Pierre Faillant de Villemarest, Cristianità n. 199 (1991)
Le rivelazioni del giornalista russo Aleksandr Ievlakhov, del settimanale Rossia, legato all’équipe di Boris N. Eltsin, e il clamore suscitato in Francia e in Italia dalle notizie relative al denaro sovietico destinato al finanziamento dei partiti comunisti di questi paesi non devono costituire l’albero che nasconde la foresta. Soprattutto non devono produrre un amalgama fra due operazioni ben diverse: da una parte, quella del fondo di sostegno creato da Iosif V. Stalin nel 1949 e che da allora ha alimentato i partiti comunisti esteri e le aziende legate all’apparato dell’Internazionale Comunista; dall’altra parte, quella di un apparato segreto costituito all’interno della direzione del PCUS, il Partito Comunista dell’Unione Sovietica, incaricato dal 1987 di predisporre, nei paesi satelliti e in tutti gli altri paesi del mondo, cellule senza nessun legame organico con i partiti comunisti ufficiali o con le aziende e le società straniere note per i loro rapporti con la Centrale sovietica.
Infatti Aleksandr Ievlakhov non dice che soltanto nel 1987 l’apparato sovietico ha distribuito fondi al PCF, il Partito Comunista Francese, al PCI, il Partito Comunista Italiano, e a una dozzina di altri partiti comunisti nel mondo. Ha precisato di aver scelto l’anno 1987 a puro titolo di esempio. Infatti — ancora — l’Unione Sovietica ha creato un fondo di sostegno ai partiti comunisti esteri nel 1949 e, a partire da questa data, ogni anno milioni di dollari per la cassa nera di questi partiti sono stati fatti pervenire a destinazione attraverso valigie portate da corrieri del KGB o diplomatici, oppure in occasione di visite di delegazioni sovietiche.
In Rossia viene illustrata la procedura dell’operazione: 1. di essa erano al corrente soltanto il capo del Dipartimento Internazionale del PCUS — attualmente Valentin Falin — e due suoi collaboratori; 2. veniva informata telefonicamente la Gosbank, la Banca di Stato, con codice speciale, della o delle somme da preparare; 3. seguiva una chiamata alla sede del KGB, e precisamente alla 1a Direzione Principale — quella incaricata dello spionaggio nel mondo — del 1° Dipartimento Internazionale, per organizzare il trasferimento dei fondi, a norma della direttiva P. 74/27, del 3 luglio 1987.
Comunque, dall’epoca del Comintern — la Terza Internazionale comunista, fondata nel 1919 —, poi del Cominform — l’Ufficio di informazioni fra i partiti comunisti e operai, costituito nel 1947 —, nessuno in Occidente ignorava queste operazioni: per la Francia, Roland Gaucher e Jean Montaldo ne hanno indicato dettagliatamente i responsabili e i mezzi, denunciando a questo proposito l’azione di Maxime Gremetz, incaricato nel PCF dei rapporti con il Dipartimento Internazionale del PCUS, e di Gaston Plissonier, così come le ditte Interagra, Recoft, Sorice, Cifal, Centrocom, Gifco e Cogetal o Sopochim, con sede a Berlino.
Ma, nel secondo caso, si tratta di tutt’altra cosa, a proposito della quale non sottolineare che l’operazione è stata “inaugurata” con l’approvazione di Mikhail S. Gorbaciov significa ingannare ancora una volta l’opinione pubblica relativamente ai pericoli immediati o a lungo termine. Infatti, alle rivelazioni di Aleksandr Ievlakhov, sulla Komsomolskaia Pravda l’addetto stampa della segreteria di Boris N. Eltsin, Pavel Voschanov, aggiunge di aver scoperto casualmente negli archivi segreti del PCUS che l’anno scorso, cioè nel 1990, i dirigenti del partito stesso alle dirette dipendenze di Mikhail S. Gorbaciov — fra cui il suo numero due, Vladimir Ivaschko — avevano avviato “la creazione di un’economia invisibile” al servizio del partito e dell’Internazionale Comunista.
Ormai una parte dei fondi del PCUS — e le “quote” pretese dai partiti comunisti dell’impero — erano da una parte destinati a conti segreti all’estero, dall’altra investiti in aziende e in società con sede all’estero e, segretamente, al servizio dell’Unione Sovietica. Ne erano al corrente solo alcuni iniziati del Politburo, della Segreteria del PCUS e della direzione esteri del KGB.
Fini dell’economia invisibile
Per i “reintroiti” pretesi fino all’inverno fra il 1989 e il 1990, attraverso tangenti provenienti dall’Europa Orientale e da altrove, il denaro doveva essere portato a Mosca in pezzi da 5 a 10 dollari. In questo modo le somme erano disponibili in ogni momento per essere trasferite oppure per essere usate immediatamente.
Dal 1971 al 1983 il responsabile a Mosca della tesoreria dell’Internazionale Comunista era Gheorgij Pavlov, che — secondo la versione ufficiale — domenica 6 ottobre 1991 si è “gettato dalla finestra del suo appartamento moscovita”.
Dal 1983 al 1991 il suo successore era Nikolai Krutchina, un uomo con cui Mikhail S. Gorbaciov aveva avuto rapporti quotidiani dal 1983 al 1985, quando dirigeva gli organi amministrativi, cioè gli affari segreti, sotto la copertura della sua funzione di segretario all’Agricoltura… Si tratta di un uomo che lo stesso Mikhail S. Gorbaciov, nel 1986, aveva promosso a una posizione molto elevata nell’apparato della Segreteria rifatta a suo piacere. Nikolai Krutchina si è “suicidato” gettandosi dalla finestra il 26 agosto scorso, quando si apriva la prima inchiesta sui retroscena del putsch svoltosi dal 19 al 21 agosto.
L’attuale tesoro dell’economia invisibile si può quantificare in 12 miliardi di dollari, distribuiti in una dozzina di paesi capitalisti, evidentemente su conti segreti, soprattutto in Svizzera, Germania e Inghilterra, in America Latina e, forse — ma la cosa è da verificare —, negli Stati Uniti e in Canada.
A che scopo? Anzitutto per sostituire apparati riformisti e anche non comunisti ai dirigenti e agli apparati consunti e screditati, cioè a disposizione dei membri dell’apparato sovietico che, con Mikhail S. Gorbaciov, dopo il 1986, si rendevano conto del fatto che, per convincere gli americani e gli europei occidentali che la loro “evoluzione democratica” era sincera, non potevano più conservare l’apparato dell’Internazionale Comunista così com’era. Come Iosif V. Stalin, durante la seconda guerra mondiale, aveva fatto credere di sciogliere il Comintern, e dopo di lui Nikita S. Kruscev si era comportato allo stesso modo relativamente al Cominform, dal 1987 il governo di Mosca garantiva di non ingerirsi più nei partiti comunisti esteri, ormai associati e non più subordinati.
Di fatto, il Dipartimento Internazionale ricreava — servendosi del KGB come di struttura portante — un Comintern invisibile. Reti segrete sovietico-comuniste duplicavano nel mondo, all’insaputa della maggioranza del dirigenti dei partiti comunisti, il loro apparato classico. Per questo — per esempio — esponenti del PCF, fra cui il tesoriere, possono giocare sulle parole affermando che appunto il PCF non ha avuto denaro sovietico… Può darsi, ma si può dire lo stesso per il PCF-bis, per il PCI-bis, e così via?
A partire dall’inverno fra il 1989 e il 1990 gli iniziati si sono resi conto che, se la Romania, la Bulgaria e l’apparato comunista serbo rimanevano fedeli, per contro, negli altri Stati dell’ex impero, divergenze, defezioni e sbandamenti neutralizzavano ogni possibilità di mantenere basi sicure in questi paesi per poter continuare l’opera di spionaggio e di sovversione nell’Europa Occidentale. Quindi, a partire da questo momento, hanno montato un’“economia invisibile” all’estero, e hanno incaricato specialisti del KGB e degli apparati-bis stranieri di sostituire all’unica Centrale sovietica una serie di Centrali segrete, per settori: Europa, Estremo Oriente, Pan-America, Asia Centrale, Pacifico, Maghreb, Africa Australe, e così via.
Lo scioglimento del KGB, annunciato l’11 ottobre 1991, è soltanto un gesto di facciata. Vi è una ripartizione dei compiti fra la 1a Direzione dell’ex KGB, incaricata dello spionaggio mondiale, guidata da Evgheni Primakov, e il GRU, il servizio di spionaggio militare, guidato dal generale Vladen Mokhailov. L’eventuale scioglimento del Dipartimento Internazionale della segreteria del PCUS garantirà la sopravvivenza dell’Internazionale invisibile, finché i fedeli di Mikhail S. Gorbaciov saranno presenti in questo partito in via di ricostituzione sotto altro nome attorno a Roy Medvedev, al deputato A. Denissov e al cosmonauta Vladimir Savastianov.
A conferma, secondo la segreteria dei comandanti afgani dell’Interno, a partire dall’estate del 1991 un gruppo di specialisti sovietici dell’Internazionale si è installato a Kabul per aprirvi un Ufficio Asia Centrale, che dovrebbe coprire una zona dalla Turchia al Golfo del Bengala.
Per questa operazione nel suo complesso ho parlato di 12 miliardi di dollari. Secondo le risultanze delle due inchieste condotte nell’Unione Sovietica dopo il fallimento del putsch d’agosto, una dal procuratore generale della Federazione Russa, l’altra da una commissione parlamentare della stessa Federazione, nel 1990 la fortuna del PCUS si aggirava fra i 150 e i 180 miliardi di dollari. Si tratta di una fortuna senza rapporti con il tesoro dello Stato. Ora, nel dicembre del 1990, attraverso svariate manipolazioni e complicità, 280 miliardi di rubli, al corso ufficiale circa 150 miliardi di dollari, sono stati trasferiti in Occidente — ma sarebbe meglio dire “svenduti” — in cambio di 12 miliardi di dollari. Si tratta di cifre fornite, sulla base di documenti, dalla commissione parlamentare russa a Nikolai Fedorov, attuale ministro della Giustizia del governo guidato da Boris N. Eltsin, cifre che confermano la mia valutazione.
La data di dicembre del 1990 non è fortuita, dal momento che coincide con quella in cui i congiurati dell’agosto del 1991 hanno iniziato le loro mene segrete per un putsch, che pensavano avrebbe dovuto realizzarsi l’estate seguente.
Le prove della compromissione di Mikhail S. Gorbaciov
Già il 26 aprile 1990 Mikhail S. Gorbaciov ordinava con una lettera a Valentin Falin, numero uno del Dipartimento Internazionale del PCUS, di prelevare “dal bilancio dello Stato” parecchi milioni di dollari in divisa straniera “per aiutare le società amiche”. Diversamente — scriveva il segretario generale del PCUS e presidente dell’URSS — sarebbe stato necessario prelevarli dalla tesoreria del partito. Questa operazione faceva parte del primo circuito ricordato all’inizio, ma le operazioni del secondo circuito, il più segreto, non potevano sfuggire a Mikhail S. Gorbaciov che, fino al 24 agosto 1991, giorno delle sue dimissioni dalla funzione di segretario generale del PCUS, era supervisore di entrambe le operazioni. Così dicono il procuratore generale Stapankov e Nikolai Fedorov, dopo il giornalista Aleksandr Ievlakhov e un segretario di Boris N. Eltsin, Pavel Voshanov.
Ma il governo degli Stati Uniti d’America ha voluto che Mikhail S. Gorbaciov fosse presente alla Conferenza di Madrid sulla situazione in Medio Oriente per salvarlo dallo scandalo, e per la stessa ragione François Mitterrand lo ha invitato a Latché: sono entrambi modi per far capire a Boris N. Eltsin che avevano bisogno di Mikhail S. Gorbaciov e che, quindi, uno scandalo che lo avesse coinvolto avrebbe significato la rottura con l’Occidente. Il che rende tutt’altro che facile la situazione del presidente della Federazione Russa, i cui collaboratori hanno scoperto documenti che gli permetterebbero — se volesse — di coinvolgere e anche di mettere sotto accusa Mikhail S. Gorbaciov a proposito delle operazioni segrete che hanno volontariamente esacerbato in più punti dell’ex impero i focolai di tensione fra nazionalisti locali, a partire da provocazioni deliberate, per esempio, fra azeri e armeni, ma anche negli Stati baltici fra il 1988 e il 1990 e nella Repubblica autonoma della Ceceno-Inguscezia, nel Caucaso Settentrionale, nella quale — cosa che la stampa si guarda bene dal dire — si trova uno degli ultimi campi di concentramento dell’URSS. Se Boris N. Eltsin non ne parla è perché gli ambienti politici occidentali, gli organismi mondialisti, l’Internazionale Socialista e diversi capi di Stato e ministri europei e degli Stati Uniti d’America fanno del mantenimento di Mikhail S. Gorbaciov al potere la condizione dell’aiuto economico e tecnologico alla Federazione Russa. Quindi Boris N. Eltsin deve combattere su due fronti, da un lato annunciando ai russi “sudore e lacrime” per far uscire il paese delle condizioni economiche fallimentari prodotte da un lungo regime di austerità, e un autoritarismo obbligato nella lotta contro le diverse mafie che, con i vecchi uomini dell’apparato, controllano e falsificano la vita economica; dall’altro lato tentando di sottrarsi alle pressioni degli ambienti occidentali citati, che ispirano continuamente certi corrispondenti stranieri di stanza a Mosca allo scopo di distruggere o di metter fuori gioco Boris N. Eltsin e di conservare un certo comunismo, in nome della stabilità di una “Unione” inesistente.
Ritornando alle operazioni da cui sono partito, ma soprattutto alla seconda, quella relativa agli apparati illegali montati in Oriente e in Occidente fra il 1987 e il 1991, entrambe hanno portato anche al trasferimento della maggior parte dei depositi sovietici in oro. Mentre l’economista Grigorij Iavlinski fissa in sole 240 tonnellate le riserve auree dell’URSS, le stime degli esperti occidentali le fissavano fino all’estate del 1991 fra le 1.500 e le 3.000 tonnellate. Dal canto suo Boris N. Eltsin sostiene che 350 tonnellate sono state illegalmente trasferite nel corso di tre anni in Occidente, quindi convertite in dollari o in divise diverse e investite in aziende commerciali, società immobiliari, tenute, ristoranti, alberghi e così via. “Nel caso di somme rilevanti — ha dichiarato Nikolai Fedorov —, e a fortiori di somme prelevate dal bilancio sovietico, era obbligatoriamente necessaria la firma del segretario generale del PCUS”.
Se il 26 agosto 1991 Nikolai Krutchina, poi il 6 ottobre sempre di quest’anno Georgij Pavlov si sono “suicidati”, quindi il 18 ottobre ha fatto la loro stessa fine D. Lisovolik — uno dei segretari di Valentin Falin —, è accaduto perché tutti e tre lavoravano a questa tesoreria illegale con Mikhail S. Gorbaciov, ne sapevano troppo e avrebbero potuto diventare testimoni a carico. E, dal canto suo, Valentin Falin non ha saputo giustificare agli inquirenti — nominati da Boris N. Eltsin il giorno seguente il putsch fallito — la presenza di 600 mila dollari in pezzi di piccolo taglio trovati nella cassaforte del suo ufficio il 24 agosto… Se si fosse trattato di un caso di corruzione personale dei golpisti o dello stesso Valentin Falin oppure degli uomini e delle donne implicate nei due circuiti, gli inquirenti lo avrebbero detto, dal momento che si sarebbe trattato di un “caso” facile da trattare dal punto di vista giuridico. Ma non si trattava di niente di tutto questo: tutti i documenti già trovati e numerose piste nei paesi occidentali confermano un’operazione “ricostituzione del Comintern”.
I nuovi “portatori di valigie” e gli investimenti segreti in Francia
Per quanto concerne i 280 miliardi di dollari svenduti a 12 miliardi di dollari, gli inquirenti dispongono di testimonianze indiscutibili, fra cui quella di un impiegato della Gosbank, che ha visto passare i documenti scambiati a questo proposito fra altissime personalità del potere sovietico.
Inoltre, il presidente e direttore generale della Gosbank, V. Gheratchenko ha avvicinato personalmente nell’agosto del 1991, qualche giorno prima del putsch, a New York, il direttore di una multinazionale bancaria legata al commercio con l’Unione Sovietica, e lo ha un po’ traumatizzato chiedendogli a freddo di provvedere a breve termine al trasferimento da Oriente a Occidente di una somma di rubli ammontante a un valore di 4 miliardi di dollari. Anche il ministro delle Finanze del governo guidato da Mikhail S. Gorbaciov, Vladimir Orlov, si trovava a Zurigo nello stesso periodo… per depositarvi da 1 a 3 miliardi di dollari su conti segreti. Chi potrebbe sostenere che tutto questo traffico sfuggiva a Mikhail S. Gorbaciov e ai suoi collaboratori?
A un livello inferiore, il giornalista russo M. Gurtovoi riferisce in Les Nouvelles de Moscou che un funzionario del dipartimento di Valentin Falin è improvvisamente partito per l’estero, parecchi mesi fa, con 50.000 dollari in pezzi di piccolo taglio, consegnati su ordine della Banca per il Commercio Estero. Posso aggiungere che il redattore capo della Pravda si trovava a Düsseldorf, il giorno dopo il putsch, con una valigia piena di dollari…
Altri circuiti, negli anni dal 1987 al 1991, riguardavano la svendita illegale di materie prime molto rare in cambio di fondi mai rientrati nell’Unione Sovietica, ma depositati in cinque paesi d’Europa, fra cui la Francia, in banche di secondo piano oppure investiti in società immobiliari, ville, società commerciali, e così via. Secondo fonti moscovite, da cinquanta a cento di questi investimenti sono stati fatti fra il 1988 e il 1991 in Provenza, a Marsiglia, a Lione e sulla Costa Azzurra.
Altri circuiti passavano attraverso diverse aziende: fino al 1989, in Svezia, attraverso la Vasfisk Export AB, sul conto di A. Schalk-Goloskowski, incaricato dalla HVA — il servizio di spionaggio all’estero della Repubblica Democratica Tedesca — e dalla Stasi — il corrispondente del KGB dello stesso Stato — di raccogliere profitti illeciti e di fare trasferimenti di fondi. Questa ditta svedese non ha mai venduto un solo pesce, anche se questa era la sua ragione sociale, ma serviva per far “transitare” denaro diretto verso altri luoghi. Lo stesso traffico si svolgeva in Grecia, a cura di una società di noleggi marittimi.. che non ha mai inviato un cargo in mare, ma veniva pagata per farlo…
Ancora una volta: se si fosse trattato di danaro distolto a fini personali, i funzionari del ministero della Giustizia della Federazione Russa lo direbbero. Si deve esser grati a Boris N. Eltsin e ai suoi collaboratori del fatto che tentino di mettere fine a operazioni di sovversione del tipo Comintern, approvate da Mikhail S. Gorbaciov. Rimane da sapere se i governi belga, francese, italiano, lussemburghese, svizzero e tedesco apriranno inchieste e perseguiranno i colpevoli, a costo di chiamare in causa banche, società, imprese dall’aspetto onorevole, che non hanno mai avuto, ufficialmente, nessun rapporto con i comunisti.
Pierre Faillant de Villemarest