di Leonardo Gallotta
Dante [Dante Alighieri (1265-1321)] e Virgilio [Publio Virgilio Marone (70 a.C.-19 d.C.)], usciti dall’Inferno, sono tornati a «[…] riveder le stelle» (Inferno, XXXIV, 139). Si trovano su un’isola che, circondata dall’Oceano, è agli antipodi di Gerusalemme. Si tratta del Purgatorio, una montagna la cui parte bassa è una specie di “anticamera” dove sono costrette a permanere le anime non ancora degne di entrare nel luogo della vera e propria purificazione e la cui pena è costituita da un’attesa che sembra non finire mai. Dante pone sulla spiaggia dell’isola le anime contumaci della santa Chiesa che lì devono sostare per un tempo lungo trenta volte quello che vissero da scomunicati. Dalla spiaggia si passa poi al primo balzo, dove si trovano le anime negligenti che si pentirono solo in punto di morte. Queste attendono tanti anni quanti furono in Terra quelli trascorsi nel peccato. Stessa pena, nel secondo balzo, tocca ai negligenti morti di morte violenta e pentitisi poco prima di morire.
Dante e Virgilio, su indicazione di Sordello (†1269), il poeta protagonista del canto VI, quello di argomento politico dedicato alla condizione dell’Italia, si recano in un luogo appartato: la valletta fiorita dei principi negligenti, riservata ai personaggi che ebbero in vita alto rilievo politico, e i suoi bellissimi, coloratissimi e profumatissimi fiori rimandano ai blasoni di personaggi tanto importanti. È Sordello che passa in rassegna i diversi regnanti d’Europa, elencandone difetti e miserie. Devono rimanere lì, nella valletta dell’Antipurgatorio, per un tempo pari alla loro longevità terrena. Ciò che Dante vuole sottolineare è chiaro: i principi hanno confidato nella sola azione umana, disgiunta – per interessi di parte e per negligenza – da quelle virtù morali che avrebbero potuto evitare la grave situazione di anarchia e la perniciosa frammentazione politica in cui all’epoca versavano rispettivamente l’Europa e l’Italia.
Si è fatta però ormai sera ed è proprio nella valletta fiorita che Dante è vinto dal sonno. Poi, verso l’alba, il sommo poeta sogna un’aquila con le penne d’oro che dal cielo scende, veloce come una folgore, e lo rapisce portandolo fino alla sfera del fuoco, la quale, per i medioevali, si trovava fra quella dell’aria e quella della Luna. E tale è il calore percepito in sogno che Dante si risveglia smarrito. Accanto a lui c’è Virgilio che lo rassicura e che gli annuncia l’arrivo alle soglie del Purgatorio vero e proprio, aggiungendo che, mentre il poeta fiorentino dormiva, si era presentata santa Lucia (283-304 d.C.) a prendere Dante dormiente per portarlo fin lì, seguita da Virgilio.
Si sa che santa Lucia è la vergine martire morta a Siracusa durante le persecuzioni scatenate contro i cristiani dall’imperatore romano Diocleziano (244-313). Per la Chiesa Cattolica – la sua festa liturgica cade il 13 dicembre – è la protettrice della vista ed è santa anche per la Chiesa ortodossa. Lucia è del resto una delle tre donne del Cielo, assieme a Beatrice e soprattutto alla Vergine Maria, che si era preoccupata di soccorrere Dante smarrito nella selva oscura (cfr. Inferno, II). Dante la sogna in figura di aquila perché essa è l’uccello con la vista più acuta, mentre le penne d’oro sono il segno della sua provenienza, il Paradiso. Non se ne deve dimenticare però il nome: Lucia deriva dal latino lux, “luce”, ed è dunque il simbolo della grazia illuminante che spinge il peccatore al pentimento attivo. Dante ha sognato l’aquila all’approssimarsi dell’alba, e qui un bel parallelismo s’impone: tra santa Lucia, che induce la grazia illuminante, e l’alba, che ridà luce e vita al mondo, c’è una stretta relazione, come se spirito e natura procedessero nella medesima direzione e tendessero allo stesso scopo. Con l’arrivo di Lucia fioriscono di nuova vita i fiori della valletta e si adorna di nuovi ideali la coscienza di Dante pellegrino.
Sabato, 7 luglio 2018