Giovanni Cantoni, Cristianità n. 278 (1998)
Articolo anticipato, senza note e con il titolo redazionale “L’importanza di essere cattolici” alle soglie del terzo millennio, in Secolo d’Italia. Quotidiano di Alleanza Nazionale, anno XLVII, n. 97, 26-4-1998, p. 7.
Scrivo queste righe nella morale certezza — non scomodo la certezza scientifica — che le parole cui intendo fare eco, eco non avranno. Datato marzo 1998 è uscito il quarto numero della nuova serie di Nuntium, rivista quadrimestrale della Pontificia Università Lateranense, pubblicata dall’editrice milanese Mursia. Il dossier del fascicolo è dedicato al tema Il Duemila della Fede e comprende un articolo del card. Francis Arinze, presidente del Pontificio Consiglio per il Dialogo Inter-Religioso, dal titolo inconsueto e stimolante: L’importanza di essere cattolici (1). Cosa scrive il porporato africano? Variamente esemplificando giunge a una prima conclusione, secondo cui “il mondo conosce situazioni variabili e così richiede sfumature nei giudizi della situazione religiosa”; quindi rileva come, alla vigilia del Terzo Millennio, le relazioni fra la Chiesa cattolica e le altre religioni, vissute al tempo di Papa Giovanni XXIII e del Concilio Vaticano II in termini “di luna di miele”, costringano i partner “ad andare oltre le generalizzazioni, ad affrontare difficoltà che sorgono e a lavorare in forme permanenti di associazioni”.
Dopo aver rilevato che il “mondo d’oggi” è “segnato dalla pluralità religiosa”, sì che “a stento vi sono infatti nel mondo alcune aree dove esista solo una religione” e “più spesso […] seguaci di diverse religioni vivono e lavorano fianco a fianco”, il card. Arinze ricorda come questa situazione faccia “necessariamente sorgere la questione del diritto alla libertà religiosa”, sì che “l’osservanza di tale diritto è divenuta un argomento vitale di conversazione fra leaders religiosi e fra leaders religiosi e autorità civili”.
Dopo queste notazioni socio-politiche, ovvie, ma non per questo meno indispensabili come quadro di fondo, il porporato africano viene a una parte prescrittiva, quella riguardante l’atteggiamento da tenersi dai cattolici in questa situazione. “I cattolici che vogliono avviare dei sani contatti interreligiosi nel terzo millennio dovranno avere un’idea molto chiara della loro identità cattolica. Dovranno anche vivere in pace totale con ed in questa identità”. Fra questa frase e quella seguente si percepiscono commenti impliciti — che lo stesso ecclesiastico nigeriano deve aver certamente colti —, misti di stupore perché non si affida la convivenza quasi esclusivamente a disposizioni statuali, a “regole”, oppure, almeno, perché non si parla piuttosto della comprensione per l’identità religiosa altrui, e di timore per una possibile deriva integrista da parte cattolica. Perfettamente consapevole di questa condizione della cultura intraecclesiale, il presidente del Pontificio Consiglio per il Dialogo Inter-Religioso, sia pure andando a capo, prosegue: “Non è fanatismo. È solo questione di avere una chiara e pacifica immagine di sé. Un cattolico non deve agire come se si stesse scusando di essere cattolico. Gli altri credenti non chiedono ai cattolici di rinunciare alla loro identità, sia nelle credenze, nel codice morale o nei riti liturgici. E se essi cercassero di forzare i cattolici fuori dalla loro identità, verrebbero visti come irragionevoli e non verrebbero ascoltati”. Tutto chiaro. Perciò — dopo essermi chiesto se la traduzione sia corretta e non nasconda piuttosto un “dovrebbero essere visti come irragionevoli e non dovrebbero essere ascoltati” — proseguo a mia volta nella trascrizione del documento: “Quindi i cattolici sposati che vivono fedelmente la loro vita di fede, i giovani cattolici che vogliono divenire preti o religiosi, i monaci cattolici, le monache e gli eremiti, i politici cattolici che cercano di portare lo spirito di Cristo in Parlamento o nei partiti politici, i membri di movimenti od associazioni riconosciute — tutti necessitano di essere incoraggiati a rimanere pienamente e dinamicamente cattolici”.
Dunque, di fronte al pluralismo religioso delle società moderne il cattolico non deve scusarsi della propria identità, ma preoccuparsi della propria ortodossia, “avere una chiara e pacifica immagine di sé”, quindi presentarsi apertamente con tale identità cattolica e “questa — assicura l’autorevole esponente della Gerarchia — è anche la risposta migliore alle sette, nuovi movimenti religiosi o gruppi esoterici o pseudo-religiosi che causano tanta confusione nell’orizzonte religioso”. Non solo, ma dalla ricerca accurata e dalla conservazione gelosa di questa identità, perciò “dalla preparazione di coloro che ne sono coinvolti” dipenderà se il Terzo Millennio sarà “un millennio di più felici ed armoniche relazioni fra Chiesa cattolica e altri credenti”.
Ma tali “più felici ed armoniche relazioni” non sono tutto, non esauriscono l’orizzonte religioso; perché né il fatto del pluralismo, né l’impegno alla conservazione dell’identità cattolica escludono assolutamente la missione, cioè “[…] non significa[no] che la Chiesa abbia messo da parte la proposta di Cristo agli altri che liberamente vogliono conoscerlo o credere in lui”. Grazie, Eminenza.
Note:
(1) Cfr. card. Francis Arinze, L’importanza di essere cattolici, in Nuntium. Rivista quadrimestrale della Pontificia Università Lateranense, anno X, nuova serie, n. 4, marzo 1998, pp. 24-27; le citazioni da questo articolo sono senza rimando e, a causa della sua brevità, non ne è indicata la paginazione.