Ermanno Pavesi, Cristianità n. 33 (1978)
Constatazioni scientifiche e menzogne abortiste
UOMO FIN DAL PRIMO MOMENTO
Taluni gruppi abortisti propongono la liberalizzazione dell’aborto, quando questo venga praticato nelle prime dieci settimane o nei primi tre mesi di gravidanza. A questo momento dello sviluppo intrauterino viene data una grande importanza, come se ci si trovasse di fronte a una trasformazione fondamentale, a un passaggio qualitativo nello sviluppo.
Evidentemente tale distinzione si basa sulla nomenclatura dell’embriologia, che chiama il prodotto del concepimento embrione nei primi tre mesi di gravidanza e feto dopo la fine del terzo mese. Per questi abortisti, l’uccisione dell’embrione deve essere valutata in modo completamente differente dalla uccisione del feto, e considerano lecita l’una e illecita l’altra.
Una tale presa di posizione è priva di ogni validità: prima di costruire teorie o dedurre conseguenze giuridiche da una tale distinzione, è necessario appurare quale significato e portata venga a essa attribuita dagli scienziati.
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L’embriologia umana è rimasta per lungo tempo una delle branche più arretrate delle scienze mediche: la scarsezza del materiale di studio a disposizione, la rudimentalità delle tecniche di ricerca, inadeguate fino a qualche anno fa allo studio di strutture estremamente piccole e microscopiche, unitamente ai pregiudizi evoluzionistici di molti ricercatori, hanno rallentato il progresso delle conoscenze in questo settore o hanno avviato le ricerche su strade sbagliate. Di fatto, fino a pochi anni fa gli scienziati disponevano di osservazioni limitate nel numero, condotte con una tecnica inadeguata all’oggetto di studio, e tali osservazioni erano più che altro sommarie descrizioni morfologiche dell’aspetto esterno dell’embrione. I pregiudizi evoluzionistici hanno poi giustificato l’espediente di rimediare alla frammentarietà e alla incompletezza delle osservazioni dell’embriologia umana, facendo ampio uso di materiale dell’embriologia animale: in tale modo è stato possibile mettere insieme un quadro completo, ancorché falso, dello sviluppo embrionale dell’uomo.
In questo ambito i pregiudizi evoluzionistici possono essere così riassunti:
a. tutte le specie animali, anche quelle superiori – uomo compreso -, rappresenterebbero il risultato della evoluzione da una cellula primordiale. A un certo momento sarebbe avvenuta una trasformazione per cui questa cellula, invece di dare vita a cellule simili a sé stessa, avrebbe dato vita a un essere più complesso. Grazie a una serie di mutazioni, sarebbero comparse specie sempre più complesse, fino alla comparsa dell’uomo. A questo graduale passaggio da un essere unicellulare alle specie più complesse è stato dato il nome di filogenesi;
b. ogni essere vivente ripercorrerebbe tale evoluzione primordiale nel proprio sviluppo individuale (ontogenesi), nel passaggio da essere unicellulare alla sua forma definitiva. Tale principio viene espresso con la formula lapidaria: «l’ontogenesi ripete la filogenesi».
In base a tali erronee convinzioni, l’uomo, come tutti gli altri animali, ripercorrerebbe, nel corso del proprio sviluppo, le varie fasi della filogenesi, assumendo, in ogni fase dello sviluppo, caratteristiche che lo farebbero assomigliare alla specie animale fermatasi nel proprio sviluppo a quella particolare fase della scala filogenetica. Secondo gli evoluzionisti una dimostrazione di questa teoria sarebbe costituita dai cosiddetti «organi rudimentali o residuali»: nel passaggio da una specie a quella superiore alcuni organi perderebbero la loro funzione, ma continuerebbero a comparire negli animali superiori, anche se in forma «rudimentale o residuale», a causa del mancato uso. Gli evoluzionisti pensano di potere identificare anche nell’uomo certe «formazioni» attualmente prive di ogni funzione, che rappresenterebbero, in forma rudimentale, organi funzionanti in specie inferiori, o abbozzi di organi pienamente sviluppati in altre specie animali. Ciò dimostrerebbe che l’uomo non è stato creato così com’è, ma si sarebbe sviluppato dall’evoluzione di specie inferiori, e gli organi rudimentali rappresenterebbero il ricordo del passato animale dell’uomo. Come tipici organi rudimentali vengono indicate le cosiddette «branchie» e la «coda».
Questa concezione considerò possibile e scientificamente corretto rimediare alla mancanza di osservazioni su embrioni umani con il ricorso a osservazioni su embrioni animali, cercando in tal modo di riempire le lacune con materiale estremamente vario. Si è ammessa a tale punto la somiglianza tra un embrione umano e quello di un animale in uno stadio filogenetico corrispondente, da renderli di fatto interscambiabili e da considerare legittima l’utilizzazione delle osservazioni animali per approfondire l’embriologia umana! L’embriologia «umana» che ne è derivata è priva di ogni validità scientifica: per la presenza di osservazioni della embriologia animale non può essere considerata valida come embriologia umana, ma non può neanche essere considerata come embriologia comparata, in quanto la embriologia comparata richiede lo studio accurato della embriologia delle varie specie e in un secondo tempo il confronto delle linee di sviluppo, ma non consiste affatto nella confusione più completa di osservazioni di svariata provenienza.
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La superficialità e il pressapochismo delle teorie evoluzioniste sono emersi gradualmente con i progressi della biologia e della medicina. Gli studi di biologia cellulare hanno mostrato che le differenze tra le diverse specie sono già presenti a livello cellulare, fatto questo che rende quanto mai problematiche trasformazioni, che erano state ammesse dagli evoluzionisti con una disinvoltura sconcertante. Le caratteristiche di un essere vivente sono lo sviluppo di potenzialità presenti nella cellula, per cui la trasformazione di un carattere presuppone una precedente trasformazione a livello cellulare. In particolare, ogni essere vivente viene concepito con un determinato patrimonio genetico e il suo sviluppo sarà il risultato della interazione tra patrimonio genetico e ambiente: l’ambiente può favorire o meno lo sviluppo di certe potenzialità, ma certamente nessun essere vivente può sviluppare potenzialità che non sono presenti nel suo patrimonio genetico. Già al momento del concepimento la cellula umana ha caratteristiche specificamente umane, per cui è possibile distinguerla nettamente da ogni altro essere monocellulare o dall’uovo fecondato di qualsiasi altro animale.
I progressi della fisiologia e della biochimica hanno portato solo in minima parte al chiarimento del funzionamento dell’organismo vivente; per il momento hanno dimostrato più che altro che i processi vitali sono molto più complessi di quanto non si sia immaginato in passato, e continuamente vengono scoperte nell’organismo sostanze attive di cui in passato non si è neanche sospettata l’esistenza. Per cui, oggi, nessuno scienziato serio può presumere di avere chiarito completamente la funzione di un determinato organo, e quindi è per lo meno azzardato definire «inutile» un organo.
Queste nuove conoscenze della biologia e della medicina sono già state ampiamente divulgate, anche se non tutti quelli che ne sono a conoscenza ne traggono le dovute conseguenze; ci sono però conoscenze in altri campi della medicina che non riescono a superare nella loro diffusione la cerchia ristretta degli specialisti; è questo il caso degli studi del professor Erich Blechschmidt della università di Göttingen.
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Nel corso della sua lunga attività Blechschmidt ha messo insieme una raccolta di materiale di embriologia umana unica al mondo. Blechschmidt non si è però limitato a una osservazione superficiale dei caratteri esterni dell’embrione o a un esame sommario degli organi interni, ma ha effettuato ricerche di una complessità e di un rigore eccezionali.
Per fare un esempio, ha preso un embrione di 7,5 mm e ne ha ricavato 700 (!) sezioni e successivamente altrettanti preparati, che poi ha studiato al microscopio, ricavandone 2.000 fotografie e altrettanti disegni e schizzi. Servendosi di questo numero enorme di sezioni è stato possibile ricostruire un modello tridimensionale dell’embrione notevolmente ingrandito, in cui non solo l’aspetto esterno, ma anche la forma e il decorso degli organi interni sono una riproduzione estremamente fedele dell’originale. Questo lavoro non è stato fatto solamente su un singolo embrione, ma su decine, in differenti fasi di sviluppo.
Questa enorme mole di materiale ha consentito di approfondire considerevolmente le nostre conoscenze dell’embriologia umana: ognuno di questi modelli consente una migliore comprensione del significato funzionale degli organi presi singolarmente e nel loro complesso in una determinata fase dello sviluppo; il confronto, poi, dei vari modelli consente di seguire e di conoscere la comparsa e lo sviluppo di tutto l’embrione e dei vari organi.
I risultati di queste ricerche sono sorprendenti: «un uovo umano pesa circa 0,0004 milligrammi; dopo due settimane di crescita la struttura embrionale che diventa gradualmente visibile misura circa 0,2 millimetri, ma anche in queste piccole dimensioni è già riconoscibile come tipicamente umana. Con la conoscenza delle modificazioni somatiche dei primi minuscoli organi, noi riusciamo ad avere una immagine degli inizi delle prestazioni individuali dell’uomo e riscontriamo già funzioni fondamentali degli organi. Vi riconosciamo i presupposti fondamenti per le sue prestazioni future» (1).
Nello sviluppo embrionale non è possibile riscontrare «salti qualitativi»: ogni fase ha il suo presupposto nella fase precedente, e non può neanche essere considerata come compiuta in sé, ma rappresenta il presupposto degli sviluppi successivi.
In un embrione di 15 millimetri, già prima della formazione delle mani e dei piedi, l’atteggiamento e il movimento degli abbozzi delle braccia e delle gambe sono tali che è possibile distinguere nettamente il movimento di afferramento degli arti superiori da quello di sgambettamento degli arti inferiori. È quindi errato ritenere che le estremità si siano sviluppate in un primo tempo in maniera indifferenziata e che abbiano acquisito una determinata forma solo dopo essere state usate per una certa funzione. Per quanto riguarda l’embrione umano, la mano prensile e il pollice opponibile possono essere già intravisti nell’atteggiamento del primo abbozzo del braccio, quando la mano non si è ancora formata.
Gli studi di Blechschmidt hanno consentito di sfatare la leggenda degli «organi residui». Questa teoria era basata unicamente su osservazioni esteriori e superficiali dell’embrione umano, ignorandone del tutto l’anatomia e la fisiologia; ma il funzionamento del corpo umano si è dimostrato più complicato di quanto non immaginassero certi scienziati, e organi, che a una osservazione sommaria potevano sembrare loro «inutili» e «relitti dell’evoluzione», hanno dimostrato, invece, di possedere una funzione ben precisa. «Haeckel, che non poteva ancora prendere in considerazione gli organi in relazione a tutto lo sviluppo ontogenetico del corpo, riteneva che molti organi fossero “residui”. Di fatto, in nessun caso è stato dimostrato che tali organi siano residui di tempi anteriori. Tutti gli organi studiati si dimostrarono in funzione in ogni fase dello sviluppo» (2).
Tutti gli organi studiati hanno quindi dimostrato di avere un senso nel contesto dello sviluppo embrionale e di non essere assolutamente «residui» e «organi inutili».
Questo vale, per esempio, per le cosiddette «branchie», che comparirebbero nell’embrione umano. Non si tratta, scrive Blechschmidt, «di caratteri tipici dei pesci», che verrebbero ricapitolati nell’ontogenesi, «ma, come si è dimostrato, stanno piuttosto in stretta dipendenza dinamico-funzionale con lo sviluppo longitudinale del tubo neurale. In ogni fase dello sviluppo esse sono per posizione, forma esterna e struttura interna, parti costitutive di tutto l’embrione e quindi formazioni specificamente umane» (3).
Quanto detto vale anche per la cosiddetta «coda»: verso la quinta settimana l’embrione presenta un prolungamento del corpo, che può ricordare esteriormente la coda di certi animali. Una somiglianza esterna non può e non deve però ingannare, altrimenti sarebbe possibile approfondire la conoscenza delle antenne di una lumaca, servendosi di studi accurati sulla struttura delle corna di un capriolo!
Nelle prime settimane di vita l’embrione presenta una direzione di accrescimento prevalentemente longitudinale e in questa fase è soprattutto il tubo neurale che si accresce e si allunga. Nella parte superiore il tubo neurale dà origine al cervello, nella parte inferiore, invece, «deborda» dal resto dell’embrione, in quanto gli organi viscerali, che costituiranno il tronco, sono ancora relativamente piccoli; si costituisce così un’appendice, che alcuni scienziati del passato hanno considerato come un residuo della coda, tipica di animali inferiori. In realtà, si tratta di un abbozzo dei midollo spinale relativamente lungo rispetto a un tronco ancora poco sviluppato, per cui ma parte del midollo deborda e forma la «coda». Quindi la «coda» non è un «residuo», ma una fase comprensibile dello sviluppo embrionale; inoltre, la costituzione anatomica e la relazione con il resto del corpo la fanno differire sostanzialmente dalla coda degli animali.
Torniamo ora al problema che ci siamo posti all’inizio di questa nota: è legittimo considerare l’embrione come un essere non ancora «umano» e quindi come privo della dignità e dei diritti umani?
Le conoscenze della genetica e della biologia cellulare hanno già dato una risposta chiara, che viene adesso confermata pienamente dagli studi di Blechschmidt: fin dal momento del concepimento è presente tutto il patrimonio genetico dell’uomo. Questo patrimonio genetico indirizza e caratterizza lo sviluppo fin dalle primissime fasi, per cui uno studio minuzioso e accurato consente di riconoscere l’essere come tipicamente umano in ogni fase del suo sviluppo, e quindi anche in quella embrionale. Queste sono le conclusioni alle quali arriva anche Blechschmidt: «un uovo umano non contiene nel suo interno né il patrimonio genetico di una gallina, né quello di un pesce. Questo dato di fatto, oggi dimostrato, non consente più di discutere se e quando, cioè nel corso di quale mese dell’ontogenesi, si origini, per così dire a posteriori, un uomo […] e la domanda che viene continuamente posta: perché da un uovo umano si debba generare un uomo, è perciò falsa già nella sua formulazione: un uomo non diventa uomo, ma è uomo in ogni fase del suo sviluppo» (4).
ERMANNO PAVESI
Note:
(1) ERICH BLECHSCHMIDT, Wie beginnt das menschliche Leben, Christiana-Verlag, Stein am Rhein 1976, p. 11.
(2) Ibid., pp. 59, 62.
(3) Ibid., pp. 97-98.
(4) IDEM, Vom Ei zum Embryo, Rowohlt 1970, p. 35.