Alfredo MacHalle Espinosa, Cristianità n. 94 (1983)
Fra le due parti maggiori del continente americano una costellazione di piccoli stati sconvolti dalla sovversione politica socialcomunista, grazie alla determinante collaborazione dell’establishment liberal nordamericano e, soprattutto, del progressismo sedicente cattolico. Quattro illuminanti servizi giornalistici di un inviato speciale in America Centrale delle società di difesa della tradizione, della famiglia e della proprietà (TFP), redatti sulla base di materiale abbondante, aggiornato e di rilevante interesse, raccolto direttamente nella zona. I quattro testi sono comparsi, con il titolo comune América Central: futura URSS no Caribe?, in Catolicismo, anno XXXII, n. 382, ottobre 1982. La traduzione e il titolo comune in italiano sono redazionali.
Una piccola parte del mondo che la Rivoluzione non «trascura»
Verso la «Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche dell’America Centrale»?
1. L’America Centrale in una visione di insieme
Nel corso degli ultimi anni, la regione centroamericana è venuta attirando progressivamente l’attenzione della opinione pubblica mondiale, grazie ad abbondanti e continue notizie a suo riguardo pubblicate dalla stampa internazionale. Questa parte del continente americano, dimenticata per molti decenni tanto dagli americani settentrionali che da quelli meridionali, sembrava, a giudicare dalle notizie, essere in preda a un cataclisma politico, religioso ed economico-sociale, che l’avrebbe portata, gradatamente, a scivolare verso il comunismo e a costituire così qualcosa come una «Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche dell’America Centrale»; e, a questo titolo, cominciava ad attirare tutte le attenzioni.
Precedente fallito: l’America Meridionale
Qualche cosa di analogo era successo tra il 1963 e il 1973, approssimativamente, con le nazioni del cono meridionale, quando sono state vittime di una offensiva socialistica nella quale la Democrazia Cristiana, il clero «progressista» e rilevanti settori borghesi si sono organizzati per imporre – con l’aiuto dell’establishment liberal nordamericano – tendenze che si risolvevano in un vantaggio per il comunismo internazionale.
Nel corso di questo processo, diverse nazioni si sono viste sottomesse a regimi dichiaratamente o virtualmente marxistici – come il Cile, il Perù e la Bolivia – mentre altre, come l’Argentina e l’Uruguay, sono state sul punto di cadere in una condizione analoga. Nello stesso tempo, i germi e i sintomi del medesimo processo sono giunti a farsi sentire in altri paesi, come la Colombia e l’Ecuador, nei quali sono state promosse e approvate riforme strutturali socialistiche e confiscatorie, che ripetevano, con i dovuti adattamenti, le ingiustizie imposte, in modo precorritore, nelle nazioni meridionali.
Tale processo è stato guidato, in tutta l’America Meridionale, dai rappresentanti della sinistra cattolica, che, spesso protetti dai rispettivi episcopati, hanno promosso e hanno dato vita e credibilità – così come, posteriormente, protezione nell’ora della sconfitta – ai socialisti e ai marxisti di tutte le sfumature. Le TFP sono liete di essere sempre state alla avanguardia della opposizione a questo fraudolento processo di comunistizzazione, e di avere ottenuto importantissime vittorie nella battaglia ideologica, legale e pacifica, mirante a mettere in guardia la opinione pubblica cattolica delle rispettive nazioni nei confronti dell’inganno nel quale stava per essere indotta.
All’inizio hanno cominciato a circolare notizie relative alla insurrezione contro la dittatura di Somoza in Nicaragua, che nascondevano sistematicamente aspetti fondamentali della ribellione: il pensiero chiaramente e dichiaratamente marxistico dei suoi capi; il carattere semplicistico e privo di ideologia della repressione esercitata dal dittatore; la collaborazione dei governi del Venezuela, della Colombia e della Costa Rica con la dittatura del Panama e la tirannide castrista allo scopo di appoggiare il sandinismo; e, finalmente, la parte decisiva di Carter nel determinare il boicottaggio a Somoza, mentre manifestava simpatia verso la opposizione guerrigliera.
Dopo la sottomissione del Nicaragua al potere dei sandinisti, che venivano manifestando la loro posizione marxistica con enfasi crescente, il notiziario internazionale è passato a mettere a fuoco la situazione di El Salvador, dove un’altra offensiva guerrigliera cronica stava conducendo il paese sull’orlo della guerra civile. Mesi dopo, un golpe militare, applaudito dalla Casa Bianca, instaurava una nuova dittatura, questa volta chiaramente socialistica.
Si provoca la sensazione di un caos centroamericano generalizzato
Durante mesi di notizie incessanti relative alla crisi in El Salvador, la stampa mondiale ha cercato di mettere in risalto la imminente caduta del paese sotto il giogo comunista; in questo intervallo di tempo, in Guatemala sorgevano e crescevano i sintomi di un processo simile, nel quale apparivano anche sintomi di azione ecclesiastica rivoluzionaria.
Tale panorama, con le sue esagerazioni e i suoi miti – ma anche con la realtà più profonda che, ogni tanto, si può intravvedere, nonostante le deformazioni della stampa internazionale -, attira oggi l’attenzione del mondo. Questa situazione comporta anche un grave pericolo per le tre parti dei continenti americani.
Come inviato speciale delle TFP e di Catolicismo, ho potuto conoscere da vicino, nell’America Centrale, quanto sia in gioco il futuro delle nazioni latino-americane.
Una prima osservazione che si deve fare è la tangibile somiglianza di stirpe, di cultura e di mentalità dei popoli dell’America Centrale con i paesi della parte settentrionale dell’America del Sud. Poi, la importanza, sistematicamente taciuta, ma molto rilevante, di un insieme di nazioni che, nel loro complesso, coprono un territorio tre volte più grande di quello dell’Uruguay, con una popolazione equivalente al doppio di quella del Cile e una produzione economica analoga a quella della Colombia.
Premessa indispensabile: demolire miti
Un altro mito che, come preliminare, è necessario demolire, assomiglia a quello che circola in Europa e negli Stati Uniti a proposito delle nazioni sudamericane, ed e quello relativo al perdurare di abissali differenze economico-sociali, la cui esistenza – si sostiene – renderebbe comprensibili e persino giustificabili le rivoluzioni.
È evidente che in tutti i paesi vi sono differenze sociali, che negli ultimi anni sono venute accentuandosi considerevolmente, in conseguenza di fenomeni la cui universalità sarà un giorno spiegata dalla storia: la migrazione di contadini verso le città, la persecuzione dell’agricoltura e l’abbandono della stessa, la imposizione di modelli artificiali di vita e di consumo, la frequente applicazione di politiche economiche errate e discontinue, che hanno causato la rovina di ampi settori della popolazione. Così come la disincentivazione delle vaste e lodevoli opere di carità e di assistenza, in altri tempi realizzate, sotto l’influsso cattolico, da persone di elevata condizione sociale, l’avanzare della demagogia e di fermenti della lotta di classe; tutto questo ha contribuito a presentare le diverse categorie sociali come tra loro avversarie, invece di fare vedere in esse elementi gerarchicamente disuguali, ma destinati alla collaborazione armonica tra essi.
La diffusione di questo mito delle disuguaglianze abissali è stato un fattore tendente a paralizzare le reazioni dei paesi al momento non colpiti dal processo sovversivo. Tuttavia, è diventato chiaro che la burrasca della distorsione propagandistica, sotto l’impulso di molti elementi della stampa mondiale, si sarebbe diretta successivamente contro le diverse nazioni, facendole oggetto della stessa deformazione, appena il comunismo fosse stato nella imminenza di conquistarle.
Da ultimo, è necessario segnalare anche un altro mito, ossia quello relativo al supposto autentico anticomunismo di certe dittature centroamericane. Alcune di esse non si sono preoccupate di presentare un sostegno ideologico, ma si sono limitate alla repressione indiscriminata contro le diverse forme di opposizione, immaginando, così, di conservare la propria stabilità. Tale fatto ha originato un duplice effetto: ha suscitato, a lungo termine, resistenze molto maggiori, e ha tacitato le voci anticomuniste dissidenti, spingendo, in questo modo, molte persone a cadere nella sfera di influenza marxistica. È quanto, in modo caratteristico, è accaduto in Nicaragua con Somoza, con la aggravante delle concessioni inaspettate e sproporzionate che ha fatto al sandinismo, e che avrebbero potuto soltanto rafforzarlo.
Le forze attive nell’America Centrale
Detto questo, ci si deve chiedere quali sono le forze che operano nell’America Centrale, e in che senso lo fanno nell’attuale crisi.
Da un lato, è necessario mettere in risalto la esistenza di ecclesiastici – il cui potere e la cui influenza sono, in ogni caso, decisivi -, che, con frequenza, hanno operato, da quando si è reso evidente il processo di «autodemolizione della Chiesa», nel senso di trasformare l’atteggiamento conservatore del popolo, prima in «riformistico» e poi in «rivoluzionario».
D’altro lato, le forze «riformistiche» laiche, di natura chiaramente socialistica, come la Democrazia Cristiana, la Internazionale Socialista, alle quali si dovrebbe aggiungere la pressione dell’establishment nordamericano, che opera generalmente in senso favorevole allo spostamento a sinistra.
Le forze che hanno affinità con la Internazionale Socialista e con la Democrazia Cristiana generalmente si alternano con i militari locali nell’esercizio del potere. A volte – non sempre – l’elemento militare assume una posizione anticomunista, ma quasi invariabilmente senza capire che governare non significa anzitutto dominare; ma, piuttosto, guidare la pubblica opinione sulle vie dell’ordine e della tradizione, avendo di mira il miglioramento che normalmente essa desidera. Per questa ragione, i militari rimangono al potere periodi molto spesso lunghi, ma alla fine sono costretti a cederlo a qualche partito politico, attraverso elezioni, non raramente di discutibile veridicità.
I partiti affini a questa o a quella tendenza, quando conquistano il governo, mirano al rafforzamento del potere statale, limitano la iniziativa privata, favoriscono l’ugualitarismo e incrementano la lotta di classe. E nella misura in cui lo fanno, perdono di prestigio e aprono la strada ai regimi di fatto.
Insomma, nei paesi nei quali vige una democrazia stabile, i partiti politici si alternano al potere, al quale ascendono principalmente a causa del declino del gruppo avversario, e non in virtù della propria popolarità. D’altro lato, dove la democrazia non è stabile, la demagogia dei politici di centro-sinistra porta indirettamente i militari al potere, e questi, a loro volta, ne sono sloggiati quando diventano «logorati».
In questo quadro, una forza soltanto ha per anni mantenuto la sua mancanza di significato: la sinistra estrema, nonostante il suo impegno nel trarre beneficio dagli errori praticati dai regimi che si sono succeduti. Per essa il problema consisteva nel come uscire da questo cronico ristagno.
Simbiosi della sinistra marxista con il clero sovversivo
La scandalosa collaborazione di grande parte del clero nicaraguegno con il movimento sandinista, l’appoggio concesso allo stesso da parte di membri dell’episcopato di questa nazione – senza trascurare i conflitti che ha poi avuto con il governo marxistico – mostrano a sufficienza fino a che punto la sinistra clericale e i movimenti marxistici hanno agito in funzione di ideali comuni. E, soprattutto, come il fallimento cronico dei movimenti marxistici è stato compensato vantaggiosamente dalla influenza combinata dei sacerdoti di sinistra e dei vescovi conniventi.
È divenuto notorio, negli ultimi anni, il fatto che i seguaci di questa tendenza, ispirati alla «teologia della liberazione» – e alleati a marxisti dichiarati – costituiscono un nucleo duro all’interno della sovversione. E, nello stesso tempo, è divenuto evidente il fatto che tali ecclesiastici preparano una sfera di influenza per il marxismo, di modo che, nonostante il fallimento di questo quando si è manifestato come movimento ateo e antireligioso, in un futuro prossimo il «credo» rosso si presenta con possibilità di vittoria grazie alla caratterizzazione mistico-sovversiva che comincia a mostrare.
La caduta del Nicaragua, dovuta a questo schema, e la insistenza da parte della stampa mondiale, subito dopo, sul fatto che i governi di El Salvador e del Guatemala erano sul punto di diventare regimi marxistici, tendevano a provocare, nella opinione pubblica latino-americana, una sensazione di crollo generale nell’area, di un processo incoercibile di comunistizzazione.
Una interruzione nel «caos generalizzato»
Tuttavia, fino a questo momento, ciò non è accaduto. Perché? Lo schema sarà stato troppo chiaro nel suo carattere fraudolento, dal momento in cui si è capito che cosa erano, in realtà, il sandinismo marxistico e i suoi collaboratori ecclesiastici? Oppure perché la estensione della devastazione prodotta dall’incendio non avrebbe potuto lasciare inerti i poteri spirituale e temporale dell’Occidente, reclamando da essi efficaci misure di contenimento? Oppure perché la resistenza della opinione pubblica salvadoregna contro la sovversione e il socialismo, sotto l’impulso del governo militare-democristiano, ha messo in evidenza il fatto che una vittoria artificiale e di piccole proporzioni del marxismo oggi, avrebbe potuto significare per esso una sconfitta enorme domani? Si potrebbe indicare anche un’altra linea di indagine: la guerra pseudo-religiosa, scatenata dai sacerdoti sovversivi, non avrebbe potuto fare esplodere una vera guerra religiosa dei cattolici autentici contro il comunismo, con danni incalcolabili per esso? Questo servizio giornalistico non mira ad analizzare a fondo tali problemi, benché possa forse illuminare molti aspetti di essi.
Osservando da vicino l’America Centrale, diventa evidente che nella trama per comunistizzare questa zona strategicamente importante sono state organizzate in modo misteriosamente sistematico potenti forze e numerosi capi delle più diverse categorie. Tuttavia, i settori più umili della popolazione – solitamente presentati come filo comunisti – appena si rendono conto di essere condotti in questa direzione, resistono, molte volte coraggiosamente, poiché non vogliono cadere sotto il dominio rosso.
Dopo queste considerazioni preliminari sulla traumatizzata area centroamericana, passo ad analizzare la situazione di tre simpatiche, pittoresche e agitate nazioni che ne fanno parte.
2. Panama: paese di sinistra e polo finanziario internazionale
Il Panama, come e noto, ha vissuto dal 1968 sotto una dittatura di sinistra, esercitata da Omar Torrijos, in modo indiretto ma spesso brutale. Questa dittatura non ha meritato attacchi né da parte dei difensori dei «diritti umani» – nonostante gravi abusi da essa commessi -, né da parte del governo nordamericano, contro il quale si è diretta la politica di Torrijos, specialmente a proposito del Canale.
Il Panama di Torrijos: filocomunista e anti-nordamericano
La posizione internazionale del Panama, durante questo periodo, è stata chiaramente «terzomondista», filocubana, di appoggio al sandinismo e alle altre forme di sovversione nelle nazioni vicine. E anche a favore della costituzione di un complesso di paesi profondamente ostili agli Stati Uniti, in quanto potenza occidentale, anche se non chiaramente comunisti.
Paradossalmente, il grande sostegno economico al Panama, durante questi anni, è stato proprio fornito dagli Stati Uniti, attraverso la formazione nel paese centro americano di un importante polo bancario, commerciale e finanziario internazionale, che costituisce il maggiore utile di cui gode tale nazione. Nello stesso tempo, i crediti internazionali ricevuti durante questi anni hanno trasformato il Panama in una delle nazioni con il maggiore indebitamento pro capite dell’America, e a questo hanno contribuito non solo i governi delle nazioni sviluppate, ma anche istituti internazionali di credito e le principali banche private dell’Occidente.
All’interno, il punto di maggiore insistenza è stata la rivendicazione della sovranità sulla Zona del Canale, per soddisfare la quale ha collaborato la condiscendenza che l’ex presidente Carter aveva manifestato verso le sinistre, mentre dimostrava intransigenza verso i governi e i movimenti anticomunisti.
Per perseguire questo fine, Torrijos ha mobilitato vasti settori popolari, così come la guardia nazionale – contemporaneamente esercito e polizia -, la cui guida esercitava, lasciando i settori politici tradizionali più o meno in ribasso e mantenendo in esilio non pochi dei loro capi.
Il Panama è stato così, per più di un decennio, una dittatura di sinistra e anti-nordamericana, di un tipo simile a quella del Perù, e ha ricevuto dall’establishment politico ed economico degli Stati Uniti non una risposta ostile, ma la tolleranza e persino l’appoggio.
Tuttavia, la persecuzione degli oppositori, le misure socialistiche, la stessa posizione internazionale di sinistra e la promulgazione autoritaria di una nuova costituzione sono venute producendo sacche di scontento, inizialmente mute, e infine più audaci; il che ha obbligato Torrijos a procedere a una apparente democratizzazione, nominando presidente Aristides Royo, ma conservando di persona tutto il potere effettivo.
Democratizzazione apparente e aumento della confusione
Morto Torrijos in un incidente aereo e logorato il regime dalle impopolari misure di sinistra, il governo di Royo è venuto perdendo consistenza, mentre la guardia nazionale riacquistava preponderanza. Dopo qualche mese, un nuovo «uomo forte», il generale Ruben Dario Paredes, saliva al potere.
La rinuncia di Royo alla presidenza e l’ascesa di Ricardo De La Espriella, fino ad allora vice presidente, legato agli ambienti bancari, è stata considerata da diversi settori come uno scarto verso la destra, a causa della posizione che si attribuiva al generale Paredes. Tuttavia, la osservazione attenta dei fatti esclude questa spiegazione, poiché diversi ministri di sinistra di Royo hanno mantenuto le loro cariche e vi sono state due nuove nomine di politici di questo orientamento: quella dell’ex ministro degli Esteri Jorge Ilueca alla vice presidenza, e quella di un militante comunista che è entrato a fare parte per la prima volta del governo.
Poiché si deve supporre che tutti questi fatti siano stati graditi al citato generale – dal momento che egli ha dichiarato che il potere reale è esercitato dalla guardia nazionale, e il presidente De La Espriella si è astenuto anche dal contraddirlo -, è chiaro qual è il più probabile futuro politico del Panama: un regime socialistico con una certa apparenza di anticomunismo, sotto la protezione militare, e con qualche partito che lo appoggi, soprattutto per conservare la facciata della «democratizzazione».
Che cosa farà questo regime? Con ogni probabilità continuerà sostanzialmente la politica di Torrijos, con il minimo indispensabile di attenuazioni iniziali perché possa essere tollerata dalla opinione pubblica; e manterrà gli ampi vantaggi di cui godono le banche – in contrasto con le nazionalizzazioni che hanno subito in quasi tutta la zona -, sfruttando i benefici economici derivanti da questa situazione … fino a che giunga il momento di fare nuovi passi in direzione del socialismo radicale. In quel momento la statalizzazione delle banche significherà che lo Stato assumerà il controllo quasi assoluto della economia panamense.
La «democratizzazione» permetterà che si manifestino realmente forze autenticamente antisocialistiche, che possano mostrare alla opinione pubblica panamense tutto quanto è stato a essa nascosto, cioè il cammino incessante verso il totalitarismo nel corso di un decennio?
3. Nicaragua: germe sovietico nel centro delle Americhe
Dal Nicaragua, ovviamente, le informazioni escono filtrate e sistematicamente deformate. La comunistizzazione radicale del regime politico è presentata come il «socialismo nicaraguegno». La macchina statale della polizia politica, manovrata da cubani e da comunisti di diverse nazioni convenuti a Managua, è qualificata come «difesa del sandinismo». I bambini, convertiti in miliziani e in soldati, sono considerati frutti della «coscientizzazione della gioventù». Gli sforzi per la distruzione interna della Chiesa e per la sua trasformazione nel braccio spirituale dei soviet nicaraguegni, al fine di manovrare le anime, tendono a formare quella che si è denominata «Chiesa popolare».
L’indottrinamento marxistico delle coscienze infantili e popolari è detta «alfabetizzazione». La sopravvivenza, nonostante le misure confiscatorie, di residui di proprietà privata, o semplicemente la lenta agonia della stessa, insieme ai beni controllati dallo Stato, sempre più numerosi, è considerata «economia mista».
Una nuova nazione-carcere: fame, bavaglio, prigione o morte
Ma gli eufemismi e il linguaggio sibillino dei marxisti non riescono a occultare la paurosa realtà. La economia è in rovina. Il razionamento è stato esteso ai principali generi alimentari e a numerose medicine e, in ogni caso, è discriminatorio a favore dei sandinisti. Il combustibile è tanto scarso che, per ogni automobile, sono venduti solamente due litri e mezzo di benzina al giorno. Al mercato nero il prezzo del dollaro è cinque volte il valore ufficiale. Il settore della edilizia si trova completamente paralizzato da quando i sandinisti hanno preso il potere, e vi è attualmente un deficit di 300 mila abitazioni. L’indebitamento estero del paese è aumentato nello stesso periodo del 65%, ed è giunto a due miliardi e mezzo di dollari. Il numero di dipendenti statali è raddoppiato, senza tenere conto delle forze armate.
Vi è anche di peggio. La libertà è praticamente inesistente; vi sono comitati di vigilanza nei quartieri e sui luoghi di lavoro per scoprire e denunciare le persone sospette. La stampa è sottoposta a una censura rigida e i pochi organi che non concordano con il regime vedono frequentemente sospesa la loro pubblicazione. Il diritto di scioperare è virtualmente soppresso. I sindacati non sandinisti sono perseguitati e asfissiati. I partiti politici sono ridotti al silenzio e alla inazione. Le popolazioni di interi villaggi sono private del loro patrimonio e portate a vivere in regioni lontane, se così è conveniente per la Rivoluzione. Spesso le «folle» sandiniste minacciano e aggrediscono chi mostra di essere in disaccordo con il regime. Il potere giudiziario subisce un implacabile assedio, e si hanno fondati timori che da un’ora all’altra lasci posto alla «giustizia rivoluzionaria». Sono proibiti persino i documenti ecclesiastici, quando non si combinano perfettamente con gli interessi del regime. E, naturalmente, ogni anticomunista corre continuamente il rischio di subire prigione e morte per il semplice fatto di non mostrarsi entusiasta della Rivoluzione.
In campo economico-sociale, la Riforma Agraria ha già confiscato 700 mila ettari, la grande parte dei quali in questo momento non viene lavorata, sotto controllo statale, in modo adeguato. Il settore pubblico, che prima abbracciava il 40% della economia, tocca ora il 60% e continua ad aumentare. Evidentemente, i beni privati diminuiscono a causa delle confische sistematiche. Il commercio è continuamente perseguitato, con il pretesto di «accaparramenti» e di «speculazioni», che sono, secondo il governo sandinista, la causa della crescente penuria.
Voci e denunce di attacchi inesistenti
Naturalmente, gli attacchi dei sandinisti agli Stati Uniti sono continui, come se il governo americano avesse combattuto con ardore il regime rivoluzionario. Ma la verità è un’altra. È noto che Carter ha appoggiato apertamente la causa sandinista, concedendo crediti all’attuale regime per il valore di 75 milioni di dollari, somma che è stata aumentata sotto la amministrazione di Reagan a 120 milioni di dollari. D’altra parte, gli istituti internazionali di credito e di sviluppo, come la Banca Mondiale e il Banco Interamericano, che dipendono in grande misura dai fondi depositati dagli Stati Uniti, hanno concesso al Nicaragua prestiti, negli ultimi tre anni, per più di 400 milioni di dollari. Nello stesso tempo, il sistema bancario ha accettato la «rinegoziazione» della moneta nicaraguegna vecchia, in termini grandemente favorevoli. Inoltre, diverse nazioni della Europa Occidentale, così come il Venezuela e il Messico, hanno dato aiuto al governo sandinista. In conseguenza di questo, considerato tale aiuto nel suo insieme, il governo sandinista ha ricevuto molto più appoggio di quello avuto dal governo Somoza, durante gli ultimi anni della sua amministrazione.
Così come l’attuale regime manovra la deformazione della realtà economica per fare nuovi passi verso il socialismo totale, utilizza anche la propaganda per fare circolare notizie esagerate oppure false relativamente a supposte invasioni, mirando a instaurare la dittatura poliziesco-militare. In un primo momento, si è ventilato di una offensiva delle ex guardie di Somoza, che, però, non hanno fatto niente di serio.
Poi, si è insistito sull’«imminente» attacco nordamericano, che non si è mai realizzato. Infine, si è parlato della guerriglia che sarebbe stata promossa da Eden Pastora, ma che fino a ora non rappresenta nessuna minaccia seria per il governo di Managua.
Con questi pretesti, il contingente armato sandinista è stato elevato in modo sproporzionato, e oggi è più numeroso di tutti gli eserciti dell’America Centrale sommati, escluso quello di Cuba. È stata decretata la legge marziale e stabilito un regime eccezionale, rendendo assoluto il controllo del sandinismo sulla popolazione. Sono stati organizzati corsi di addestramento popolare quotidiani per la «difesa del paese», e sono richiamati civili per scavare trincee e per svolgere esercizi di guerra. Infine, è stata iniziata la costruzione di basi militari in diversi punti del paese, e sono stati ammessi come consiglieri e come soldati migliaia di cubani, oltre ad altri combattenti internazionali.
All’ombra di questo rafforzamento militare sproporzionato, la aggressività sandinista è cresciuta, tanto nell’appoggio alla guerriglia salvadoregna, quanto nella promozione di numerosi incidenti di frontiera con l’Honduras e con la Costa Rica, come anche nella rivendicazione delle isole dei Caraibi sulle quali esercita la sua sovranità la Colombia.
Inoltre, il regime di Managua si è venuto identificando con la Russia, soprattutto a partire dalla visita dei ministri Humberto Ortega e Jaime Wheelock al Cremlino e dalla ratifica di diversi trattati di collaborazione firmati a Mosca, in quella occasione, tra i due governi. Contemporaneamente, i giornali, le stazioni radio, i canali televisivi e gli editori legati al sandinismo hanno intensificato sempre più la loro campagna di penetrazione ideologica in seno alla popolazione, tentando di trasformare in comunisti convinti grandi settori di essa.
Importanza dell’appoggio di settori ecclesiastici al sandinismo
Uno dei principali aspetti della citata campagna è quello religioso, realizzato sotto la influenza di sacerdoti marxisti che hanno partecipato alla rivoluzione, e che propagano la «teologia della liberazione» nel senso più radicale, hanno incarichi di governo oppure collaborano strettamente con esso, e si impegnano nel persuadere la opinione pubblica cattolica che è un suo dovere collaborare a quella che chiamano «causa popolare».
Tali sacerdoti, con i membri di comunità religiose di ambo i sessi, che hanno assunto identica posizione, costituiscono il grosso del clero nicaraguegno. Questi ecclesiastici hanno formato numerosi gruppuscoli di base per diffondere in mezzo al popolo i loro principi, cercando di portarlo a una posizione rivoluzionaria. E nel perseguimento di questa meta il citato settore ecclesiastico ha finito per scontrarsi con l’episcopato nicaraguegno. Di fronte a questo, alcuni vescovi sono stati indicati come membri della «reazione».
In mezzo a questa controversia, però, non sono emerse affermazioni nel senso che sia un dovere dei cattolici opporsi alla instaurazione del regime economico-sociale marxistico, cioè combattere la scomparsa della proprietà e della iniziativa private, l’assorbimento di tutte le attività da parte dello Stato e la instaurazione di un regime completamente ugualitario.
A medio termine, è plausibile che si producano tra il regime marxistico e membri della gerarchia ecclesiastica tanto attriti quanto distensioni, il che porta con sé il rischio di costituire un processo di erosione delle basi cattoliche a favore del marxismo e della demolizione della vera Chiesa in Nicaragua.
Opposizione non ideologica: inefficace e innocua
Anche nel campo temporale alcuni collaboratori del sandinismo hanno cominciato a mostrarsi «pentiti», senza arrivare, ciononostante, a manifestare mutamenti decisivi nelle loro posizioni che, di fatto, hanno favorito il comunismo. E tale «pentimento» non comprende nessun atteggiamento che comporti una lotta effettiva al «credo» rosso. Ex guerriglieri, ex funzionari di rilievo del regime sandinista, gerarchi dello stesso – la cui partecipazione ha aiutato la rivoluzione sandinista a presentarsi come liberatrice, ottenendo in questo modo l’appoggio internazionale – sono oggi passati alla «opposizione». La ragione invocata a sostegno di questo atteggiamento è, evidentemente, il fatto che i capi del governo sono comunisti, come se si trattasse di una novità. Ma, nell’esplicitare la propria posizione, ciascuno, secondo il suo stile, manifesta una ambiguità ideologica che non permette di alimentare speranze che venga svolta una opposizione veramente seria.
Questi pretesi oppositori, d’altra parte, continuano a intendersela con capi della Internazionale Socialista, che hanno enormemente aiutato il sandinismo nella scalata al potere. E poiché attualmente questo si rivela apertamente totalitario, oppongono a esso alcune obiezioni senza nessuna consistenza.
Tali attacchi al regime sandinista assomigliano molto a certe offensive contro Fidel Castro, che non hanno significato nessun rischio serio per il suo regime, durante venti anni. Queste opposizioni, senza radici dottrinali, né atteggiamenti conseguenti – e persino, al contrario, con affinità ideologiche con l’oggetto che è combattuto -, svolgono spesso la parte di attirare molti anticomunisti desiderosi di riscattare il loro paese, e di condurli ad avventure – come, per esempio, lo sbarco nella Baia dei Porci, a Cuba, durante il governo Kennedy – preventivamente condannate al fallimento.
Il futuro del Nicaragua e dell’America Centrale dipende in grande misura dalla eventualità che elementi anticomunisti, numerosi e coraggiosi, sappiano discernere movimenti e capi capaci di intraprendere una lotta coerente contro l’attuale aggressione comunista in quell’area, e, di conseguenza, di giungere alla vittoria. E così, dopo averli identificati, si uniscano a loro per lottare contro il marxismo, senza tentennamenti, senza alleanze spurie né pratiche illecite.
4. Nella Costa Rica: culto al centro dominato dalla sinistra
La Costa Rica è considerata la «Svizzera centroamericana», nella quale tutti manifestano la loro posizione, dove si svolgono elezioni periodiche, che, in generale, sono rispettate. In verità, salva questa differenza rispetto al resto dell’America Centrale, il processo di conquista del potere ivi sviluppato dal comunismo è molto simile a quello utilizzato nei paesi vicini.
Libertà di scegliere tra sinistra… e sinistra
Infatti, tale «democrazia perfetta» esistente in questo paese merita molte riserve. I partiti importanti sono di sinistra moderata, ma in essi vi sono anche non pochi socialisti radicali. In questo modo, la pubblica opinione ha come sola via di uscita quella di optare per qualcuna delle forme di questa tendenza: il Partito di Liberazione Nazionale, il PLN, di posizione socialista-democratica, al quale appartiene il presidente Luis Alberto Monge; e la Coalizione dell’Unità, di tendenza democristiana, della quale fa parte l’ex presidente Rodrigo Carazo.
Le differenze programmatiche tra queste due fazioni politiche sono minime. D’altro canto, i fattori comuni sono numerosi, a cominciare dalla voracità per ottenere posti amministrativi. A questo si aggiunge l’ansia per la crescita del potere statale, le limitazioni imposte alla proprietà e alla iniziativa private, lo stimolo a forme socialistiche di organizzazione e la tolleranza verso le sinistre di ogni sfumatura. A tali fattori si è venuta sommando, negli ultimi anni, la promozione, da parte di entrambi i partiti, di diverse iniziative autogestionarie.
Con un tale programma, si producono facilmente la crisi economica e il logoramento politico del partito che governa. A questo contribuiscono anche, ovviamente, la inflazione, il ristagno economico, i fatti che screditano la pubblica amministrazione e l’aumento della virulenza di sinistra.
Così, la decadenza del prestigio della amministrazione di Daniel Oduber (1974-1978) ha favorito il successo elettorale degli oppositori con Rodrigo Carazo (1978-1982) che, nello stesso modo, ha reso possibile la recente vittoria di Luis Alberto Monge.
Tuttavia, nell’ultimo anno del governo Carazo, non ha regnato molta tranquillità. La sua complicità con i sandinisti, oltre all’uso di mezzi più che discutibili e che non sono stati debitamente messi in chiaro, gli è quasi costato il potere. E se Carazo è rimasto al governo, questo si deve all’intervento dell’ex presidente José Figueras, capo del Partito di Liberazione Nazionale e noto uomo di sinistra, il quale, con la scusa di difendere la democrazia, ha di fatto favorito la sua impunità.
Alla vittoria di Monge, come ho detto, ha contribuito la squalificazione del suo predecessore, dal momento che per lui hanno votato tanto elettori dichiaratamente di sinistra quanto settori ben più centristi. Questi non avevano altro candidato con possibilità di vittoria, che fosse più prossimo alle loro idee. E così la iniziativa politica è molto più nelle mani della sinistra che non in quelle del centro.
Monge ha di fronte un dilemma: chi accontentare?
Non ancora bene insediato nella carica, Monge si è trovato di fronte una difficile alternativa: mantenere la difesa dei principi «social-democratici», dal momento che è uno dei leader della Internazionale Socialista; e, di conseguenza, dare impulso ai progetti autogestionari, assumere verso gli Stati Uniti un atteggiamento di sfida, favorire la Riforma Tributaria, ecc. Oppure, d’altra parte, corrispondere ai desideri più profondi – benché meno espliciti – dell’elettorato indipendente di centro, che ha contribuito a eleggerlo, mettendo fine alle complicità, con il sandinismo, assumendo atteggiamenti fermi nei confronti delle provocazioni di esso, facendo rispettare l’ordine pubblico, sanando la economia del paese mediante un certo stimolo alla iniziativa privata e imponendo un controllo serio alle spese dello Stato.
Monge aveva anche un altro ostacolo da superare: la crisi economica era tale che difficilmente avrebbe potuto trovare soluzione senza un rilevante aiuto da parte degli Stati Uniti. E il governo americano, da parte sua, avrebbe potuto concedere tale aiuto se avesse trovato nel neo eletto governo costaricano un solido alleato nella attuale crisi centro-americana.
Ambiguità: formula di efficacia effimera
Il viaggio di Monge a Washington, la sua disponibilità a fare parte della Comunità Democratica Centro-Americana, le tensioni sorte con il regime marxistico di Managua costituivano fattori utili al conseguimento di questo fine. In senso contrario, il lancio del progetto Settore Economico del Lavoro, molto simile all’autogestione, l’impulso dato alla Riforma Tributaria, con grandi aumenti di imposte sulle imprese, sembrano destinati a soddisfare il settore più di sinistra del PLN. Che aspetto prevarrà? L’anticomunismo del presidente Monge durerà più tempo di quello necessario agli Stati Uniti per concretizzare i crediti promessi? Le formule «Socialismo entro i confini/anticomunismo fuori dai confini» e «Indifferenza interna/combattività esterna» avranno qualche effetto al fine di preservare la Costa Rica dalla minaccia marxistica?
Il problema è importante per la zona perché, nel corso dell’ultimo decennio, la Costa Rica si è trasformata, a causa del suo regime politicamente permissivistico, nello scenario sul quale operano numerosi movimenti di sinistra e radicali, che infettano le nazioni vicine. Questi movimenti non si sono ancora impegnati a trasformare il paese che li accoglie, ma potranno farlo in un prossimo futuro.
Diverse organizzazioni di sinistra vi si sono incistate: la Internazionale Socialista, organismo di difesa dei «diritti umani» – chiaramente, soprattutto di difesa dei filocomunisti -, gruppi ecumenici che sostengono la «teologia della liberazione» nel senso marxistico. A questi gruppi si uniscono numerosi esiliati dal Cile, dall’Uruguay, dall’Argentina e dal Brasile, che contribuiscono a trasformare le università più importanti e altri centri di studio in organismi di pressione e di penetrazione comunistica, in tutti gli ambienti della società.
Tutto questo suggerisce la esistenza di un modus vivendi tra governo e sovversione, affinché questa non sconvolga il paese; tale ipotesi spiegherebbe la tranquillità della «Svizzera centroamericana».
Rotto questo modus vivendi e in mancanza di esercito – una delle caratteristiche della Costa Rica, compensata soltanto, in modo molto esiguo, da un certo recente rafforzamento della guardia nazionale, cioè della polizia -, non è immaginabile che il paese sia in condizioni di resistere efficacemente a una aggressione comunistica. Particolarmente, se la crescente aggressività del Nicaragua si trasformasse in un intervento armato.
È vero che la Costa Rica, nel caso venga a subire una aggressione, conta sulla solidarietà continentale. Ma, a cosa varrà tale solidarietà quando il comunismo deciderà di sconvolgere l’intero emisfero, attraverso un processo di «vietnamizzazione»?
Il «laissez faire, laissez passer» praticato dai governi che si sono succeduti a San José, spesso a danno dei loro vicini, potrà portare a questo piccolo e simpatico paese conseguenze tra le più funeste.
Impunità dei predicatori religiosi della sovversione
Ma il «laissez faire, laissez passer» non è praticato soltanto dalle autorità temporali. Sembra essere anche la norma di esponenti della gerarchia ecclesiastica. I difensori religiosi della sinistra godono nella Costa Rica di totale impunità e di appoggio elevato. Il periodico Eco Católico – che, senza essere l’organo ufficiale della Gerarchia, appartiene a essa – merita ogni tanto qualche messa in guardia da parte della curia, quando i suoi editoriali producono molto scandalo. Nonostante questo, esso conserva la stessa posizione, e riceve, generalmente, l’incoraggiamento dei vescovi. Allo stesso modo, le pubblicazioni Senderas e Iglesia Solidaria, redatte dalla Conferenza Costaricana di Religiosi, la Concor, pubblicano frequenti elogi della sovversione marxistica.
D’altra parte, diversi organismi interconfessionali, come il Dipartimento Ecumenico di Ricerche, il DEI, e il Centro Nazionale di Azione Pastorale, il CENAP, diffondono pubblicazioni tra le più radicali, spesso direttamente favorevoli al marxismo. E i loro collaboratori, laici, sacerdoti secolarizzati oppure protestanti, si mescolano a intellettuali, a leader sindacali e a studenti di sinistra, per la penetrazione di tali ideali negli ambienti operai e universitari.
I loro membri viaggiano da San José a Managua, per partecipare a congressi di «teologi» marxisti a favore del regime sandinista, a San Salvador oppure in Guatemala per stimolare i marxisti locali alla «guerra popolare». Visitano anche il Panama, il Messico e altri paesi dell’America e del mondo, svolgendo una autentica attività organizzata ideologico-propagandistica. La loro attività è orientata dal desiderio di trasformare la Chiesa cattolica – cominciando dai settori già «coscientizzati» – nell’organismo veramente efficace per la comunistizzazione dell’America, dopo avere verificato il fallimento della sinistra laica quanto alla realizzazione di questa impresa.
Così, la Costa Rica potrà essere facilmente trascinata nella voragine che i suoi stessi leader avranno contribuito a creare. Nascerà anche, nel seno della pubblica opinione, qualche movimento più lucido e sano, che lotti per preservare questo paese dal virus socialistico e comunistico e contribuisca a riscattare le nazioni sorelle?
Alfredo MacHalle Espinosa