Nota del 10 aprile 2020.
Oggi, Venerdì Santo, impediti dall’emergenza coronavirus a partecipare alla liturgia pubblica, è opportuno supplire alla sua mancanza con una “devozione privata”: la Via Crucis.
Riproponiamo queste meditazioni del Prof. Plinio Corrêa de Oliveira (1908-1995), fondatore della Società Brasiliana per la difesa della Tradizione, della Famiglia e della Proprietà.
Plinio Correa de Oliveira, Cristianità n. 14 (1975)
Quest’anno, e proprio in questi giorni, cade il cinquantesimo anniversario dell’istituzione della festa di Cristo Re, stabilita dal Sommo Pontefice Pio XI con l’enciclica Quas primas dell’11 dicembre 1925. E si ha l’impressione, che speriamo infondata, che la ricorrenza cada nel generale silenzio.
A ricordo della istituzione e del documento – che, con la dottrina della regalità sociale di nostro Signore Gesù Cristo, corona e completa le grandi linee del magistero sociale della Chiesa -, ci pare opportuno e puntuale pubblicare una meditazione sulla via crucis dettata dal professor Plinio Corrêa de Oliveira, presidente del consiglio nazionale della TFP brasiliana, comparsa con il titolo di Via sacra in un numero del Legionario del 1943, e quindi ripresa in Catolicismo (Campos, marzo 1970, anno XX, n. 231).
L’interesse suscitato presso i militanti di Alleanza Cattolica e i lettori dallo scritto su La devozione mariana e l’apostolato contro-rivoluzionario – presentato in Cristianità, novembre-dicembre 1974, anno II, n. 8 – ci assicurano preventivamente della buona accoglienza che sarà riservata anche a questo testo, come quello citato particolarmente utile per cogliere i caratteri specifici della spiritualità degli apostoli della Contro-Rivoluzione.
Via Crucis
STAZIONE I
GESU CONDANNATO A MORTE
V. Adoramus te, Christe, et benedicimus tibi.
R. Quia per sanctam Crucem tuam redemisti mundum.
I vostri nemici, Signore, hanno cospirato contro di Voi. Senza grande sforzo hanno sollevato la plebaglia ingrata, che ora ribolle di odio contro di Voi. L’odio. È ciò che vi circonda da ogni parte, vi avvolge come una densa nube, si scaglia contro di Voi come un buio e freddo temporale. Odio gratuito, odio furioso, odio implacabile: non si sazia di umiliarvi, di colmarvi di obbrobrii, di riempirvi di amarezza; i vostri nemici vi odiano al punto da non sopportare più la vostra presenza tra i vivi, e vogliono la vostra morte. Vogliono che scompariate per sempre, che ammutolisca il linguaggio dei vostri esempi e la saggezza dei vostri insegnamenti. Vi vogliono morto, annientato, distrutto. Solo così riusciranno a placare il turbine di odio che si leva nei loro cuori.
Anche secoli prima della vostra nascita, già il profeta prevedeva questo odio suscitato dalla luce delle verità che avreste annunciato, dal fulgore divino delle vostre virtù: “Popolo mio, che è quello ch’io ti ho fatto, o in qual cosa ti ho disgustato?” (Mich. 6, 3). E, interpretando i vostri sentimenti la sacra liturgia grida agli infedeli di ieri e di oggi: “Che cosa avrei dovuto fare per te, e non l’ho fatto? Ti ho piantato come una vigna scelta e preziosa: e tu ti sei trasformato in una eccessiva amarezza per me; nella mia sete mi hai dato da bere aceto, e hai trapassato con una lancia il costato del tuo Salvatore” (Improperia).
L’odio che si è levato contro di Voi è stato tanto forte che la stessa autorità di Roma, che giudicava il mondo intero, si piegò vigliaccamente, si ritirò e cedette davanti all’odio di coloro che vi volevano uccidere senza ragione alcuna. L’alterigia romana, vittoriosa sul Reno, sul Danubio, sul Nilo e sul Mediterraneo, è annegata nel bacile di Pilato.
“Christianus alter Christus“, il cristiano è un altro Cristo. Se fossimo realmente cristiani, cioè realmente cattolici, saremmo altri Cristi. E inevitabilmente deve soffiare contro di noi furiosamente il turbine di odio che si è levato contro di Voi.
E soffia, Signore! Abbiate compassione, mio Dio, e date forza al povero bambino che, in collegio, è odiato dai suoi compagni perché confessa il vostro nome e rifiuta di profanare l’innocenza delle proprie labbra con parole impure. L’odio, sì. Forse non l’odio nella forma di una invettiva grossolana e feroce, ma nella forma terribile dello scherno, dell’isolamento, del disprezzo. Date forza, mio Dio, allo studente che vacilla, nel proclamare il vostro nome in piena classe, di fronte a un professore empio e a una turba di compagni che lo deridono. Date forza, mio Dio, alla ragazza che deve proclamare il vostro nome, rifiutando di vestire gli abiti imposti dalla moda, perché per la loro stravaganza o la loro immoralità non si accordano con la dignità di una cattolica autentica. Date forza, mio Dio, all’intellettuale che vede chiudersi davanti a sé le porte della notorietà e della gloria, perché predica la vostra dottrina e confessa il vostro nome. Date forza, mio Dio, all’apostolo che subisce l’aggressione impietosa degli avversari della vostra Chiesa, e l’ostilità mille volte più penosa di molti che sono figli della luce, solo perché non consente alle diluizioni, alle mutilazioni, alle unilateralità con cui i “prudenti” comperano la tolleranza del mondo per il loro apostolato.
Ah, mio Dio, come sono sapienti i vostri nemici! Sentono che nel linguaggio di questi prudenti si dice tra le righe che non odiate né il male, né l’errore, né le tenebre. E allora applaudono i prudenti secondo la carne, come vi avrebbero applaudito a Gerusalemme, invece di uccidervi, se vi foste rivolto a quelli del Sinedrio con lo stesso linguaggio.
Signore, dacci forza; non vogliamo né patteggiare, né battere in ritirata, né transigere, né diluire, né permettere che si scolori sulle nostre labbra la divina integrità della vostra dottrina. E se su di noi si abbatte un diluvio di impopolarità, la nostra preghiera sia sempre quella della sacra Scrittura: “Ho scelto di essere abbietto nella casa del mio Dio, piuttosto di abitare nei padiglioni dei peccatori” (Sal. 83, 11).
V. Miserere nostri, Domine.
R. Miserere nostri.
V. Fidelium animae per misericordiam Dei requiescant in pace
R. Amen.
STAZIONE II
GESÙ CARICATO DELLA CROCE
Ma per questo, Signore, ci vuole pazienza. Pazienza con la quale, a braccia incrociate e cuore rassegnato, si lascia cadere il diluvio sul proprio capo. Pazienza è la virtù per la quale si soffre per un bene maggiore. Pazienza è, quindi, la capacità di soffrire per il bene. Ha bisogno di pazienza il malato che, oppresso da un male incurabile, accetta con rassegnazione il dolore che gliene deriva. Ha bisogno di pazienza chi si piega sui dolori altrui, per consolarli come Voi consolaste, Signore, coloro che venivano a Voi. Ha bisogno di pazienza chi si dedica all’apostolato con carità invincibile, attirando amorevolmente a Voi le anime che vacillano sulle vie dell’eresia o nel pantano della concupiscenza. Ha bisogno di pazienza anche il crociato che prende la croce, e va a lottare contro i nemici della santa Chiesa. È una sofferenza prendere l’iniziativa della lotta, formare e sostenere in sé stessi sentimenti di pugnacità, di energia, di combattività, vincere l’indifferentismo, la mediocrità, la pigrizia, e lanciarsi come un degno discepolo di Colui che è il Leone di Giuda, sull’empio insolente che minaccia il gregge di nostro Signore Gesù Cristo. Oh sublime pazienza di quanti lottano, combattono, prendono l’iniziativa, si fanno avanti, parlano, proclamano, consigliano, ammoniscono e sfidano da soli tutta la superbia, tutta l’arroganza, tutta la spocchia del vizio insolente, del difetto elegante, dell’errore simpatico e popolare!
Voi, Signore, siete stato un modello di pazienza. La vostra pazienza, tuttavia, non è consistita nel morire schiacciato sotto la croce quando ve l’hanno imposta. Una pia rivelazione racconta che quando riceveste dalle mani dei carnefici la vostra croce, la baciaste amorosamente, e, prendendola sulle spalle, con invincibile energia la portaste fin sulla cima del Golgota.
Dateci, Signore, questa capacità di soffrire. Di soffrire molto. Di soffrire tutto. Di soffrire eroicamente, non solo sopportando la sofferenza, ma andandole incontro, cercandola e caricandocene fino al giorno in cui avremo la corona della vittoria eterna.
STAZIONE III
GESÙ CADE LA PRIMA VOLTA
È facile parlare di sofferenza. Difficile è soffrire. Voi l’avete provato, Signore. Come è diverso dall’eroismo fatuo e artificiale di tanti soldati delle tenebre il vostro divino eroismo, Signore! Voi non avete sorriso in faccia al dolore. Non foste, Signore, di quelli che insegnano che si passa la vita sorridendo. Quando giunse la vostra ora, avete avuto paura. Vi siete turbato, avete sudato sangue di fronte alla prospettiva della sofferenza. E in questo diluvio di timori, purtroppo assolutamente fondati, è la consacrazione del vostro eroismo. Avete vinto le grida più imperiose, le ingiunzioni più forti, i terrori più atroci. Tutto si è piegato di fronte alla vostra volontà umana e divina. Su tutto, si è levata la vostra inflessibile determinazione di fare quello per cui eravate stato inviato dal Padre vostro. E quando portavate la vostra croce sulla via dell’amarezza, più di una volta le forze naturali vennero meno. Siete caduto, perché non avevate forza, Siete caduto, ma non vi siete lasciato cadere se non quando era assolutamente impossibile proseguire il cammino. Siete caduto, ma non siete tornato indietro. Siete caduto, ma non avete abbandonato la croce. L’avete tenuta con Voi, come espressione visibile e tangibile del vostro proposito di portarla sulla cima del Golgota. Oh, mio Dio, dateci grazie perché nella lotta contro il peccato, contro gli infedeli, possiamo forse cadere sotto la croce, ma senza mai abbandonare né il cammino del dovere, né l’arena dell’apostolato. Senza la vostra grazia, Signore, non possiamo nulla, assolutamente nulla. Ma se corrisponderemo alla vostra grazia potremo tutto. Signore, noi vogliamo corrispondere alla vostra grazia.
STAZIONE IV
GESÙ INCONTRA LA SUA SS. MADRE
Portare la croce significa, molto spesso, rinunciare. Rinunciare anzitutto a quanto è illecito e peccaminoso. Ma rinunciare anche, e spesso, a quanto, pur essendo lecito e perfino mirabile in sé, diventa cattivo o meno perfetto in conseguenza di determinate circostanze.
Sulla via della vostra Passione, Signore, avete dato un terribile esempio, un luminoso e mirabile esempio di rinuncia a quanto è lecito. Che cosa vi è di più lecito, Signore, delle carezze, della premura della vostra santissima Madre? Tutto quanto sappiamo di Lei è che, per quanto ne sapessimo, non ne sapremmo mai tutto, tale è l’oceano sconfinato di perfezioni e di grazie che contiene. Vostra Madre, Signore, è sul vostro cammino. Ella vi vuole consolare. Ella vuole consolarsi con Voi. Guardatela. È assolutamente legittimo che vi fermiate lungo la via dolorosa, consolandovi e consolandola. Ma, dopo questo rapido colloquio, arriva il momento della separazione. Oh, strazio, è necessario che vi separiate l’uno dall’altra. Né Ella né Voi, Signore, temporeggiate. Il sacrificio segue il suo corso. Ed Ella rimane al margine della via … È meglio non dire come, vedendovi allontanare lentamente, versando sangue, con passo incerto e vacillante, verso l’ultimo e supremo sacrificio. Maria ha pena di Voi. Vi segue con lo sguardo, vedendovi solo, in mano a carnefici e a nemici. Chi vi consola? Oh volontà irresistibile, entusiasmante, enorme, di seguire i vostri passi, di dirvi parole di affetto che soltanto Ella vi sa dire, di proteggere il vostro corpo divino, di interporsi tra i carnefici e Voi, e, prostrata come chi implora una elemosina inestimabile, supplicare per sé un poco dei colpi che vi danno, pensando che così vi feriscano un po’ meno, non vi battano tanto la carne innocente. O cuore di Madre, quanto avete sofferto in quella occasione!
Madri di sacerdoti, madri di missionari, madri di religiose, quando sentite il peso di una separazione tanto crudele, pensate a Maria santissima, che ha lasciato che il suo divin Figlio proseguisse solo il cammino che gli aveva tracciato la volontà di Dio. E chiedete che Ella consoli il vostro felice dolore.
Ma vi sono, mille e mille volte infelici, altre madri abbandonate. Madri di empi, madri di libertini, madri di peccatori, anche voi restate sole, talora, sulla via del dolore, mentre i vostri figli corrono sulle vie della perdizione. Chiedete alla Madonna di consolarvi, di darvi coraggio e perseveranza, e di offrire parte del dolore sofferto in questa occasione perché i vostri figli possano un giorno ritornare a voi. Pensate alla santa Vergine e non disperate mai. Per i vostri figli traviati, la Madonna sarà la Stella Maris, che presto o tardi li ricondurrà al porto.
STAZIONE V
GESÙ AIUTATO DAL CIRENEO
Simone di Cirene veniva da lontano. Non sapeva cos’erano la confusione, il chiasso, il vociare che talora il vento portava fino a lui. Probabilmente si trattava di una grande festa, tante erano le risa, le grida, le voci che si facevano udire in una animata successione. Si avvicinò. Forte, giovane, pieno di vita, sembrava in un certo senso l’antitesi del povero Essere con la tunica bianca – la tunica dei pazzi -, con la corona di spine, tutto insanguinato, un lebbroso coperto di piaghe, che pazientemente e lentamente trascinava la croce. Il contrasto fornì ai carnefici l’ispirazione. Lo presero per aiutare Cristo, nostro Signore, a portare la croce. Il Cireneo accettò. All’inizio, forse perché costretto. Poi, per pietà. È rimasto nella storia, e, cosa ancora più importante, ha conquistato per sé il regno dei cieli.
Come è frequente questa scena! Sul cammino della nostra vita vediamo la Chiesa che passa, perseguitata, colpita, calunniata, odiata, e, o mio Dio, talora perfino tradita da molti che si dicono figli della luce soltanto per poter propagare meglio le tenebre. Vediamo tutto questo. In apparenza la Chiesa è debole, vacillante, talora agonizzante. In realtà, essa è divinamente forte, come Gesù. Ma noi con gli occhi della carne vediamo soltanto la debolezza. E siamo così miopi con gli occhi della fede, che discerniamo a fatica l’invincibile forza divina che la conserverà per sempre. La Chiesa sta per essere sconfitta. Sta per morire. Porrò al servizio di questa perseguitata, di questa calunniata, di questa sconfitta, l’esuberanza delle mie forze, della mia giovinezza, del mio entusiasmo? Mai! Allontaniamoci. Non siamo Cirenei. Curiamo solo e soltanto i nostri interessi. Saremo prosperi avvocati, ricchi commercianti, ingegneri arrivati, medici con una buona clientela, giornalisti illustri o professori prestigiosi. E solo il giorno del giudizio capiremo quanto abbiamo perso quando la santa Chiesa è passata sulla nostra strada e noi non l’abbiamo aiutata!
Apostolato, apostolato, apostolato! Apostolato saturo di preghiera, impregnato di sacrificio. Questo è il mezzo con cui dobbiamo essere Cirenei della santa Chiesa.
Mio Signore, fateci essere fedeli a questa grazia quanto lo stesso Cireneo. Oh, beato Cireneo, pregate per noi.
STAZIONE VI
LA VERONICA ASCIUGA IL VOLTO A GESÙ
Tutti ridevano di Voi, mio Signore, tutti vi ferivano, vi oltraggiavano. Il vostro volto divino, una volta raggiante di bellezza, è ora completamente sfigurato. Esprime soltanto il dolore, nella sua forma più acuta, più pungente.
Agli occhi di questa moltitudine disordinata, che parte avrebbe chi vi consolasse, chi prendesse partito per Voi, chi si dichiarasse vostro? Attirerebbe su di sé molto dell’odio, del disprezzo, dell’umiliazione lanciati su di Voi come un torrente impetuoso dall’intimo di quei cuori induriti, e, ancora di più, da tutte le strade, piazze e vicoli della città deicida.
La Veronica ha visto tutto questo. Ma non ha avuto paura. Vi si è avvicinata. Vi ha consolato. E, oh divina ricompensa, il vostro divino volto è rimasto per sempre stampato sul velo con cui lo ha voluto asciugare.
Mio Dio, vi voglia il mio cuore sempre consolare. E in modo speciale quando tutti si vergognano di Voi, datemi la forza di consolarvi, proclamandovi ad alta voce e a chiare lettere mio divino Re.
Come ricompensa voglio soltanto avere il vostro volto stampato nel mio cuore.
STAZIONE VII
GESÙ CADE LA SECONDA VOLTA
Siete caduto una seconda volta, divino Signore. Come è duro il cammino della croce! È stato durissimo per Voi. Sarà durissimo anche per i vostri seguaci.
Vi sono momenti in cui le vie per noi sembrano tutte chiuse, il cielo si oscura, le speranze scompaiono, i timori popolano di neri fantasmi la nostra immaginazione. Le forze cominciano a indebolirsi. Non ne possiamo più. Anche se cadiamo sotto la croce, mio Dio, vi supplichiamo ancora, per le vostre viscere misericordiose, per il vostro sacro Cuore, per l’amore che portate a vostra Madre, per i dolori crudelissimi che avete sofferto in questa occasione, non permettete che abbandoniamo la via della sofferenza e della virtù, e che gettiamo lontano da noi la croce. Soccorreteci allora, Signore mio di misericordia, perché vogliamo soltanto compiere interamente il nostro dovere.
Ma ascoltate, Dio benigno, la supplica della nostra debolezza. Per le vostre grandi sofferenze, per la sovrabbondanza dei vostri meriti infiniti, addolcite se possibile la nostra sofferenza, rendete più leggera la nostra croce, siate Voi stesso il nostro misericordioso Cireneo, per quanto lo permettano la nostra santificazione e i supremi interessi della vostra gloria. Ve lo chiediamo, Signore, per l’onnipotente intercessione di vostra Madre.
STAZIONE VIII
GESÙ CONSOLA LE PIE DONNE
Avete avuto la Veronica, Signore, e la straordinaria, benché amarissima, consolazione di vostra Madre. E, a questo punto, altre donne si avvicinano a Voi. Piangono, gemono, hanno pietà di Voi!
Come si chiamavano queste buone donne? Il Vangelo non lo dice. Come le trattarono i soldati e la plebaglia che vi martirizzava? Anche questo il Vangelo non lo dice. È certo che se essi avessero parlato il linguaggio dei nostri giorni, avrebbero esclamato: Oh bigotte …
Bigotte! Quante volte questa parola è pronunciata con disprezzo e durezza, per indicare le persone che si segnalano e si distinguono per la loro assiduità ai piedi dei vostri altari tante volte abbandonati, nella presenza alle cerimonie religiose durante le quali, talora, le chiese sarebbero restate quasi vuote. Con la pioggia o con il bel tempo, eccole che passano furtive nelle oscurità dell’alba o del crepuscolo, con passo frettoloso. Vanno in chiesa. Molte vanno di fretta, perché devono lavorare, o in casa o fuori. Pregano. E la loro preghiera è forse tanto gradita che, senza quelle che in senso peggiorativo e ingiustamente si è soliti chiamare bigotte, sarebbe molto più infelice qualsiasi grande città di peccatori dei nostri giorni.
Potranno forse esservi eccessi, abusi, cattiva comprensione di molte cose. Ma perché generalizzare? Perché guardare soltanto le mancanze, senza vedere la luce di questa pietà perseverante e inestinguibile? Quanto oro in questa ganga! E quando, dopo avere osservato così queste anime tra le quali molte hanno grandi meriti, si sentono certe dotte declamazioni contro la bigotteria, si ha voglia di dire dei declamatori: Signore, quanta ganga in questo oro!
Questa autentica bigotteria, questa bigotteria genuina e sincera è già stata ai piedi della croce, piangendo e gemendo. E quanta gente a cui piace dire che Giuda non è all’inferno, ma che vi vanno certamente le bigotte, rimarrà stupita il giorno del giudizio finale!
Signore, accettate e benedite queste preghiere che durante la vostra Passione vi furono dirette. Voi deste a queste pie donne la loro vocazione: “Piangete“. La vocazione di piangere per i castighi che giusti e innocenti soffrono in conseguenza dei peccati collettivi, è la loro grande vocazione. Questo pianto, Signore, che Voi stesso avete sollecitato, serva perché le vostre chiese siano rigurgitanti di autentici devoti, cioè di beati di tutte le età e condizioni sociali, nobili, ricchi, potenti, poveri, cenciosi, infelici. Signore, conquistate e attirate a Voi tutte le anime, con le preghiere, l’esempio e le parole delle anime fedeli, indefettibilmente fedeli.
STAZIONE IX
GESÙ CADE LA TERZA VOLTA
Vi sono misteri che il vostro santo Vangelo non narra. E tra questi mi piacerebbe sapere se mi sbaglio supponendo che questa vostra terza caduta sia stata fatta, mio Signore, per espiare e salvare le anime dei prudenti.
La prudenza è la virtù per la quale scegliamo i mezzi adeguati per raggiungere il fine cui miriamo. Perciò, i grandi atti di eroismo possono essere tanto prudenti quanto le ritirate strategiche. Se il fine è vincere, nel novanta per cento dei casi è più prudente avanzare che ritirarsi. Non è altro la virtù evangelica della prudenza.
Tuttavia… si intende la prudenza solo come l’arte di ritirarsi. E così la ritirata sistematica e metodica è diventata l’unico atteggiamento riconosciuto come prudente da molti vostri amici, mio Signore.
E per questo ci si ritira molto… La realizzazione di una grande opera per la vostra gloria è molto penosa? Ci si ritira per prudenza. La santificazione è molto dura? L’ascesa nella virtù moltiplica le lotte invece di placarle? Ci si ritira nei pantani della mediocrità, per evitare, per prudenza, grandi catastrofi. La salute è in pericolo? Si abbandona, per prudenza, tutto o quasi tutto l’apostolato, si rende mediocre la vita interiore, e si trasforma il riposo nel supremo ideale della vita, perché la vita è stata fatta, anzitutto, per essere lunga. L’ideale diventa vivere a lungo, invece di vivere bene. L’elogio non sarebbe più quello della Scrittura: “Perfezionatosi in breve, compì una lunga carriera” (Sap. 4, 13). Sarebbe, al contrario, “ebbe una lunga vita, perché ebbe la saggezza di rinunciare a fare una grande carriera nelle vie dell’apostolato e della virtù”. Vite lunghe, opere piccole.
E la vostra prudenza come fu, oh modello divino di tutte le virtù? Quanti amici avete, che vi avrebbero consigliato di rinunciare quando cadeste la prima volta? La seconda volta, sarebbero legione. E vedendovi cadere la terza volta, quanti non vi avrebbero abbandonato scandalizzati, trovandovi temerario, privo di buon senso, intenzionato a infrangere i manifesti disegni di Dio!
Questo tratto della vostra Passione, Signore, ci dia le grazie di essere invincibilmente costanti nel bene, conoscendo perfettamente la via dell’autentico eroismo, che può giungere ai suoi limiti più estremi e più sublimi senza mai confondersi con una vile e presuntuosa temerarietà.
STAZIONE X
GESÙ SPOGLIATO DELLE SUE VESTI
Non vi sarebbe stato risparmiato questo supremo affronto, mio Dio. Quel Corpo divinamente casto che la Vergine santissima aveva sempre protetto con le fasce e le tuniche che gli confezionava, quel Corpo eccezionalmente puro doveva restare esposto a tutti gli sguardi!
Mio Dio, come non supporre che Voi abbiate espiato in modo particolare a questo punto i peccati contro la castità? Il martirio della nudità è enorme per un’anima pura. Vi fu un tempo in cui, a Cartagine, le cristiane condotte nel circo, dopo aver vinto miracolosamente le belve, furono dai magistrati sottoposte a un martirio ancora maggiore, perché furono esposte nude di fronte ai presenti, per il fatto che si sapeva che avrebbero preferito mille volte morire straziate dalle belve. E avevano ragione. Se così soffrivano le martiri, come soffriste Voi, mio Dio?
E se il vostro divino orrore per l’impurità e per I’impudicizia è tanto grande, con che odio non odiate, Signore, coloro che abusano della loro ricchezza per diffondere mode indecenti, attraverso rappresentazioni cinematografiche e teatrali, attraverso riviste e fotografie, attraverso l’esempio funesto che le classi alte danno alle più modeste? Come non odiate coloro che abusano della loro autorità, spingendo le dipendenti, le figlie e perfino le spose a vestire in modo indecoroso per seguire le fantasie dell’epoca? Di costoro avete detto nel Vangelo: u Meglio per lui che gli fosse appesa una macina da somaro al collo, e fosse sommerso nel profondo del mare” (Mt. 18, 6).
Date, a tutti coloro cui compete di combattere la moda immorale, il coraggio necessario, mio Dio. Ai genitori, alle madri, ai professori, ai padroni, e ai membri delle associazioni religiose.
STAZIONE XI
GESÙ INCHIODATO SULLA CROCE
Quando Abramo, con una docilità sublime alla vostra volontà, mio Dio, stava per vibrare contro Isacco il coltello sacrificale, Voi arrestaste, misericordiosamente, il corso del sacrificio. Con vostro Figlio, però, non agiste così. Al contrario, mio Gesù, il vostro sacrificio giunse fino alla fine. Fu fatto assolutamente tutto. Portaste la croce sulla cima del monte. E ora siete inchiodato su di essa.
La croce è a terra, mio Gesù, e Voi disteso su di essa. Aumentano crudelmente i vostri dolori. Sono tanti che, senza un aiuto soprannaturale, morireste. Ma la vostra forza cresce nella misura della vostra divina missione. Avrete tutto quanto sarà necessario per giungere fino all’ultima immolazione.
I lassisti, mio Signore, indietreggiano. Infetti dal determinismo, non sanno che Dio moltiplica con la grazia le insignificanti forze naturali della volontà umana. Perciò indietreggiano di fronte al dovere evidente, ammettono impossibilità invincibili ove spesso vi è soltanto mancanza di mortificazione, e considerano perdute con l’onore delle armi molte battaglie della vita spirituale. Nella vita spirituale non si perde con l’onore delle armi. L’onore delle armi sta soltanto nel vincere. E vincere consiste nel non lasciare la croce anche quando si cade sotto di essa, consiste nel perseverare in mezzo agli apparenti insuccessi delle opere esterne, all’avversità, all’esaurimento di tutte le forze. Consiste nel portare la croce sulla cima del Golgota, e, là, lasciarsi crocifiggere.
Voi giacete disteso sulla vostra croce, oh mio Dio. Che insuccesso apparente per il Salvatore del mondo, gettato a terra come un verme, sfigurato come un lebbroso, e crocifisso come un criminale! Mio Dio, che grande e che splendida vittoria nella realizzazione dei vostri disegni a dispetto di tutti questi ostacoli!
Ancora una volta, meditando la vostra Passione, sale in noi il grido tumultuoso della nostra piccolezza. Allontanate se possibile da noi il calice, mio Dio, ma, se è indispensabile, dateci le forze per arrivare fino alla crocifissione.
STAZIONE XII
GESÙ MUORE IN CROCE
Non siete più a terra, mio Dio. La croce lentamente si è levata. Non per elevarvi, ma per proclamare ben alto la vostra ignominia, la vostra sconfitta, la vostra distruzione.
Ma era il momento che si compisse quanto Voi stesso avevate annunciato: “Quando sarò innalzato, attirerò a Me tutte le creature” (Gv. 12, 32). Sulla vostra croce, umiliato, piagato, agonizzante, cominciaste a regnare su questa terra. In una visione profetica, vedeste tutte le anime pie di tutti i tempi, che venivano a Voi. Vedeste la modestia e il pudore delle sante donne, che ivi partecipavano al vostro dolore e si santificavano con questo alimento spirituale. Vedeste le meditazioni di san Pietro e degli Apostoli sulla vostra crocifissione, vedeste le meditazioni di Lino, Cleto, Clemente, Sisto, Cornelio, Cipriano, Agnese, Cecilia, Anastasia, di tutti quei santi che la vostra Provvidenza volle fossero quotidianamente e in tutto il mondo ricordati durante il sacrificio della messa, poiché l’oblazione della loro santità è stata fatta in unione con l’oblazione della vostra crocifissione, Vedeste i missionari benedettini che, portando la vostra croce attraverso le selve dell’Europa, conquistarono più terre delle legioni romane. Vedeste san Francesco che dalla Verna vi adorava, e udiste la predicazione di san Domenico. Vedeste sant’Ignazio ardente di zelo per il crocifisso, che riuniva attorno a Voi le falangi degli esercitanti negli esercizi spirituali. Vedeste i missionari che percorrevano il Nuovo Mondo per propagare il vostro crocifisso. Vedeste santa Teresa piangente ai vostri piedi. Vedeste la vostra croce risplendere sulla corona dei re. Mio Dio, sulla croce è cominciata la vostra gloria, e non nella resurrezione. La vostra nudità è un manto regale. La vostra corona di spine è un diadema inestimabile. Le vostre piaghe sono la vostra porpora. Oh Cristo Re, come è vero considerarvi sulla croce come un re. Ma come è certo che nessun simbolo esprime meglio l’autenticità di questa regalità, quanto la realtà storica della vostra nudità, della vostra miseria, della vostra apparente sconfitta!
STAZIONE XIII
GESÙ DEPOSTO DALLA CROCE
La redenzione si è consumata. Il vostro sacrificio è completo. Il Capo ha sofferto quanto doveva soffrire. Rimaneva da soffrire anche alle membra del corpo. Vicino alla croce c’era Maria. Che dire della sua sofferenza? Sembra che lo stesso Spirito Santo abbia evitato di descrivere il dolore pungente che inondava la Madre come riflesso del dolore che sovrabbondò nel Figlio. Ella disse soltanto: “Voi tutti, o viandanti!; osservate e mirate, se c’è dolore uguale al mio” (Lam. 1, 2). Una sola parola lo può descrivere: non ve ne fu uno uguale in tutte le pure creature di Dio.
La Madonna della Pietà! Così il popolo fedele invoca la Madonna quando la contempla seduta, con il divino cadavere del Figlio sulle ginocchia. Pietà, perché Ella non è altro che compassione. Compassione del Figlio. Compassione dei figli, perché non ha un solo figlio. Madre di Gesù, è diventata Madre di tutti gli uomini. Ed Ella non ha compassione soltanto del Figlio, ma anche dei figli. Ella guarda i nostri dolori, le nostre sofferenze, le nostre lotte. Ella ci sorride nel pericolo, piange con noi nel dolore, allevia le nostre tristezze e santifica le nostre gioie. Il carattere proprio del cuore di Madre è una intima partecipazione a tutto quanto fa vibrare il cuore dei figli. La Madonna è nostra Madre. Ella ama ciascuno di noi individualmente, anche il più miserabile e peccatore, più di quanto potrebbe farlo l’amore sommato di tutte le madri del mondo per un figlio unico. Persuadiamoci bene di questo. Ciascuno di noi. Me. Sì, me, con tutte le mie miserie e le mie infedeltà così aspramente condannabili, con i miei difetti ingiustificabili. Me Ella ama così. E ama con intimità. Non come una regina che non ha tempo per conoscere la vita di ciascuno dei suoi sudditi, e quindi segue soltanto a grandi linee ciò che fanno. Ella mi segue in tutti i particolari della mia vita. Conosce i miei piccoli dolori, le mie piccole gioie, i miei piccoli desideri. Non è indifferente a nulla. Se sapessimo chiedere, se comprendessimo la importunità evangelica come una virtù mirabile, come sapremmo essere minuziosamente importuni con la Madonna! Ed Ella ci darebbe nell’ordine della natura, e soprattutto nell’ordine della grazia, moltissimo di più di quanto oseremmo supporre.
Madonna della Pietà! Tanto varrebbe, o quasi, Madonna della Santa Audacia. Perché, che cosa può stimolare la santa impudenza, impudenza umile, sottomessa e rassegnata di un miserabile, più della pietà materna inimmaginabile di chi ha tutto?
STAZIONE XIV
GESÙ DEPOSTO NEL SEPOLCRO
Mentre le pesanti pietre del sepolcro nascondono il corpo del Salvatore agli sguardi di tutti, la fede vacilla nei pochi rimasti fedeli a nostro Signore.
Ma vi è una lampada che non si spegne, non trema, e che sola arde perfettamente in questa oscurità universale. È la Madonna, nella cui anima la fede brilla intensamente come sempre. Ella crede. Crede assolutamente, senza riserve e senza restrizioni. Tutto sembra essere crollato. Ma Ella sa che non è fallito niente. Tranquillamente, attende la resurrezione. La Madonna ha riassunto e compendiato in sè la santa Chiesa in questi giorni di così vasta diserzione.
La Madonna, protettrice della fede. È il tema di questa meditazione. Della fede e dello spirito di fede, cioè del senso cattolico. Oggi, agli occhi di molti, le possibilità di restaurazione piena di tutte le cose secondo la legge e la dottrina di nostro Signore Gesù Cristo sembrano così irrimediabilmente sepolte quanto agli Apostoli pareva irrimediabilmente sepolto nostro Signore nel suo sepolcro. Quanti sono devoti alla Madonna ricevono da Lei, però, il dono inestimabile del senso cattolico. E perciò sanno che tutto è possibile e che l’apparente irrealizzabilità dei sogni apostolici più audaci e spinti non impedirà una autentica resurrezione se Dio avrà compassione del mondo, e il mondo corrisponderà alla grazia di Dio.
La Madonna ci insegna la perseveranza nella fede, nel senso cattolico e nella virtù dell’apostolato impavido – “fides intrepida” – anche quando tutto sembra perduto. La resurrezione verrà presto. Felici quanti sapranno perseverare come Lei e con Lei. Avranno delle gioie, in un certo senso le gioie del giorno della resurrezione.