di David Botti
L’Università Cattolica di Milano nella storia delle istituzioni educative italiane
1. Dall’università piemontese all’università italiana
La prima legge organica di riforma degli Studi Superiori del Regno Sabaudo, emanata il 4 ottobre 1848 dal ministro conte Carlo Boncompagni di Mombello (1804-1880), è caratterizzata da un indirizzo accentratore e laicistico che si concretizza nel controllo governativo delle scuole di ogni ordine e grado, statali e libere: l’innovazione più evidente è costituita dal Consiglio Superiore della Pubblica Istruzione, cui compete ogni proposta per l’ordinamento degli studi, i piani didattici delle diverse facoltà e l’approvazione dei programmi dei corsi nonché dei libri e dei trattati adottati. Nella stessa legge è eliminato il nihil obstat vescovile alla nomina dei professori, cancellato l’antico ruolo dei delegati vescovili per la collocazione dei gradi accademici e la firma del vescovo sui diplomi relativi.
La «Boncompagni» pone le premesse, venendone sostanzialmente confermata, del Regio Decreto del 13 novembre 1859 n. 3725, fatto approvare dal ministro conte Gabrio Casati (1798-1873), che introduce la nomina regia anche per i docenti ordinari, straordinari e i membri delle commissioni che devono esaminarli. A sua volta, pur fra numerosissimi provvedimenti integrativi ed emendativi, la legge Casati detterà l’orientamento dell’istruzione del Regno sino al 1923, influenzando anche quella successiva.
L’orientamento in tema di politica universitaria, sempre oscillante fra i modelli di università franco-napoleonico e tedesco-humboldtiano, con una generale predominanza di quest’ultimo, è confermato alla proclamazione del Regno d’Italia (1861) dal ministro della Pubblica Istruzione, Carlo Matteucci (1811-1868), il quale mette in guardia dal «[…] lanciarci in una via necessariamente oscura, come sarebbe quella di sciogliere lo Stato da ogni ingerenza nell’insegnamento superiore per abbandonarlo a mani meno esperte e meno interessate».
2. Persecuzione amministrativa e libertà d’educazione
Pertanto, la creazione ex nihilo della nuova nazione rende necessario abbattere ogni ostacolo: alle violenze di piazza nei confronti degli oppositori politici del regime, seguono sanzioni amministrative verso l’opposizione culturale.
È utile riportare qualche momento di questo aspetto della politica educativa dello Stato unitario, tanto ignoto quanto ricco di episodi significativi. Nel novembre del 1864 si registra la destituzione di tre professori cattolici dell’Università di Bologna, rifiutatisi di prestare il giuramento di fedeltà al re e alle leggi dello Stato italiano; all’interpellanza originata dalla contestuale assoluzione di un professore repubblicano, il ministro della Pubblica Istruzione barone Giuseppe Natoli (1815-1867), che diverrà Gran Maestro Aggiunto del Grand’Oriente d’Italia, spiegherà che «nell’applicare detta legge si può essere benigni se chi la rifiuta è liberale, ma si deve essere inflessibili se, come nel caso di specie, il rifiuto è motivato dalla fedeltà al Pontefice». Il 14 ottobre 1868 un deputato cattolico intransigente, il siciliano barone Vito d’Ondes Reggio (1811-1885), presenta alla Camera un disegno di legge che reclama la piena libertà d’insegnamento e l’abolizione della laurea come titolo necessario per esercitare le professioni: il progetto, riproposto due volte anche nel 1870, viene respinto fra numerose interruzioni e proteste della Sinistra.
Il 10 maggio 1872, è la volta della soppressione delle Facoltà di Teologia delle Università statali, un fatto che suscita viva impressione non solo tra le fila dei cattolici. Il 12 marzo 1876, viene chiusa l’università «illegale» di Palazzo Altemps a Roma, costituita dai professori che avevano rifiutato un nuovo giuramento di fedeltà al re, richiesto il 26 settembre 1871. Il clima di crescente totalitarismo vede nel 1898 la temporanea soppressione di oltre seimila associazioni «sovversive» cattoliche da parte del ministro dell’Interno marchese Antonio Di Rudinì (1839-1908). A queste e altre discriminazioni di carattere legislativo, sono da aggiungere il continuo boicottaggio verso i docenti cattolici delle Università statali e le loro opere, contrapposto, fra l’altro, alle nomine di preti ribelli all’autorità ecclesiastica o apostati.
3. L’idea di una università cattolica
Non è possibile comprendere la maturazione dell’idea di un ateneo cattolico italiano se si prescinde dal totalitarismo culturale esercitato dallo Stato unitario. A differenza delle Università medioevali — originariamente nate come libere associazioni di studenti o docenti miranti alla ricerca della verità —, la necessità di una Università cattolica scaturisce di fatto dalla reazione a un processo di secolarizzazione forzata: e, in Italia, sono proprio gli esponenti del cosiddetto «intransigentismo» a farsi promotori dell’iniziativa verso fasce d’opinione sempre più ampie e anche non cattoliche. La necessità di assicurare la trasmissione di princìpi e di conoscenze non più accettate dall’insegnamento statale suscita, già dal primo Congresso cattolico di Venezia nel 1874, gli interventi a favore di una università cattolica da parte di Giovanni Acquaderni (1839-1922) e Giambattista Casoni (1830-1919). Fino al XV Congresso cattolico (Milano, 1897) l’idea è quindi tenuta viva da Giuseppe Tovini (1841-1897) — beatificato nel 1998 da san Giovanni Paolo II (1978-2005) —, e, in tale occasione, formulata in modo più articolato da don Davide Albertario (1846-1902).
La realizzazione del progetto deve tuttavia attendere un radicale mutamento del clima politico, che avrà luogo solo dopo la Prima Guerra Mondiale (1914-1918), anche a seguito degli accordi di collaborazione elettorale fra cattolici e liberali, stipulati in vista della consultazione del 1913 — il famoso «patto Gentiloni» — e miranti a minimizzare le possibilità di successo del fronte socialista.
L’iniziativa di dare attuazione all’ateneo cattolico era stata perseguita sin dal 1907 da padre Agostino Gemelli O.F.M. (1878-1959), che si avvarrà di un ristretto gruppo di collaboratori fra i quali spicca la figura di monsignor Francesco Olgiati (1886-1962). Padre Gemelli — già repubblicano, socialista, assistente alla cattedra di Medicina dell’Università statale di Pavia e divenuto francescano nel 1903 —, sarà Magnifico Rettore della Cattolica dal 1921 fino alla morte.
4. Il PPI nella fondazione dell’Università Cattolica di Milano
Analogamente a quanto fatto nei confronti di altre iniziative del movimento cattolico, il Partito Popolare Italiano — fondato da don Luigi Sturzo (1871-1959) il 18 gennaio 1919 — s’innesta fin da subito anche sul moto di reazione suscitato dalla politica scolastica governativa. Per l’istruzione è l’on. Antonino Anile (1869-1943) a guidare le scelte dei popolari in tema, sia all’interno del partito, sia come sottosegretario all’Istruzione durante il periodo in cui il ministero è retto da Benedetto Croce (1866-1952) — cui è legato da amicizia personale e da consonanza d’idee — e ministro nel 1922. Proprio nove giorni dopo la nomina al ministero di Croce ha luogo il primo riconoscimento giuridico dell’ente morale Istituto di Studi Superiori Giuseppe Toniolo con il Regio Decreto 24 giugno 1920. L’Istituto fungerà da organo di controllo e di sostegno economico dell’Università. Al Toniolo, retto da un Comitato Permanente, i cui membri sono nominati per cooptazione, spetterà la designazione della maggioranza dei componenti del consiglio di amministrazione del futuro ateneo.
Così, l’Istituto Toniolo dà vita all’Università Cattolica, che viene riconosciuta come tale dalla Sede Apostolica il 25 dicembre del 1920 e inaugurata il 7 dicembre 1921. In merito all’avvenimento, il settimanale fiorentino Fede e ragione, pur non escludendo che l’Università Cattolica possa assumere «forma e contenuto più cattolici», non manca di lamentare «la preponderanza del P.P.I. nel nuovo istituto» — di cui il discorso inaugurale tenuto dall’on. Anile e l’intervento di don Sturzo sono conferma —; il discorso di un altro deputato popolare sul patriottismo del mazziniano Goffredo Mameli (1827-1849); la «pessima relazione su Scienza e fede» tenuta dal padre barnabita Giovanni Semeria (1867-1931); il «troppo spazio dato nei programmi allo studio della sociologia e dell’economia politica a scapito della filosofia e l’assenza nei programmi della teologia e della storia». Non si deve tuttavia considerare padre Gemelli come un popolare: la sua posizione costantemente critica verso il carattere di aconfessionalità del partito è confermata, fra l’altro, dalla pubblicazione insieme a monsignor Olgiati, nel maggio del 1919, di un opuscolo dal titolo eloquente: Il Programma del P.P.I. che non è come dovrebbe essere.
5. Le caratteristiche dell’Università Cattolica di Milano
Le principali peculiarità del nuovo ateneo riguardano le finalità degli studi e l’accettazione di ordinamenti organizzativi e pedagogici statali.
La nuova finalità degli studi — che muove dai contributi dei cardinali beato John Henry Newman (1801-1890) e, ancor più, Désiré Mercier (1851-1926) —, consisteva nel progetto neo-scolastico di far fronte al diffondersi del positivismo e, più in generale, del processo di secolarizzazione con la costruzione di una nuova sintesi dei dati della fede con quelli della scienza e della ragione. Purtroppo, alcuni docenti della neonata Università non comprenderanno appieno tale prospettiva, come accadrà a Giuseppe Zamboni (1875-1950), cui nel 1931 è revocato il nihil obstat necessario all’insegnamento.
Relativamente al secondo aspetto, occorre tenere conto della nuova riforma dell’Università — con il Regio Decreto 30 settembre 1923 — fatta dal ministro Giovanni Gentile (1875-1944). Tale decreto, pur essendo di natura più liberale dei precedenti perché prevede l’esistenza di università libere, vincola tuttavia il riconoscimento giuridico — e, pertanto, il valore legale dei titoli di studio — all’adeguamento degli ordinamenti al disposto della stessa legge dello Stato. Pur nella totale assenza di contributi economici statali, la scelta che porta al riconoscimento giuridico all’Università Cattolica del Sacro Cuore — Regio Decreto 2 ottobre 1924 — preferisce una libertà limitata e compensata dal pieno valore legale dei titoli di studio, alla totale libertà senza riconoscimenti statali. Nonostante questa limitazione, la Cattolica diviene uno dei più importanti centri di diffusione del neo-tomismo in ogni disciplina insegnata.
Con l’introduzione del nihil obstat alle nomine dei professori — con l’articolo 38 del Concordato dell’11 febbraio 1929 fra lo Stato italiano e la Santa Sede — si consolida la relativa libertà dell’ateneo, che verrà tuttavia riproposta in sede di Assemblea Costituente (1946-1947).
6. Dopo la Seconda Guerra Mondiale
A fianco della rinascita neotomistica, il clima prodotto dalla Conciliazione e del conseguente temporaneo minor controllo statale favorisce, già all’inizio della Seconda Guerra Mondiale (1939-1945), la costituzione nell’ateneo di un gruppo di docenti che costituirà la componente intellettuale maggioritaria del futuro partito della Democrazia Cristiana, mentre la stessa sede di piazza Sant’Ambrogio diverrà un centro clandestino della Resistenza. Nel dopoguerra, il gruppo catto-progressista di Cronache sociali sarà costituito per buona parte dai cosiddetti «professorini della Cattolica», quali il venerabile Giuseppe Lazzati (1909-1986), don Giuseppe Dossetti (1913-1996), il venerabile Giorgio La Pira (1904-1977) e Amintore Fanfani (1908-1999).
La successiva legislazione universitaria repubblicana non conosce provvedimenti legislativi di grande portata, tanto che il cambiamento maggiore nella vita accademica è provocato da una legge di liberalizzazione delle iscrizioni da parte dei diplomati degli Istituti tecnici — legge 21 luglio 1961, n. 685 —, che porta gli iscritti della Cattolica dai 6.800 del 1944 ai 21.000 del 1968. La secolarizzazione, l’aumento in progressione geometrica degli iscritti e il conseguente reclutamento di docenti meno selezionati, fa sì che l’ateneo divenga già dal 1967 uno dei maggiori centri di aggregazione e di espressione della contestazione studentesca: è la totale eterogenesi dei fini, che si manifesterà nell’abbandono del sempre decisivo sostegno economico da parte del mondo cattolico e abbisognerà di un comitato di vescovi designati dalla Conferenza Episcopale Italiana.
Nell’attuale temperie di riforme «autonomistiche» operate dai governi progressisti, è auspicabile che l’Università Cattolica sappia trovare nuovi modi per raggiungere quanto si proponeva il suo fondatore, padre Gemelli: «Perché questo è il nostro scopo: lavorare per la Chiesa cattolica […]. Lavorare per il nostro paese, per ridonarlo a Gesù Cristo».
David Botti
Per approfondire: sulle origini dell’Università Cattolica, vedi [monsignor] Francesco Olgiati (1886-1962), L’università cattolica del Sacro Cuore, Vita e Pensiero, Milano 1955, vol. I; sul ruolo del PPI nei confronti del movimento cattolico, Marco Invernizzi, Il movimento cattolico in Italia dalla fondazione dell’Opera dei Congressi all’inizio della seconda guerra mondiale (1874-1939), 2a ed. riveduta, Mimep-Docete, Pessano (Milano) 1995; sullo sviluppo dell’Università Cattolica, Nicola Raponi (1931-2007), voce Università Cattolica, in Dizionario storico del movimento cattolico in Italia, 3 voll. in 5 tomi, Marietti, Torino 1981, vol. I, tomo 1, I fatti e le idee.