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Venti di guerra dal Kashmir

28 Febbraio 2019 - Autore: Valter Maccantelli

di Valter Maccantelli

Il 14 febbraio un attentato terroristico suicida a Pulwama, a sud di Srinagar, lungo le valli del Kashmir, in India, ha ucciso 40 paramilitari indiani. L’azione è attribuibile a Jaish-e-Mohammed, un’organizzazione terroristica musulmana di area Deobandi, con sede in Pakistan. A meno di due settimane dall’attentato, 12 aerei indiani da guerra hanno superato la linea del confine con il Pakistan e, dopo essere penetrati per 130 miglia nello spazio aereo del Paese, hanno distrutto uno dei quartieri generale dei terroristi autori della strage. Nel raid l’India ha perso due velivoli, abbattuti dalla contraerea di Islamabad, che ha anche catturato uno dei piloti. Ora, l’“attentato di san Valentino” s’inquadra in un contesto geopolitico più ampio.

In Pakistan il rapporto tra le forze della sicurezza (specialmente l’ISI, il principale servizio di intelligence) e le organizzazioni terroristiche è sempre stato molto ambiguo. Per tutto il periodo dell’occupazione sovietica dell’Afghanistan, gli Stati Uniti si sono serviti dell’ISI come intermediario per finanziare e per armare una galassia di movimenti di resistenza, alcuni dei quali si sono poi trasformati in Organizzazioni terroristiche. Lo stesso Osama Bin Laden (1957-2011) è stato eliminato nella “fortezza” di Abbottabad, in Pakistan, dove viveva probabilmente con un certo grado di tolleranza da parte delle autorità.

Di fatto oggi si è creato un network attorno a Laskar-e Taiba, l’organizzazione terroristica islamica più radicata e organizzata, che raggruppa numerose sigle locali tra le quali anche Jaish-e Mohammed (J-e-M), il gruppo che ha rivendicato l’attentato di Pulwama.

Il governo pakistano ha più volte dichiarato di avere bandito J-e-M, ma sia il capo di Laskar-e Taiba, Mohammed Hafiz Saeed, sia quello di J-e-M, Masood Azhar, vivono in Pakistan liberi e indisturbati. L’India ha
ripetutamente richiesto di inserire Azhar nella lista dei terroristi internazionali, ma l’iniziativa è stata sempre fermata dal veto cinese.

La realtà è che lo stato di tensione ‒ e questa stessa escalation ‒ sembra funzionale agli interessi di tutti e tre gli attori che operano in Kashmir: Pakistan, India e Cina.

Il Pakistan è uno Stato sulla soglia del fallimento, se non già oltre, strangolato dal debito e con ampie porzioni di territorio di fatto incontrollabili. Il suo interesse nell’alzare la tensione è la speranza che gli occidentali continuino a finanziarlo per evitare che lo scontro degeneri in catastrofe, essendo sia Islamabad sia Delhi potenze nucleari.

In India il 2019 è anno di tornate elettorali lunghe e complesse nelle quali il partito nazionalista hindu Bharatiya Janata Party del primo ministro Nerendra Modi cercherà di restare al potere, dirottando la tensione sui nemici esterni e interni, e appoggiandosi sempre di più al nazionalismo paninduista dell’ideologia Hindutva, molto presente nella società indiana.

La Cina ha interessi più pragmatici: le difficoltà del Pakistan servono a Pechino per tenere l’alleato al guinzaglio, proponendosi come scudo politico e diplomatico verso il resto del mondo al fine di impedire che Islamabad venga dichiarato uno        Stato “canaglia”, come appunto vorrebbe l’India. Per Pechino il Pakistan è del resto essenzialmente una via di comunicazione che consentirebbe di tracciare uno degli assi portanti del progetto delle “Nuove Vie della Seta” (o “Belt and Road Initiative”) per collegare la rotta est-ovest dell’Asia Centrale con una diramazione nord-sud in grado di unire i passi del Karakorum con i porti dell’Oceano Indiano: cosa però impossibile sia attraverso l’India, che è un competitor diretto, sia attraverso l’Afghanistan, perché semi-talebano.

La cifra geopolitica più significativa, che suggerisce di tenere gli occhi aperti sulla regione per tutto il 2019, sembrano comunque essere le elezioni indiane. Fra gli avversari contro cui il partito di Modi cercherà di compattare l’elettorato ci sono infatti anche i cristiani indiani, descritti come agenti di interessi stranieri. Molti indicatori fanno temere ‒ come in parte sta già avvenendo ‒ una recrudescenza degli episodi di persecuzione anticristiana, che, mediaticamente surclassati dai venti di guerra in Kashmir, potrebbero avvenire nell’indifferenza generale. Come purtroppo speso accade.

Giovedì, 28 febbraio 2019

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