Questo è il giudizio di politici, giuristi e cultori del politicamente corretto a proposito di Amy Coney Barrett.
di Domenico Airoma
Ma perché?
Forse perché essendo stata nominata dal presidente Donald Trump porta con sé lo stigma di giudice politicizzato?
No, non è davvero sostenibile. Se così fosse, lo sarebbero allora tutti i giudici della Corte Suprema americana, essendo questo il meccanismo di designazione dei componenti dell’equivalente della nostra Corte Costituzionale. D’altronde – guardando in casa nostra – c’è da chiedersi se il fatto che due terzi dei giudici costituzionali italiani vengano designati al di fuori di ogni controllo, non costituisca ragione per dubitare ancor di più della legittimazione democratica della nostra Corte Costituzionale. E però – si potrebbe obiettare – la nostra Corte non è chiamata a legiferare, ma solo a controllare la conformità a costituzione delle norme varate dal legislatore. Di certo era così nell’intenzione dei padri costituenti; ora non lo è più. Basta vedere il ruolo che la Corte ha avuto nel campo del cosiddetto bio-diritto, e da ultimo nella vicenda relativa al suicidio assistito, per capire che i giudici costituzionali non hanno più remore a sostituirsi al legislatore.
Forse perché è espressione di una forza politica verosimilmente non maggioritaria nel Paese?
Essi – i giudici costituzionali americani (e quindi la Barrett, nel caso specifico) – “possono essere addirittura nominati e confermati da un Presidente e da un Senato che nemmeno rappresentano la volontà popolare” (così la professoressa Elisabetta Grande in un intervento sul punto ospitato da “Questione Giustizia”, la rivista di Magistratura Democratica). E da quando – di grazia! – il deficit maggioritario è considerato un ostacolo, dalle nostre parti specialmente, per pronunciare sentenze, soprattutto quando si tratta di riconoscere nuovi diritti? O forse ci sono elettorati che pesano di più? La stessa professoressa Grande, ad esempio, definisce l’elettorato di Trump “tendenzialmente più vecchio, più bianco e meno istruito della media nazionale” (sic!).
La realtà è che Amy Coney Barrett è unfit perché cattolica e pro-life.
Su questo, e solo su questo, si è incentrata la sua audizione al Senato. Per questo, e solo per questo, è stata attaccata dai maitre a penser progressisti di ogni latitudine.
Se qualcuno avesse ancora bisogno di testare l’ipocrisia del pluralismo culturale occidentale, Amy Coney Barrett ne costituisce l’ennesima prova. Soprattutto del fatto che chi crede in Dio e nell’esistenza di una legge non scritta dagli uomini, non è adatto a ricoprire incarichi istituzionali.
Ed è per questo che vedere Amy Coney Barret presentarsi dinanzi al Senato con tutta la sua famiglia, dando testimonianza, semplice e genuina, di una fede incarnatasi nella sua vita e nella sua cultura di giudice, è motivo di grande speranza anche per quelli – quorum ego – che sono convinti che si possa rimanere cristiani anche dentro istituzioni dominate da un secolarismo nichilista.
Senza nascondersi. Anzi pretendendo di essere riconosciuti come tali.
Mercoledì, 28 ottobre 2020