I vescovi di Nizza, Albi e Tolosa rigettano la presunta libertà di blasfemia: «Come può la quintessenza dello spirito francese risiedere nella volgarità e nella malevolenza?»
di Diego Torre
Io non sono mai stato Charlie! Capisco la crisi della carta stampata, ma non la trovo una ragione sufficiente perché Charlie Hebdo continui a pubblicare le sue vomitevoli vignette. Ogni volta che esse offendono il sentimento religioso islamico (quello cristiano non è un problema, essendo i cristiani “caritatevoli” e, quindi, silenziosi), con i conseguenti, relativi fatti di sangue, la balda rivista ottiene un’impennata delle vendite e la solidarietà di tutti i laicisti fautori del pensiero debole, compreso Monsieur le President, Emmanuel Macron, che difende la «libertà di blasfemia».
Finalmente ho trovato una buona compagnia. Mentre ancora piange le vittime dell’attentato terroristico che ha causato la morte di tre fedeli nella basilica di Notre-Dame, il vescovo di Nizza, mons. André Marceau, ha dichiarato con forza in un’intervista a Nice Matin: «No, non sono Charlie, sono André Marceau! Cerchiamo di essere noi stessi con le nostre convinzioni, queste vignette non sono un mio problema». E, condannata la violenza di matrice islamica, confermata l’importanza della libertà d’espressione, il prelato ha biasimato la diffusione delle vignette volgari del settimanale, realizzate sull’islam, ma anche sulla Chiesa e la fede cattolica.
Gli ha fatto eco mons. Jean Legrez, arcivescovo di Albi: «Come può la quintessenza dello spirito francese risiedere nella volgarità e nella malevolenza? Ridendo in modo sarcastico di ciò che più conta per un altro cittadino ci mettiamo forse su un piano di uguaglianza? La libertà di espressione non dovrebbe mai prendersi gioco del rispetto dovuto alle convinzioni altrui».
Ci ha provato anche l’arcivescovo di Tolosa, mons. Robert Le Gall: dopo aver ribadito la libertà di critica, ha ricordato che «con questa storia delle caricature a volte si getta l’olio sul fuoco. Io non penso che ci sia un diritto alla blasfemia. Ci si prende gioco delle religioni impunemente, oggi, e ne vediamo i risultati».
Ma a lui è andata male! Quel “diritto di blasfemia” deve essere veramente sacro per Jean-Luc Melenchon, capo del partito di sinistra France in soumise, che ha scritto su Twitter: «Un vescovo scusa i crimini e rimette in questione la libertà di blasfemia». Sulla stessa lunghezza d’onda Carole Delga, deputata socialista e presidente della neonata regione dell’Occitania: «La laicità, la libertà di espressione e il diritto di criticare ogni istituzione religiosa sono indissociabili dal nostro patto democratico e repubblicano». Ma allora si può offendere anche il laicismo dello Stato francese, o, arrivati lì, finisce il diritto di blasfemia?
Questi signori sembrano non capire la differenza fra la critica e l’insulto gratuito e volgare. In Francia, più che l’amore per la libertà, trionfa l’odio ad ogni riferimento trascendente e religioso. Questo è il frutto velenoso di quel laicismo che Pio XI definì nell’enciclica Quas Primas del 1925 «come la peste delle età nostra […] coi suoi errori ed i suoi empi inventivi». Venne allora istituita la festa di Cristo Re. Ma chi ne ricorda più le ragioni ed il significato? E dei vescovi francesi controcorrente in Italia (mass-media in particolare) qualcuno se n’è accorto?
Martedì, 24 novembre 2020