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L’Università Cattolica di Milano

27 Ottobre 2018 - Autore: Alleanza Cattolica

di David Botti

 

L’Università Cattolica di Milano nella storia delle istituzioni educative italiane

 

1. Dall’università piemontese all’università italiana

La prima legge organica di riforma degli Studi Superiori del Regno Sabaudo, emanata il 4 ottobre 1848 dal ministro conte Carlo Boncompagni di Mombello (1804-1880), è caratterizzata da un indirizzo accentratore e laicistico che si concretizza nel controllo governativo delle scuole di ogni ordine e grado, statali e libere: l’inno­vazione più evidente è costituita dal Consiglio Superiore della Pubblica Istruzione, cui compete ogni proposta per l’ordinamento degli studi, i piani didattici delle diverse fa­col­tà e l’approvazione dei programmi dei corsi nonché dei libri e dei trattati adottati. Nella stessa legge è eliminato il nihil obstat vescovile alla nomina dei professori, cancellato l’antico ruolo dei delegati vescovili per la collocazione dei gradi ac­ca­de­mici e la firma del vescovo sui diplomi relativi. 

La «Boncompagni» pone le premesse, venendone sostanzialmente confermata, del Regio Decreto del 13 novembre 1859 n. 3725, fatto approvare dal ministro conte Gabrio Casati (1798-1873), che introduce la nomina regia anche per i docenti ordinari, stra­ordinari e i membri delle commissioni che devono esaminarli. A sua volta, pur fra numerosissimi provvedimenti integrativi ed emendativi, la legge Casati detterà l’orientamento del­l’i­stru­zio­ne del Regno sino al 1923, influenzando anche quella succes­si­va.

L’orientamento in tema di politica universitaria, sempre oscil­lante fra i modelli di università franco-napoleonico e tedesco-humboldtiano, con una generale predominanza di quest’ultimo, è confermato alla proclamazione del Regno d’Italia (1861) dal ministro della Pubblica Istruzione, Carlo Matteucci (1811-1868), il quale mette in guardia dal «[…] lanciarci in una via neces­sa­ria­mente oscura, come sarebbe quella di sciogliere lo Stato da o­gni ingerenza nell’insegnamento superiore per abbandonarlo a mani meno esperte e meno interessate».

2. Persecuzione amministrativa e libertà d’educazione

Pertanto, la creazione ex nihilo della nuova nazione rende ne­cessario abbattere ogni ostacolo: alle violenze di piazza nei confronti degli oppositori politici del regime, seguono sanzioni amministrative verso l’opposizione culturale. 

È utile riportare qualche momento di questo aspetto della po­li­tica educativa dello Stato unitario, tanto ignoto quanto ricco di episodi significativi. Nel novembre del 1864 si registra la de­sti­tu­zio­ne di tre professori cattolici dell’Università di Bologna, rifiu­ta­ti­si di prestare il giuramento di fedeltà al re e alle leggi dello Stato italiano; all’interpellanza originata dalla contestuale assoluzione di un professore repubblicano, il ministro della Pubblica Istru­zione barone Giuseppe Natoli (1815-1867), che diverrà Gran Maestro Aggiunto del Grand’Oriente d’Italia, spiegherà che «nell’applicare detta legge si può essere benigni se chi la rifiuta è liberale, ma si deve essere inflessibili se, come nel caso di spe­cie, il rifiuto è motivato dalla fedeltà al Pontefice». Il 14 ot­to­bre 1868 un deputato cattolico intransigente, il siciliano barone Vito d’Ondes Reggio (1811-1885), presenta alla Camera un disegno di legge che reclama la piena libertà d’insegnamento e l’abo­li­zione della laurea come titolo necessario per esercitare le pro­fes­sioni: il progetto, riproposto due volte anche nel 1870, viene re­spinto fra numerose interruzioni e proteste della Sinistra.

Il 10 maggio 1872, è la volta della soppressione delle Facoltà di Teologia delle Università statali, un fatto che suscita viva im­pressione non solo tra le fila dei cattolici. Il 12 marzo 1876, vie­ne chiusa l’università «illegale» di Palazzo Altemps a Roma, costituita dai professori che avevano rifiutato un nuovo giu­ra­mento di fedeltà al re, richiesto il 26 settembre 1871. Il clima di crescente totalitarismo vede nel 1898 la temporanea soppressione di oltre seimila associazioni «sovversive» cattoliche da parte del ministro dell’Interno marchese Antonio Di Rudinì (1839-1908). A queste e altre discriminazioni di carattere legislativo, sono da aggiun­ge­re il continuo boicottaggio verso i docenti cattolici delle Uni­ver­sità statali e le loro opere, contrapposto, fra l’altro, alle nomine di preti ribelli all’autorità ecclesiastica o apostati.

3. L’idea di una università cattolica

Non è possibile comprendere la maturazione dell’idea di un a­teneo cattolico italiano se si prescinde dal totalitarismo culturale esercitato dallo Stato unitario. A differenza delle Università me­dioevali — originariamente nate come libere associazioni di stu­denti o docenti miranti alla ricerca della verità —, la necessità di una Università cattolica scaturisce di fatto dalla reazione a un processo di secolarizzazione forzata: e, in Italia, sono proprio gli esponenti del cosiddetto «intransigentismo» a farsi promotori dell’iniziativa verso fasce d’opinione sempre più ampie e anche non cattoliche. La necessità di assicurare la trasmissione di prin­cìpi e di conoscenze non più accettate dall’insegnamento stata­le suscita, già dal primo Congresso cattolico di Venezia nel 1874, gli interventi a favore di una università cattolica da parte di Gio­van­ni Acquaderni (1839-1922) e Giambattista Casoni (1830-1919). Fino al XV Congresso cattolico (Milano, 1897) l’idea è quindi tenuta viva da Giuseppe Tovini (1841-1897) — beatificato nel 1998 da san Giovanni Paolo II (1978-2005) —, e, in tale occasione, formulata in modo più articolato da don Davide Albertario (1846-1902). 

La realizzazione del progetto deve tuttavia attendere un ra­di­cale mutamento del clima politico, che avrà luogo solo dopo la Prima Guerra Mondiale (1914-1918), anche a seguito degli ac­cor­di di collaborazione elettorale fra cattolici e liberali, stipulati in vista della consultazione del 1913 — il famoso «patto Gentiloni» — e miranti a minimizzare le possibilità di successo del fronte socialista.

L’iniziativa di dare attuazione all’ateneo cattolico era stata per­seguita sin dal 1907 da padre Agostino Gemelli O.F.M. (1878-1959), che si avvarrà di un ristretto gruppo di collaboratori fra i quali spicca la figura di monsignor Francesco Olgiati (1886-1962). Padre Gemelli — già repubblicano, socialista, assistente alla cattedra di Medicina dell’Università statale di Pavia e di­ve­nuto francescano nel 1903 —, sarà Magnifico Rettore della Cat­tolica dal 1921 fino alla morte.

4. Il PPI nella fondazione dell’Università Cattolica di Milano

Analogamente a quanto fatto nei confronti di altre iniziative del movimento cattolico, il Partito Popolare Italiano — fondato da don Luigi Sturzo (1871-1959) il 18 gennaio 1919 — s’innesta fin da subito anche sul moto di reazione suscitato dalla politica scolastica governativa. Per l’istruzione è l’on. Antonino Anile (1869-1943) a guidare le scelte dei popolari in tema, sia al­l’in­terno del partito, sia come sottosegretario all’Istruzione durante il periodo in cui il ministero è retto da Benedetto Croce (1866-1952) — cui è le­ga­to da amicizia personale e da consonanza d’idee — e ministro nel 1922. Proprio nove giorni dopo la nomina al ministero di Croce ha luogo il primo ri­conoscimento giuridico dell’ente morale Istituto di Studi Su­pe­riori Giuseppe Toniolo con il Regio Decreto 24 giugno 1920. L’Istituto fungerà da organo di controllo e di sostegno economico dell’Università. Al Toniolo, retto da un Comitato Permanente, i cui membri sono nominati per cooptazione, spetterà la designazione della maggioranza dei componenti del consiglio di amministrazione del futuro ateneo. 

Così, l’Istituto Toniolo dà vita all’Università Cattolica, che vie­ne riconosciuta come tale dalla Sede Apostolica il 25 dicembre del 1920 e inaugurata il 7 dicembre 1921. In merito al­l’av­ve­ni­mento, il settimanale fiorentino Fede e ragione, pur non e­scludendo che l’Università Cattolica possa assumere «forma e contenuto più cattolici», non manca di lamentare «la pre­pon­de­ranza del P.P.I. nel nuovo istituto» — di cui il discorso inau­gu­rale tenuto dall’on. Anile e l’intervento di don Sturzo sono con­ferma —; il discorso di un altro deputato popolare sul patriot­ti­smo del mazziniano Goffredo Mameli (1827-1849); la «pessima relazione su Scienza e fede» tenuta dal padre barnabita Giovanni Semeria (1867-1931); il «troppo spazio dato nei programmi allo studio della sociologia e dell’economia politica a scapito della filosofia e l’assenza nei programmi della teologia e della sto­ria». Non si deve tuttavia considerare padre Gemelli come un popolare: la sua posizione costantemente critica verso il carattere di aconfessionalità del partito è confermata, fra l’altro, dalla pub­blicazione insieme a monsignor Olgiati, nel maggio del 1919, di un opuscolo dal titolo eloquente: Il Programma del P.P.I. che non è come dovrebbe essere.

5. Le caratteristiche dell’Università Cattolica di Milano

Le principali peculiarità del nuovo ateneo riguardano le finalità degli studi e l’accettazione di ordinamenti organizzativi e peda­gogici statali.

La nuova finalità degli studi — che muove dai contributi dei cardinali beato John Henry Newman (1801-1890) e, ancor più, Dé­si­ré Mercier (1851-1926) —, consisteva nel progetto neo­-sco­la­stico di far fronte al diffondersi del positivismo e, più in ge­ne­ra­le, del processo di secolarizzazione con la costruzione di una nuova sintesi dei dati della fede con quelli della scienza e della ragione. Purtroppo, alcuni docenti della neonata Università non comprenderanno appieno tale prospettiva, come accadrà a Giuseppe Zamboni (1875-1950), cui nel 1931 è revocato il nihil obstat necessario all’inse­gna­mento.

Relativamente al secondo aspetto, occorre tenere conto della nuova riforma dell’Uni­versità — con il Regio Decreto 30 settembre 1923 — fatta dal ministro Giovanni Gentile (1875-1944). Tale decreto, pur es­sendo di natura più liberale dei precedenti perché prevede l’e­si­stenza di università libere, vincola tuttavia il riconoscimento giu­ridico — e, pertanto, il valore legale dei titoli di studio — al­l’a­deguamento degli ordinamenti al disposto della stessa legge dello Stato. Pur nella totale assenza di contributi economici statali, la scelta che porta al riconoscimento giuridico all’Università Cattolica del Sacro Cuore — Regio Decreto 2 ottobre 1924 — preferisce una libertà limitata e compensata dal pieno valore legale dei ti­to­li di studio, alla totale libertà senza riconoscimenti statali. No­nostante questa limitazione, la Cattolica diviene uno dei più im­portanti centri di diffusione del neo-tomismo in ogni disciplina insegnata.

Con l’introduzione del nihil obstat alle nomine dei professori — con l’articolo 38 del Concordato dell’11 febbraio 1929 fra lo Stato italiano e la Santa Sede — si consolida la re­la­tiva libertà dell’ateneo, che verrà tuttavia riproposta in sede di Assemblea Costituente (1946-1947).

6. Dopo la Seconda Guerra Mondiale

A fianco della rinascita neotomistica, il clima prodotto dalla Con­ciliazione e del conseguente temporaneo minor controllo statale favorisce, già all’inizio della Seconda Guerra Mondiale (1939-1945), la costituzione nell’ateneo di un gruppo di docenti che co­stituirà la componente intellettuale maggioritaria del futuro partito della De­mo­crazia Cristiana, mentre la stessa sede di piazza Sant’Am­bro­gio diverrà un centro clandestino della Resistenza. Nel do­po­guerra, il gruppo catto-progressista di Cronache sociali sarà co­stituito per buona parte dai cosiddetti «professorini della Cat­to­li­ca», quali il venerabile Giuseppe Lazzati (1909-1986), don Giuseppe Dossetti (1913-1996), il venerabile Giorgio La Pira (1904-1977) e Amintore Fanfani (1908-1999).

La successiva legislazione universitaria repubblicana non co­no­sce provvedimenti legislativi di grande portata, tanto che il cambiamento maggiore nella vita accademica è provocato da una legge di liberalizzazione delle iscrizioni da parte dei diplomati degli Istituti tecnici — legge 21 luglio 1961, n. 685 —, che porta gli iscritti della Cattolica dai 6.800 del 1944 ai 21.000 del 1968. La secolarizzazione, l’aumento in progressione geometrica degli iscritti e il con­se­guente reclutamento di docenti meno selezionati, fa sì che l’ate­neo divenga già dal 1967 uno dei maggiori centri di ag­gre­ga­zio­ne e di espressione della contestazione studentesca: è la totale eterogenesi dei fini, che si manifesterà nell’abbandono del sem­pre decisivo sostegno economico da parte del mondo cattolico e abbisognerà di un comitato di vescovi designati dalla Conferenza Episcopale Italiana. 

Nell’attuale temperie di riforme «autonomistiche» operate dai governi progressisti, è auspicabile che l’Università Cat­to­lica sappia trovare nuovi modi per raggiungere quanto si pro­po­neva il suo fondatore, padre Gemelli: «Perché questo è il nostro sco­po: lavorare per la Chiesa cattolica […]. Lavorare per il nostro paese, per ridonarlo a Gesù Cristo».

David Botti

 

Per approfondire: sulle origini dell’Università Cattolica, vedi [monsignor] Fran­ce­sco Olgiati (1886-1962), L’università cattolica del Sacro Cuore, Vita e Pensiero, Milano 1955, vol. I; sul ruolo del PPI nei confronti del mo­vi­mento cattolico, Marco Invernizzi, Il movimento cattolico in Ita­lia dalla fondazione dell’Opera dei Congressi all’inizio della se­conda guerra mondiale (1874-1939), 2a ed. riveduta, Mimep-Docete, Pessano (Milano) 1995; sullo sviluppo dell’U­ni­versità Cattolica, Nicola Raponi (1931-2007), voce Università Cattolica, in Dizio­na­rio storico del movimento cattolico in Italia, 3 voll. in 5 tomi, Marietti, Torino 1981, vol. I, tomo 1, I fatti e le idee.

 

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