Perché Gianni Vattimo è l’emblema delle degenerazioni odierne del pensiero e non può in alcun modo essere considerato un autore cattolico
di Salvatore Calasso
L’Istituto per la Dottrina e l’Informazione Sociale nel lontano 1997 pubblicò per le edizioni Cristianità il volume Voci per un “Dizionario del Pensiero Forte”, in cui si racchiudevano gli articoli già apparsi sul quotidiano Il Secolo d’Italia con l’intento di proporre un piccolo dizionario enciclopedico «[…] che fa riferimento al “senso comune”, l’insieme organico delle certezze di fatto e di principio che sono comuni a ogni uomo, fra le quali la legge naturale, e costituiscono la base del pensiero forte, veramente umile perché realistico, premessa razionale all’atto di fede, quindi integrato esplicitamente, quando del caso, dal Magistero della Chiesa cattolica» come scrisse allora Giovanni Cantoni (1938-2020), fondatore di Alleanza Cattolica, nell’introduzione al volume (IDIS, Istituto per la Dottrina e l’Informazione Sociale, Voci per un “Dizionario del Pensiero Forte”, a cura di Giovanni Cantoni, Presentazione di Gennaro Malgeri, Cristianità, Piacenza 1997, p. 12). Questo libro aveva lo scopo di proporre un’alternativa credibile al cosiddetto “pensiero debole”, che rinunciando a ricercare ed enunciare verità assolute, sprofonda in un relativismo teoretico ed etico, ripiegando l’uso della ragione sulla mera gestione del presente, fondata sull’affermazione del proprio io individuale.
Uno degli artefici del “pensiero debole” è stato il filosofo torinese Gianteresio, detto “Gianni”, Vattimo (1936-2023), scomparso di recente. Egli ha teorizzato l’abbandono della fondazione metafisica del pensiero e la relativizzazione di ogni prospettiva filosofica. Per Vattimo la concezione della verità è un’apertura interminabile di interpretazioni di ciò che si dà nella storia e nel reale, senza alcuna adesione a verità scoperte o rivelate che impegnano l’individuo a conformarsi a esse.
L’impresa intellettuale di Vattimo si inserisce nel filone della storia del pensiero post-metafisico, che vede nella caduta delle evidenze metafisiche e nell’impossibilità di raggiungere alcuna verità un potenziale liberatorio per l’uomo che lo affranca da tutte le mitologie “fondazioniste”, che avevano disciplinato per secoli la sua vita e la sua storia, per restituirlo non solo al peso, ma anche all’avventura di una libertà senza garanzie e di una contingenza senza premi differiti in un’altra vita.
Vattimo ha insegnato che il pensiero moderno, nella sua parabola finale, consegna la storia umana a se stessa e alla responsabilità di conoscenze relative, ma non irrazionali, bensì frutto di una ricerca “debole”, che non vuole ingaggiarsi in un’ardua conoscenza del vero e del bene. Da qui discende che per il “pensiero debole” non ci sono fatti ma solo interpretazioni, e che la verità oggettiva, ossia la verità ricercata da tutta la storia della filosofia occidentale, in particolare dalla sua tradizione metafisica, non esiste. Il pensiero debole si contraddistingue pertanto per l’abbandono di ogni pretesa di comprendere la verità e per la rinuncia di ogni visione filosofica che vuole dimostrare una verità concreta. Essa viene sostituita dall’interpretazione, quale risultato delle visioni storiche e linguistiche con cui l’uomo elabora la sua comprensione, sempre parziale e cangiante, della realtà, del mondo e degli altri.
Memore dei trascorsi giovanili in Gioventù Studentesca di Azione cattolica, Vattimo si interroga sul cristianesimo, ma la sua è una ricerca “filosofica”, non un incontro vivente con il Risorto nel suo corpo vivente che è la Chiesa. Non a caso interpretò la post-modernità come frutto del cristianesimo, il quale “secolarizza” una religiosità sacrale e vittimaria, trasformandola in una fede “progressista” che emancipa l’individuo. La concezione cristiana dell’Incarnazione sarebbe essa stessa secolarizzante, poiché illustra il rapporto con Dio come mera interpretazione storica e sempre individuale, quindi relativa, del messaggio e della verità.
Con questa concezione, Vattimo unisce il pensiero debole, che nella sua essenza non vuole trovare nessuna verità e non vuole fondare nessuna metafisica, con una religiosità “debole”, che pensa alla debolezza dell’essere. L’essere per Vattimo si da sempre indirettamente nella storia; è una mancanza, non una piena presenza capace di fondare la verità. Per Vattimo la verità non si rivela, ma si interpreta, e trova la sua base giustificativa attraverso l’amore conseguente a una concezione interpretativa della realtà.
Rifacendosi a una sua interpretazione dello spirito evangelico, Vattimo rifiuta ogni Cristianità, vista come trionfalistica e militante, proponendo un “cristianesimo kenotico” che si esprime nel “pensiero debole”. Per Vattimo si tratta di liberare la fede cristiana dal legame metafisico, inteso come profondamente violento, liberando il Dio di Gesù Cristo dalla prigione metafisica che, secondo lui, ne avrebbe fatto smarrire il senso autentico.
Nella sua ermeneutica, la Cristianità, che fa coincidere col cattolicesimo convenzionale, è destinata alla sconfitta, non cosi la fede cristiana, che va ripensata alla luce della secolarizzazione di cui è l’attuazione.
Per il filosofo torinese il Venerdì Santo sembra essere l’ultimo giorno della settimana di Passione e non contiene quel fondamento della risurrezione che risplenderà al mattino della domenica di Pasqua. La morte indicherebbe il definitivo sprofondare nel nulla eterno dell’uomo. Il futuro non è nei cieli, ma sottoterra.
Il cristianesimo di Vattimo, oggi tanto lodato in alcuni ambienti cattolici che hanno abbracciato la prospettiva debole della loro fede, non appartiene al pensiero cristiano. Lo ricorda loro lo stesso filosofo in un dialogo con lo scrittore Vittorio Messori e riportato nel volume Pensare la storia: «Voi cattolici […] avevate resistito impavidi per quasi due secoli all’assedio della modernità. Avete ceduto proprio poco prima che il mondo vi desse ragione. Se tenevate duro ancora un po’, si sarebbe scoperto che gli “aggiornati”, i profeti del futuro post-moderno eravate proprio voi, i conservatori. Peccato. Un consiglio da laico: se proprio volete cambiare ancora, restaurate, non riformate. È tornando indietro, verso una Tradizione che tutti vi invidiavano e che avete gettato via, che sarete più in sintonia con il mondo d’oggi, che uscirete dall’insignificanza in cui siete finiti “aggiornandovi” in ritardo. Con quali risultati, poi? Chi avete convertito, da quando avete cercato di rincorrerci sulla strada sbagliata?» (Vittorio Messori, Pensare la storia. Una lettura cattolica dell’avventura umana, Prefazione del cardinale Giacomo Biffi, Edizioni Paoline, Cinisello Balsamo (MI) 1992, p. 305).
Forse l’insignificanza della fede è proprio il frutto marcio di un pensiero debole penetrato come fumo di Satana in ambienti cristiani, affascinati proprio dall’insignificanza scambiata per autenticità e dalla debolezza come rinuncia alla verità da proporre quale ancora di salvezza allo smarrimento dell’uomo occidentale post-moderno.
Giovedì, 5 ottobre 2023