale di Wuhan ha emesso “un avviso urgente sul trattamento di una polmonite di origine sconosciuta”. Il 31 dicembre la Cina ha informato l’OMS, Organizzazione Mondiale della Sanità, di casi di polmoniti da eziologia sconosciuta. Il 3 gennaio 2020 la Cina ha iniziato a inviare aggiornamenti tempestivi all’OMS e ad altri Paesi, inclusi gli Stati Uniti. Il 23 gennaio, la Cina ha temporaneamente chiuso le vie di uscita da Wuhan, inviando un forte segnale di avvertimento al mondo» (10).
Nella stessa conferenza stampa la portavoce del ministero degli Esteri ha ricordato che in un’intervista il viceministro degli Esteri Le Yucheng aveva «[…] dichiarato che la Cina è sempre stata in contatto con l’OMS cooperando in modo corretto» e ha aggiunto successivamente: «Dall’inizio dell’epidemia, la Cina ha tenuto un atteggiamento aperto, trasparente e responsabile ed è stata continuamente in stretto contatto con l’OMS».
D’altra parte, Hua Chunying doveva ammettere che al momento della sua conferenza stampa esistevano molte incertezze sulle origini e sui primi sviluppi dell’epidemia: «Dove si sono verificati i primi casi? Quando è successo? Finora né gli scienziati né gli esperti di controllo delle malattie sono giunti a una conclusione definitiva. Il lavoro in questione è in corso e deve essere studiato da scienziati e specialisti, e l’origine e le modalità di trasmissione del virus devono essere giudicate in base alla scienza e ai fatti, in modo che in futuro l’umanità possa affrontare meglio queste importanti malattie infettive».
Questa ammissione contrasta tanto con le prime dichiarazioni rassicuranti delle autorità cinesi sul decorso dell’epidemia, sulle quali l’OMS ha basato le proprie raccomandazioni, quanto con le accuse di un organo di stampa ufficiale cinese alle autorità locali di Wuhan e al Centro di Prevenzione delle Malattie cinese, il Chinese Center for Disease Control and Prevention, più brevemente CDC Cina, per errori nella gestione della prima parte dell’epidemia e per non aver segnalato nuovi casi per circa due settimane.
Un articolo pubblicato il 19 marzo 2020 sul Global Times, quotidiano in lingua inglese prodotto dall’organo ufficiale del Partito Comunista Cinese, il Quotidiano del Popolo, fornisce ulteriori dettagli sugli avvenimenti di fine dicembre: il CDC di Wuhan si è attivato già il 27 dicembre 2019, subito dopo che la dottoressa Zhang Jixian aveva segnalato i primi casi di polmonite, e ha organizzato un’indagine epidemiologica e dei test; nel primo pomeriggio del 30 dicembre gli esperti della commissione sanitaria di Wuhan hanno avviato una nuova indagine e diramato un documento interno sui casi di polmonite; pochi minuti dopo il documento è stato messo online e nelle ore successive alcuni medici si sono scambiati informazioni in una chat. Qualche ora più tardi il dottor Li Wenliang (1986-2020) ha comunicato che gli esami di laboratorio avevano identificato come causa delle polmoniti un coronavirus e suggeriva di non diffondere la notizia, ma di raccomandare ai propri parenti di prestare attenzione alla prevenzione (11).
La notizia dei casi di polmonite viene resa di pubblico dominio
La notizia dei casi si è diffusa su Internet ed è così diventata di dominio pubblico. Il 3 gennaio il dottor Li, con altri colleghi, è stato convocato dalla polizia e ammonito per aver provocato allarmismo con la diffusione di informazioni non vere, anche se il 30 dicembre la stessa Commissione sanitaria municipale di Wuhan aveva comunicato ufficialmente i casi di polmonite. Il 31 dicembre il CDC Cina ha inviato un gruppo di specialisti ad affiancare le autorità e i sanitari locali.
Dal 31 dicembre in poi le autorità cinesi hanno fornito le loro informazioni sull’epidemia all’OMS e ad altre agenzie internazionali, che le hanno poi diffuse. I comunicati ufficiali dell’OMS, con le analisi della situazione e le raccomandazioni corrispondenti, sono stati nel mese di gennaio una delle fonti d’informazione più importanti.
Soltanto dopo l’allarme del dottor Li Wenliang e dei suoi colleghi le autorità hanno adottato alcuni provvedimenti mirati, oltre alla segnalazione ufficiale dei casi e alla loro comunicazione all’OMS. I casi di sospette polmoniti sono stati centralizzati il 31 dicembre nell’ospedale Jin Yin-tan di Wuhan per essere assistiti da una equipe di medici, autorità sanitarie locali e specialisti del CDC, e il 1° gennaio è stato chiuso il mercato ittico della città, al quale le prime indagini epidemiologiche hanno attribuito un ruolo importante nella catena dei contagi.
Un articolo collettivo, curato fra l’altro da medici dell’ospedale Jin Yin-tan, riferisce che fino al 2 gennaio gli esami avevano confermato quarantuno casi di infezione da coronavirus e che ventisette di essi avevano avuto contatti con il mercato ittico Huanan di Wuhan (12).
Il 5 gennaio l’OMS comunica che, secondo le autorità cinesi, fino al 3 gennaio i casi confermati erano saliti a 44 (13); il 9, sostiene che «la Cina ha grandi capacità e risorse di sanità pubblica per rispondere e per gestire le epidemie di malattie respiratorie» (14); il 10, «l’OMS non raccomanda l’applicazione di restrizione ai viaggi e al commercio con la Cina» (15).
In un’intervista del 10 gennaio alla rivista Science Xu Jianguo, direttore del Laboratorio di Stato per la prevenzione e il controllo delle malattie infettive di Pechino, una sezione del CDC, ha dichiarato che le ricerche sull’epidemia erano dirette dal CDC, ma che erano coinvolti anche numerosi gruppi di altre agenzie governative. Egli stesso era a capo di un comitato che doveva valutare i risultati delle ricerche e fare delle raccomandazioni alla Commissione sanitaria nazionale. Nell’intervista sostiene che da giorni non vi erano stati nuovi casi e che «l’epidemia era stata arginata» (16).
Il 12 gennaio l’OMS riferisce che le autorità cinesi avevano comunicato di aver identificato e seguito 763 stretti contatti dei pazienti positivi al coronavirus, fra cui alcuni sanitari, ma di non aver trovato altri casi di infezione, e che non esisteva chiara evidenza della possibilità di un facile passaggio del virus da uomo a uomo (17). Anche l’ECDC, il Centro Europeo per la Prevenzione e il Controllo delle malattie, un’agenzia dell’Unione Europea con sede vicino a Stoccolma, ha riportato il 14 gennaio la notizia che dei 763 contatti nessuno era risultato positivo e ha segnalato di non essere a conoscenza di alcuna attivazione dello screening in uscita nell’aeroporto internazionale di Wuhan, mentre paesi limitrofi, come Hong Kong, Malesia, Myanmar, le Filippine, Singapore, Taiwan, Tailandia, Russia e Vietnam, avevano «[…] attivato misure di screening per tutti i viaggiatori in arrivo da Wuhan nei loro hub di trasporto come aeroporti e stazioni ferroviarie» (18). L’ECDC comunicava pure che «l’aeroporto di Wuhan aveva collegamenti aerei diretti con alcune città dell’Unione Europea: sei voli settimanali con Parigi (Francia), tre voli settimanali con Londra (Regno Unito) e cinque voli settimanali con Roma (Italia). Le autorità sanitarie degli Stati membri dell’Unione Europea/Spazio Economico Europeo interessati restano attente e monitorano da vicino gli sviluppi della situazione in Cina» (19).
L’ECDC non ha chiarito che cosa significassero attenzione e monitoraggio per i singoli Paesi europei. Per quanto riguarda l’Italia, il ministero della Salute ha emesso il primo comunicato il 21 gennaio, annunciando che a partire da giovedì 23, data in cui era previsto il successivo volo diretto dalla città di Wuhan all’aeroporto di Roma Fiumicino, «il Ministero ha predisposto l’attivazione di un canale sanitario con controllo della temperatura attraverso scanner. È prevista anche la compilazione di una scheda che indichi destinazione e percorso dei passeggeri, una volta sbarcati» (20). A quanto pare, però, il ministero non ha preso in considerazione voli da Wuhan con uno scalo intermedio. Nella mattina del 22 gennaio si era tenuta, inoltre, la prima riunione della task-force del ministero stesso (21).
Ancora il 17 gennaio l’ECDC, sulla base delle informazioni ricevute dalle autorità cinesi, ed eventualmente di concerto con l’OMS, dichiarava che fino al giorno precedente non vi era stata evidenza di un contagio da uomo a uomo, e a chi si fosse recato a Wuhan sconsigliava solamente di visitare i mercati di animali: «La probabilità che viaggiatori dell’Unione Europea e dello Spazio Economico Europeo vengano infettati durante la visita a mercati di animali vivi o ittici a Wuhan è considerata moderata, poiché la fonte dell’infezione è sconosciuta e potrebbe essere ancora attiva. La probabilità di infezione per i viaggiatori che visitano Wuhan, ma non questi mercati, è considerata bassa, perché finora non ci sono indicazioni che il virus circoli nella popolazione. Pertanto, la probabilità di importazione di casi di 2019-nCoV nell’UE è considerata bassa, ma nella situazione attuale non può essere esclusa» (22).
Il 16 gennaio la PAHO, Pan American Health Organization, l’ufficio americano dell’OMS, sosteneva che i sintomi dei quarantuno pazienti positivi al coronavirus erano comparsi fra l’8 dicembre e il 2 gennaio e che dal 3 gennaio nell’area di Wuhan non erano stati riscontrati nuovi casi. E a chi andava a Wuhan veniva raccomandato di evitare stretti contatti con persone con infezioni respiratorie acute e posti dove venivano venduti animali selvatici o di allevamento, vivi o morti (23).
La possibilità del contagio da uomo a uomo viene finalmente ammessa ufficialmente
In un’intervista rilasciata il 20 gennaio alla rete televisiva CCTV, la televisione centrale cinese, il dottor Zhong Nanshan, consulente medico del governo, annuncia che il virus può trasmettersi da uomo a uomo, comunicando che negli ultimi giorni vi è stato un aumento dei casi e che anche un certo numero di operatori sanitari a Wuhan è stato contagiato, e dà alla popolazione le prime raccomandazioni. Nell’intervista il dottor Zhong «[…] ha spiegato che c’erano due motivi per la rapida crescita: l’uso di nuovi reagenti per la diagnosi e le modalità di sviluppo del virus» (24). Il primo motivo addotto per spiegare l’impennata dei casi lascia molto perplessi: se l’aumento dei casi diagnosticati in laboratorio era riconducibile all’utilizzo di nuovi reagenti, si può dedurre che i nuovi reagenti erano più affidabili di quelli utilizzati nella fase precedente, che avrebbero dato risposte falsamente negative!
Con questa intervista si chiude la prima fase nella gestione dell’epidemia e se ne apre una nuova, nella quale interviene direttamente il Comitato Centrale del Partito Comunista.
Gestione colpevole della prima fase dell’epidemia
Le autorità locali cinesi, compreso il CDC di Wuhan, erano al corrente dei casi di polmonite dal 27 dicembre 2019, ma hanno preso alcuni provvedimenti — come la comunicazione ufficiale delle infezioni, la centralizzazione dei malati in un unico ospedale per renderne ottimale il trattamento e la chiusura del mercato ittico — solo dopo che il dottore Li Wenliang e i suoi colleghi avevano diffuso la notizia dell’epidemia in rete.
Fino al 20 gennaio le autorità cinesi hanno sostenuto l’origine zoonotica, cioè di trasmissione animale, del virus e che non vi erano elementi che dimostrassero il contagio da uomo a uomo. Dato che diversi malati erano commercianti, dipendenti e clienti del mercato ittico di Wuhan, dove venivano venduti anche animali selvatici e di allevamento vivi, con la chiusura del mercato e la sua sanificazione poteva sembrare che la fonte dell’epidemia fosse stata eliminata e, come già detto, si potesse affermare che «l’epidemia era stata arginata». Ma vi erano alcuni elementi che non giustificavano un giudizio così ottimistico. Se per due terzi degli ammalati esisteva una relazione con il mercato di Wuhan, per l’altro terzo la fonte del contagio era ignota. Le autorità cinesi hanno dato per scontato che i contagi avvenuti al mercato di Wuhan fossero unicamente da animale a uomo, anche se non erano in grado di chiarire da quale animale: all’inizio si è parlato di pipistrelli o pangolini, mentre nell’intervista del 20 gennaio Zhong Nanshan ha indicato o un particolare roditore, il ratto del bambù, o il tasso come possibili ospiti intermedi, e non si sapeva neppure come il virus fosse arrivato al mercato. Già nei primi comunicati e bollettini l’OMS ha sostenuto ripetutamente l’importanza di scoprire l’origine del virus e ha annunciato che alcune ricerche erano in corso e che altre erano progettate, ma che esse non avevano dato ancora risultati. L’origine zoonotica non era ancora stata dimostrata. Il 26 marzo l’OMS dichiarava: «Attualmente, la fonte zoonotica di SARS-CoV-2 è sconosciuta. I primi casi umani di COVID-19, la malattia del coronavirus causata da SARS-CoV-2, sono stati segnalati per la prima volta dalla città di Wuhan, in Cina, nel dicembre 2019. […]
«Il virus potrebbe essere stato introdotto nella popolazione umana da una fonte animale nel mercato oppure potrebbe essersi diffuso nell’ambiente del mercato portato da una persona infetta» (25). In quest’ultima ipotesi, cioè che al mercato sarebbe avvenuto dapprima un contagio uomo-animale, la ricerca dell’origine del virus risulterebbe ulteriormente complicata.
Le autorità cinesi hanno respinto a lungo l’invito a coinvolgere specialisti stranieri nelle ricerche sugli inizi dell’epidemia. Durante la citata conferenza stampa della portavoce del ministero degli Esteri, Hua Chunying, il giornalista di Sky le ha domandato perché le ripetute richieste del rappresentante dell’OMS in Cina, il dottor Gauden Galea, affinché le autorità cinesi invitassero l’OMS a partecipare alle indagini sull’inizio dell’epidemia fossero state respinte. La risposta della portavoce è stata chiara: le autorità cinesi avrebbero fornito fin dall’inizio un’informazione trasparente e puntuale. La richiesta per un tale invito sarebbe stata dettata non da interessi scientifici ma politici, allo scopo di colpevolizzare la Cina. La chiusura alla richiesta dell’OMS è stata categorica: «Noi ci opponiamo a una cosiddetta indagine che è stata richiesta da politici in pochi Paesi per calcoli politici basati sulla presunzione di colpa». Il 7 luglio 2020 l’OMS ha comunicato, però, che suoi esperti si sarebbero «[…] recati in Cina per lavorare insieme ai colleghi cinesi per preparare piani scientifici per identificare la fonte zoonotica del virus SARS-COV-2» (26).
Il Servizio Studi del Congresso degli Stati Uniti ha pubblicato una dettagliata analisi degli inizi della pandemia, intitolata COVID-19 e Cina. Una cronologia degli eventi (dicembre 2019-gennaio 2020) e aggiornata al 13 maggio 2020. Questo rapporto deplora l’incompletezza delle informazioni fornite dalla Cina: «Sebbene esperti cinesi abbiano pubblicato fin dall’inizio dell’epidemia numerosi articoli su riviste scientifiche in lingua inglese, inclusi diversi importanti articoli nel gennaio 2020, la comunità internazionale ha espresso frustrazione per ciò che la Cina non ha comunicato. Di particolare interesse è l’analisi dei campioni del mercato all’ingrosso di pesce di Huanan (indicato anche in alcune fonti come South China Seafood City). Il CDC Cina ha fornito ai media statali cinesi informazioni sommarie sulle sue scoperte — su 585 campioni 33 sono risultati positivi al SARS-Cov2 — ma il CDC Cina non ha rilasciato dettagli sull’analisi scientifica dei campioni e sembra che non abbia prelevato campioni da animali al mercato. Secondo media cinesi le autorità locali avrebbero fatto sanificare il mercato almeno nelle due notti precedenti la chiusura, compromettendo potenzialmente anche i campioni» (27).
La fonte zoonotica dell’epidemia è ancora ignota, ma le autorità cinesi hanno escluso a lungo la possibilità del contagio da uomo a uomo e hanno anche trascurato il fatto che quattordici dei primi quarantuno pazienti positivi non avevano avuto contatti con il mercato ittico, per cui si deve ammettere l’esistenza di uno o più focolai al di fuori di questo mercato.
La notizia che nessuno dei 763 contatti dei pazienti, fra cui anche alcuni operatori sanitari, sia risultato positivo è del tutto inverosimile e falsa: per lo meno il medico Li Wenliang, deceduto poi il 7 febbraio per il COVID-19, ha manifestato i primi sintomi già il 10 gennaio ed è stato ricoverato il 12 gennaio (28). Già allora doveva esser chiaro che il contagio avveniva anche da uomo e uomo e non sarebbe stato necessario aspettare il 20 gennaio per ammetterlo e per riconoscere che personale medico era stato contagiato.
In un articolo datato 14 febbraio e pubblicato sul Global Times, Jiang Shigong, professore di Diritto all’Università di Pechino, muove gravi accuse alle autorità sanitarie locali e regionali, agli esperti del CDC inviati da Pechino e anche al suo direttore generale, Gao Fu (29).
Jiang ha denunciato in particolare il fatto che «dal 31 dicembre al 17 gennaio le autorità sanitarie locali non hanno comunicato né che la malattia potesse essere trasmessa da uomo a uomo, né il numero delle nuove infezioni. Li, con altre sette persone, è stato ammonito dalla polizia locale per aver diffuso “dicerie online” mentre si stavano verificando più casi di infezione, in particolare tra il personale medico».
Il Global Times denuncia pure che, «nonostante i ripetuti avvertimenti dei medici locali, l’autorità sanitaria locale non ha segnalato nessuna infezione durante le due riunioni a livello provinciale, importanti incontri politici, del 6 e del 17 gennaio».
Questo articolo conferma i giustificati dubbi sulla correttezza delle teorie e sull’attendibilità delle informazioni e dei dati forniti dalle autorità cinesi fino al 20 gennaio.
La questione della responsabilità
L’articolo del Global Times distingue due fasi dell’epidemia — la prima, che sarebbe stata gestita a livello locale, e la seconda, a partire dal 20 gennaio circa, gestita dal Comitato Centrale del Partito Comunista — e critica la prima fase, parlando di tempo perso a causa della burocrazia e di una mentalità «conservatrice»: «La crisi, che si è verificata con modalità simili a quelle della SARS, non è stata causata da alcune persone, ma innescata da un meccanismo decisionale, poiché i politici locali hanno abbandonato il principio della ricerca della verità basandosi sui fatti, ritardando una reazione e sottolineando altri fattori invece di attenersi a una valutazione scientifica e basata sui fatti. “Nel mezzo di una critica a livello nazionale delle responsabilità, vediamo anche come gli esperti del CDC a livello della città di Wuhan e della provincia di Hubei si passano la responsabilità l’un l’altro”, ha detto Jiang».
Il professore Jiang ha anche denunciato che «l’epidemia ha messo in luce problemi legati non solo al nostro meccanismo di governo, ma anche alla mentalità dei funzionari che è rimasta indietro rispetto alle esigenze dello sviluppo di un Paese moderno». L’articolo pone anche una questione che probabilmente non troverà mai una risposta certa: «In che modo i medici, gli esperti delle autorità centrali e locali, compresi importanti consulenti medici, hanno deciso e formulato suggerimenti e hanno riferito questa situazione al governo centrale? “Il processo non è noto nei dettagli ma ci sono due punti da evidenziare”, ha detto Jiang, osservando che i medici in prima linea a Wuhan si erano resi conto della gravità di questo virus e che gli esperti inviati da Pechino l’avevano identificato e avevano anche pubblicato su di esso articoli su riviste straniere».
Fin dal 31 dicembre 2019 il CDC Cina è stato coinvolto nella gestione dell’epidemia: nella citata intervista del 10 gennaio 2020 Xu Jianguo aveva dichiarato che nelle ricerche erano coinvolti «anche numerosi gruppi di altre agenzie governative» e lui stesso era a capo di un comitato che doveva valutare i risultati delle ricerche e fare delle raccomandazioni alla Commissione sanitaria nazionale. Secondo il sito dell’agenzia di stampa del governo della Repubblica Popolare Cinese, Xinhua, il 7 gennaio «Xi Jinping, segretario generale del Comitato Centrale del Partito Comunista Cinese, ha presieduto una riunione del Comitato Permanente dell’Ufficio Politico del PCC e ha dato istruzioni per la prevenzione e il controllo di una possibile epidemia di eziologia ignota a Wuhan» (30).
L’epidemia era quindi nota ai vertici del Partito Comunista già agli inizi di gennaio: probabilmente non sarà mai possibile ricostruire il flusso delle informazioni nelle due settimane successive, ciò che consentirebbe di attribuire la responsabilità per gli errori di gestione.
Il coronavirus arriva in Germania (e dalla Germania in Italia?)
Un articolo del quotidiano di Monaco di Baviera, la Süddeutsche Zeitung, ha descritto come il coronavirus sia arrivato e si sia diffuso in Germania durante un incontro di lavoro nella sede centrale della ditta produttrice di componenti per autoveicoli Webasto a Stockdorf, nell’Alta Baviera: «Il 16 gennaio una dipendente cinese della ditta Webasto ha ricevuto a Shanghai la visita dei genitori provenienti dalla regione di Wuhan, particolarmente colpita dal nuovo coronavirus. Tre giorni dopo, parte per la sede centrale della sua ditta in Germania. Il 21 gennaio partecipa a una riunione a Stockdorf, frazione di Gauting. Allora le sue condizioni di salute erano ancora buone. Solo dopo il suo ritorno in Cina, il 23 gennaio, la signora presenta sintomi che fanno pensare a un’influenza, si rivolge al suo medico e risulta positiva al coronavirus. La direzione della ditta apprende lunedì 27 gennaio del risultato del test» (31). Il 24 gennaio viene confermato il primo caso di COVID-19 fra i dipendenti della ditta Webasto.
In un’intervista all’agenzia ADN Kronos dell’11 marzo il professor Massimo Galli spiegava su «il primo focolaio di COVID-19 in Europa»: «L’ipotesi abbastanza ovvia è che almeno gran parte, se non tutta l’epidemia» di coronavirus emersa il 21 febbraio nel Lodigiano sia partita da qualcuno che si è infettato in Germania verosimilmente intorno al 24, 25 o 26 di gennaio e che poi è venuto in quella zona dove ha seminato l’infezione, del tutto inconsapevolmente o perché completamente asintomatico o perché ha scambiato i sintomi di Covid-19 per quelli di una normale influenza». L’agenzia di stampa prosegue poi: «Tutti gli indirizzi scientifici raccolti — sottolinea l’esperto, primario all’ospedale Sacco di Milano e docente di Malattie infettive all’università Statale del capoluogo lombardo — permettono di ipotizzare una “pista genetica” che porta dritta al focolaio di coronavirus scoppiato in Baviera, dopo che un’impiegata cinese dell’azienda Webasto aveva partecipato a un meeting di lavoro a Monaco» (32).
Questo caso concreto mostra le conseguenze degli errori delle autorità cinesi nella gestione della prima fase dell’epidemia e delle manchevolezze dell’OMS e dell’ECDC. Se le autorità cinesi non avessero proclamato trionfalisticamente che «l’epidemia era stata arginata», ma avessero gestito correttamente la vicenda, il suo corso avrebbe potuto essere differente, prima in Cina e poi a livello mondiale, come riconosce l’articolo già citato del Global Times: «Molte domande hanno sconcertato la popolazione, incluso il motivo per cui il primo caso d’infezione è stato segnalato all’inizio di dicembre, ma le autorità locali non hanno messo a punto misure efficaci, perché il meccanismo di gestione delle emergenze sanitarie pubbliche non ha funzionato pienamente nell’era post-SARS e come le autorità hanno perso tutte le occasioni per salvare quante più vite possibili» (33) e, qui possiamo aggiungere, per salvare vite non solo in Cina ma anche all’estero. Se le restrizioni di movimento per i cittadini di Wuhan fossero state decise prima, o per lo meno se la popolazione fosse stata allertata sull’esistenza dell’epidemia e del rischio del contagio da uomo a uomo, la dipendente cinese della ditta Webasto probabilmente non avrebbe ricevuto la visita dei genitori e, qualche giorno, dopo non avrebbe portato il coronavirus in Europa.
Raccomandazioni dell’OMS e dell’ECDC per il traffico e il commercio internazionale
Solamente il 24 gennaio l’OMS ha aggiornato le raccomandazioni del 10 gennaio per il traffico e il commercio internazionale. Il testo inizia con una precisazione: «Si tratta di un aggiornamento delle raccomandazioni dell’OMS in relazione all’epidemia del nuovo coronavirus nCoV, pubblicate dall’OMS il 10 gennaio 2020. Da quella data, sono stati segnalati in diversi paesi casi legati ai viaggi legati alla città di Wuhan» (34). Nonostante fosse a conoscenza dei casi esportati dalla Cina in alcuni Paesi, fra l’altro segnalati nei propri bollettini, l’OMS non ha ritenuto necessario modificare le proprie raccomandazioni fino al 24. E l’ECDC nel citato comunicato del 14 segnalava che una serie di Paesi «limitrofi» aveva attivato misure di screening per viaggiatori provenienti da Wuhan, ma ricordava che «le autorità sanitarie degli Stati membri dell’UE/SEE interessati restano attente e monitorano da vicino gli sviluppi della situazione in Cina». Questa differenza tra Paesi «limitrofi» e Paesi europei è difficilmente condivisibile: l’Italia dista dalla Cina alcune migliaia di chilometri in più rispetto alla Malesia o alle Filippine, ma se esistono voli diretti il concetto di Paese «limitrofo» è piuttosto ambiguo: anche se il volo Wuhan-Roma dura qualche ora in più rispetto, ad esempio, a quello Wuhan-Manila, ciò non diminuisce certo il rischio di trasmissione del virus e non può giustificare differenze nelle misure di sicurezza.
Ancora il 17 gennaio l’ECDC dichiarava che «la probabilità di importazione di casi di 2019-nCoV nell’UE è considerata bassa, ma non può essere esclusa nella situazione attuale» (35). Effettivamente l’importazione del virus nell’Unione Europea avveniva proprio in quei giorni con l’arrivo della dipendente della Webasto da Shangai.
Contrordine: forse al mercato ittico non vi è stato alcun contagio animale-uomo
Fin da gennaio la descrizione dell’epidemia di COVID-19 da parte delle autorità cinesi ha presentato alcuni caposaldi: l’epicentro dell’epidemia sarebbe stato il mercato ittico di Wuhan, dove una serie di persone sarebbe stata contagiata tramite una fonte animale e senza trasmissione da uomo a uomo. Le autorità cinesi hanno sempre sostenuto di aver informato in modo corretto e completo sull’andamento dell’epidemia e sui progressi nelle indagini epidemiologiche le autorità sanitarie straniere, respingendone le richieste di coinvolgimento nelle indagini; un comportamento che non ha contribuito a dissipare i dubbi sulla possibile origine del virus da manipolazioni nel laboratorio di Wuhan, specializzato nella ricerca sui coronavirus.
Il Servizio Informazione del Consiglio di Stato cinese ha organizzato il 22 gennaio un aggiornamento sull’epidemia di coronavirus. In quell’occasione il direttore del CDC Cina, Gao Fu, che figurava tra i relatori, ha dichiarato a proposito del coronavirus: «Noi abbiamo confermato che è trasmesso tramite animali selvatici venduti illegalmente al mercato ittico di Wuhan» (36). Ma il 25 maggio lo stesso Gao Fu, come riportato dal Global Times del 26 maggio, ha sostenuto la tesi contraria, cioè che nei campioni animali da lui raccolti a Wuhan non vi erano tracce del virus: «All’inizio pensavamo che il mercato ittico fosse l’origine del virus, ma ora il mercato sembra piuttosto una vittima. Il nuovo coronavirus esisteva da molto tempo; Gao Fu ha anche rivelato di essersi recato personalmente a Wuhan agli inizi di gennaio per raccogliere campioni di COVID-19 per i ricercatori, ma che non sono stati rilevati virus nei campioni animali. I virus sono stati trovati solo in campioni ambientali, inclusi i liquami» (37).
L’attuale epidemia ha sicuramente un’origine zoonotica, cioè animale, ma, come prosegue l’articolo del Global Times, non sono ancora noti gli ospiti intermedi, e «benché l’origine del nuovo coronavirus non sia ancora chiara, alcuni politici degli Stati Uniti hanno continuato a diffondere dicerie, chiamandolo “virus di Wuhan” e “virus cinese”, inventando pure storie che sostengono che il virus sarebbe uscito da un laboratorio dell’Istituto di virologia di Wuhan. […] A Wuhan è stata comunicata per la prima volta l’epidemia, ma questo non significa che sia la fonte del virus». Prescindendo dall’ipotesi che il coronavirus sia il prodotto di una manipolazione in un laboratorio di Wuhan, è innegabile che la fase cruciale per lo sviluppo dell’epidemia e della sua evoluzione a pandemia si è svolta proprio in quella città.
Celebrazione del regime comunista
Da tempo, le narrative iniziali sull’epidemia di coronavirus non sono più sostenibili: ritardi, manchevolezze ed errori delle autorità cinesi vengono denunciati anche negli organi di stampa ufficiali, ma la responsabilità è attribuita alle autorità locali e a quelle sanitarie, mentre viene lodato il modello statale cinese che, prendendo in mano la gestione dell’epidemia dopo il 20 gennaio, avrebbe potuto contenerla con successo.
«Durante la riunione del Comitato permanente dell’Ufficio politico del Comitato centrale del Partito Comunista Cinese CPC, Xi, segretario generale del Comitato centrale CPC, ha sottolineato che nella prevenzione delle epidemie e nel controllo, dobbiamo contrastare risolutamente il formalismo e la burocrazia e consentire ai funzionari di base di dedicare maggiori energie in prima linea alla prevenzione e al controllo dell’epidemia.
«[…] Xi, come comandante di questa guerra, ha convocato numerose riunioni, ha ascoltato rapporti, ha impartito importanti istruzioni sul lavoro di prevenzione e controllo e ha discusso l’argomento con leader stranieri, secondo quanto riferito da Xinhua.
«[…] Gli analisti hanno osservato che, una volta avviato il processo decisionale a livello centrale, si concretizzeranno i vantaggi istituzionali della Cina, come il potere di mobilitazione, il che dimostra anche che il suo meccanismo decisionale ha la capacità di adattarsi rapidamente correggendo gli errori, riconoscendo le responsabilità dei funzionari e identificando le omissioni» (38).
È possibile che anche agenzie occidentali avvalorino questa versione — sminuendo la responsabilità delle autorità cinesi, anzi riconoscendo loro un ruolo positivo nel contenimento dell’epidemia — e quindi delegittimino le accuse loro rivolte, anche se lo stesso Xi è stato coinvolto nella gestione dell’epidemia già il 7 gennaio e già dalla fine di dicembre le massime autorità sanitarie del Paese hanno partecipato alla gestione dell’epidemia.
Ermanno Pavesi
Note:
1) Cfr., per esempio, Maria Luisa Di Pietro ed Elio Sgreccia (1928-2019), Il contributo della Chiesa all’etica medica, in Storia della medicina e storia dell’etica medica verso il terzo millennio, a cura di E. Sgreccia, Rubbettino, Soveria Mannelli (Catanzaro) 2000, pp. 165-212 (p. 173).
2) Jean Delumeau (1923-2020), La paura in Occidente (secoli XIV-XVIII). La città assediata, trad. it., Società Editrice Internazionale, Torino 1979, p. 155. Lo storico francese cita l’opera di Jean-Noël Biraben, Les hommes et la peste en France et dans les pays européenns et méditerrannéens, 2 voll., Mouton, Parigi-L’Aia 1975-1976, vol. I, p. 121.
3) Cfr. il sito web <https://www.who.int/hiv/data/2019_hiv-mortality-2000-2030.png?ua=1> (gl’indirizzi Internet dell’intero articolo sono stati consultati il 23-9-2020). Nel 2000 i decessi erano stati 1.400.000; secondo le proprie stime, l’OMS prevede nel decennio 2020-2030 quasi cinque milioni di decessi per patologie legate all’infezione da HIV.
4) Giovanni Paolo II, Lettera apostolica «Salvifici doloris» sul senso cristiano della sofferenza umana, dell’11-2-1984, n. 9. Sul tema cfr. anche Salute e salvezza. Prospettive interdisciplinari, a cura mia, Di Giovanni, San Giuliano Milanese (Milano) 1994.
5) Ibid., n. 10.
6) Ibid., n. 15.
7) SARS 2003/04 mondiale, nel sito web <https://www.bag.admin.ch/bag/it/home/krankheiten/ausbrueche-epidemien-pandemien/vergangene-epidemien-pandemien/sars-2003-04-weltweit.html>.
8) Diego Forni et alii, Molecular Evolution of Human Coronavirus Genomes, in Trends in Microbiology, Cambridge gennaio 2017, anno 25, n. 1, pp. 36-48 (p. 48).
9) Cfr. COVID-19 Treatment Guidelines, nel sito web <https://www.covid19treatmentguidelines.nih.gov/introduction>.
10) Cfr. il sito web <http://www.china-un.ch/eng/fyrth/t1776657.htm>.
11) Cfr. il sito web <Wuhan https://www.globaltimes.cn/content/1183157.shtml>.
12) Chaolin Huang et alii, Clinical features of patients infected with 2019 novel coronavirus in Wuhan, China, in The Lancet, 15-2-2020, n. 395(10223), pp. 497-506 (p. 497).
13) Cfr. il sito web <https://www.who.int/csr/don/05-january-2020-pneumonia-of-unkown-cause-china/en>.
14) Cfr. il sito web <https://www.who.int/china/news/detail/09-01-2020-who-statement-regarding-cluster-of-pneumonia-cases-in-wuhan-china>.
15) Cfr. il sito web <https://www.who.int/news-room/articles-detail/who-advice-for-international-travel-and-trade-in-relation-to-the-outbreak-of-pneumonia-caused-by-a-new-coronavirus-in-china>.
16) Cfr. il sito web <https://www.sciencemag.org/news/2020/01/mystery-virus-found-wuhan-resembles-bat-viruses-not-sars-chinese-scientist-says>.
17) Cfr. il sito web <https://www.who.int/csr/don/12-january-2020-novel-coronavirus-china/en>.
18) Cfr. il sito web <https://www.ecdc.europa.eu/en/news-events/update-cluster-pneumonia-cases-associated-novel-coronavirus-wuhan-china-2019>.
19) Cfr. il sito web <https://www.ecdc.europa.eu/en/news-events/update-cluster-pneumonia-cases-associated-novel-coronavirus-wuhan-china-2019>.
20) Cfr. il sito web <http://www.salute.gov.it/portale/nuovocoronavirus/dettaglioComunicatiNuovoCoronavrus.jsp?lingua=italiano&menu=salastampa&p=comunicatistampa&id=5372>.
21) Cfr. il sito web <http://www.salute.gov.it/portale/news/p3_2_4_1_1.jsp?lingua=italiano&menu=salastampa&p=comunicatistampa&id=5373>.
22) Cfr. il sito web <https://www.ecdc.europa.eu/en/publications-data/rapid-risk-assessment-cluster-pneumonia-cases-caused-novel-coronavirus-wuhan>.
23) Cfr. il sito web <https://www.paho.org/en/documents/epidemiological-alert-novel-coronavirus-ncov-16-january-2020>.
24) Cfr. il sito web <https://news.cgtn.com/news/2020-01-20/Chinese-experts-express-confidence-in-controlling-new-coronavirus–NpKofFhlza/index.html>.
25) Cfr. il sito web <https://www.who.int/health-topics/coronavirus/who-recommendations-to-reduce-risk-of-transmission-of-emerging-pathogens-from-animals-to-humans-in-live-animal-markets>.
26) Cfr. il sito web <https://www.who.int/news-room/detail/07-07-2020-who-experts-to-travel-to-china>.
27) Cfr. il sito web <https://crsreports.congress.gov/product/pdf/r/r46354>, p. 10.
28) Cfr. il sito web <https://www.globaltimes.cn/content/1178847.shtml>.
29) Cfr. il sito web <https://www.globaltimes.cn/content/1179602.shtml>.
30) Cfr. il sito web <http://www.xinhuanet.com/english/2020-06/07/c_139120424.htm>, p. 9.
31) Cfr. il sito web <https://www.sueddeutsche.de/gesundheit/krankheiten-von-wuhan-nach-stockdorf-coronavirus-erreicht-deutschland-dpa.urn-newsml-dpa-com-20090101-200128-99-672406>. Gauting è un comune dell’Alta Baviera.
32) Cfr. il sito web <https://www.adnkronos.com/salute/2020/03/11/coronavirus-paziente-zero-germania-lodigiano-fine-gennaio_VxxzfC4ftHNPqMo3rzj7jN.html?refresh_ce>.
33) Cfr. il sito web <https://www.globaltimes.cn/content/1179602.shtml>.
34) Cfr. il sito web <https://www.who.int/news-room/articles-detail/updated-who-advice-for-international-traffic-in-relation-to-the-outbreak-of-the-novel-coronavirus-2019-ncov-24-jan>.
35) Cfr. il sito web <https://www.ecdc.europa.eu/en/publications-data/rapid-risk-assessment-cluster-pneumonia-cases-caused-novel-coronavirus-wuhan>.
36) Cfr. il sito web <http://english.www.gov.cn/news/videos/202001/23/content_WS5e2959c9c6d019625c603dba.html>.
37) Cfr. il sito web <https://www.globaltimes.cn/content/1189506.shtml>.
38) Cfr. il sito web <https://www.globaltimes.cn/content/1179602.shtml>.