Nguyên, Cristianità n. 84 (1982)
Una delle conseguenze più nefaste dell’imperialismo rivoluzionario sovietico consiste nel fatto che ogni nuova aggressione riesce a fare dimenticare la precedente. Ciò può continuare anche grazie alla mancanza di reazioni efficaci da parte dell’Occidente non ancora socialcomunista. Così, domani ci dimenticheremo dell’Afghanistan e della Polonia come oggi ci siamo dimenticati del Vietnam. L’articolo che pubblichiamo, tradotto dalla autorevole rivista L’Impact suisse, n. 165, marzo 1982, rende testimonianza dell’eroica resistenza – anche armata – che il popolo vietnamita sta conducendo contro l’invasore comunista, nonostante l’indifferenza del mondo.
Sette anni dopo la «liberazione» comunista
Vietnam: la resistenza armata si organizza
Sei anni dopo la «liberazione» del Sud da parte dei mezzi blindati nord-vietnamiti, la situazione economica è catastrofica. Secondo la FAO, mancavano al Vietnam 4,4 milioni di tonnellate di prodotti equivalenti a cereali nel 1980 e il fallimento totale del primo piano quinquennale (1975-1980) lascia prevedere il peggio con il secondo piano, che è partito molto male. Attualmente, il regime tenta di raddrizzare la situazione rilanciando misure di liberalizzazione del commercio e della economia. Questo commercio è basato sulle valute forti che gli emigrati vietnamiti mandano dall’estero ai propri familiari rimasti in Vietnam e sui pacchi-dono di ogni genere provenienti dall’estero. Attualmente, la riserva di valuta è a zero. L’industria non trova più materia prima per le sue fabbriche, l’agricoltura non arriva a fornire il minimo vitale per nutrire la popolazione. Due cause sono all’origine di questo stato di cose: la mancanza di fertilizzanti e l’assenza di entusiasmo da parte dei contadini sud-vietnamiti che hanno capito in fretta che non serve a nulla produrre di più, poiché, in ogni caso, questo surplus sarà «comperato» a un prezzo inferiore a quello ufficiale: in poche parole, il surplus sarà confiscato.
L’azione sovversiva di Hanoi nel Sud-est asiatico
Sul piano politico, bisogna ritornare indietro di sei anni per capire la lenta degradazione della situazione interna del paese. Non dimentichiamo che al tempo della caduta di Saigon, i comunisti vietnamiti godevano di un pregiudizio più che favorevole nella opinione pubblica internazionale, dopo che il Partito Comunista vietnamita aveva avuto successo nella sua campagna di disinformazione e di intossicazione su scala mondiale. Quasi tutti i corrispondenti e i giornalisti del «mondo libero» e gli «intellettuali progressisti» hanno sostenuto e applaudito fragorosamente l’aggressione nord-vietnamita. Anche gli americani, i vinti, erano costretti a riconoscere il nuovo governo comunista vietnamita sorto dalla «riunificazione» del paese. Una parte dei vietnamiti del Sud, ingenuamente, pensavano ancora alla riconciliazione, alla concordia nazionale. Ma il Partito Comunista non ha atteso molto tempo per rimettere le cose a posto. Le Duan e il generale Van Tien Dung hanno chiaramente spiegato gli scopi perseguiti dal partito, cioè «liberare» il Sud e impadronirsi della penisola indocinese «portando il più lontano possibile la bandiera del partito», il che si è verificato in seguito con l’aggressione e la occupazione del Laos e della Cambogia. Oggi, Hanoi conduce una azione di destabilizzazione in tutta la regione del Sud-est asiatico. Suoi agenti si infiltrano in Thailandia e la sua quinta colonna è costituita da 50 mila vietnamiti rifugiati nel paese dal 1945 e che non vogliono assolutamente tornare nel Vietnam. Questi rifugiati sono in grande parte inquadrati dagli agenti infiltrati. Il Partito Comunista vietnamita cerca di manovrare alcuni militari esaltati per tentare di fomentare un colpo di stato di sinistra filo-vietnamita.
Le divisioni all’interno del partito
Pur perseguendo il suo sogno di egemonia sulla penisola, dopo il conflitto armato con la Cina comunista, nel febbraio 1979, il Partito Comunista vietnamita ha conosciuto gravi dissensi all’interno degli stessi quadri dirigenti del suo ufficio politico. Anche se questo partito è orgoglioso di non fare mai ricorso a purghe interne e benché i suoi dirigenti, che sono al potere dal 1945, battano il record della longevità politica.
Oggi, quattro tendenze si affrontano nell’ufficio politico:
1. Tendenza Le Duan (primo segretario), Pham Hung (n.4), vice primo ministro e ministro degli Interni, generale Van Tien Dung, ministro della Difesa, Vo Vari-Kiet, l’attuale sindaco di Saigon (ribattezzata Ho Chi Minh). È la tendenza che occupa posti chiave in seno al partito e all’esercito. D’altra parte, questi uomini sono appoggiati dai fratelli Le Duc Tho, Dinh Duc Thien, Mai Chi Tho (uno dei padroni di Saigon).
2. Tendenza Truong Ching (n.2), piuttosto filo-cinese, che propone una politica più conciliante con la Cina. Tendenza minoritaria, assai allontanata dal potere dopo l’esclusione di Hoang Van Hoan dall’ufficio politico nel 1976 e la sua fuga a Pechino. Questi uomini possiedono ancora solide amicizie all’interno del partito e dell’esercito.
3. Tendenza filo-sovietica, con a capo il generale Vo Nguyên Giap, appoggiato dai «giovani tecnocrati» come Nguyên Co Thach, ministro degli Esteri, Nguyên Lam, ministro della Pianificazione. Per il momento i russi tengono questi uomini come riserva, in attesa di un cambiamento.
4. Infine la quarta tendenza, che è capeggiata da Pham Van Dong, primo ministro, è abbastanza neutrale rispetto alle precedenti.
Questa lotta spietata per il potere paralizza in parte la politica condotta dall’ufficio politico; d‘altra parte, questo conflitto non è solo uno scontro di personalità, ma si accompagna a un altro conflitto ben più grave, esploso al momento della vittoria nel 1975.
I quadri del partito, originari del Sud e inviati al Sud dopo il ’75, constatano con i loro occhi le menzogne e gli errori del partito. Riscontrano con sgomento la cecità del partito nell’applicare una politica che risale all’epoca staliniana e in ritardo su tutti i piani. Gli uomini dell’ex Governo Rivoluzionario Provvisorio, che sono stati messi a riposo, mal digeriscono la «ricompensa» del partito per i sacrifici fatti durante la guerra.
Infine, la popolazione del Sud, attaccata per tradizione ai valori spirituali della religione, della famiglia e alle libertà fondamentali, non può accettare la politica repressiva e i campi di concentramento organizzati dal Partito Comunista vietnamita.
Il risultato di questa politica discriminatoria tocca tutti gli strati della popolazione:
– le classi più disagiate – lavoratori, contadini, piccoli commercianti, che erano simpatizzanti per l’ex GRP – sono ancora più decaduti nella loro condizione di vita materiale e spirituale;
– le violazioni dei diritti dell’uomo e la repressione religiosa colpiscono tutte le confessioni;
– infine, con la politica di arruolamento forzato, i giovani vietnamiti vengono mandati nel Laos, in Cambogia e in Afghanistan.
Pure utilizzando una tecnica repressiva spietata, l’esercito e la polizia segreta hanno difficolta a controllare la popolazione locale, poiché la resistenza è diventata molto attiva. Sono frequenti le azioni di sabotaggio contro i depositi di munizioni, le vie di comunicazione, le basi militari.
La resistenza armata
Questa resistenza armata, quantunque molto efficace, non può costituire una minaccia vitale per il regime, finché è divisa. Per questo, dal dicembre 1980, i dirigenti della lotta armata hanno concordato di riunirsi in un unico movimento. Per il momento, i gruppi più attivi sono le forze armate del FULRO, che operano nelle zone montagnose del Vietnam centrale; le forze religiose armate del Hoa Hao e Cao Dai, che operano nelle province al sud di Saigon; le milizie cinesi aiutate da Pechino che operano a Cholon, il quartiere cinese di Saigon: distribuzione di volantini, sabotaggio dell’economia vietnamita, corruzione dei quadri del partito, uccisioni. Infine, dal punto di vista militare, due gruppi armati controllano la situazione e sono più numerosi: il primo è formato da ex soldati di corpi speciali dell’esercito della Repubblica del Vietnam, che operano nei pressi di Hue, Bao Loc, Dalat, Chau DOC e, il secondo è costituito dalle forze armate dissidenti dell’ex Fronte Nazionale di Liberazione, che hanno le loro basi nella zona D, vicino alla frontiera cambogiana; queste forze sono in contatto con le forze anti-vietnamite della Cambogia.
La dipendenza del Vietnam dall’Unione Sovietica
Per appagare le proprie ambizioni regionali, il Vietnam ha siglato un trattato di collaborazione e di assistenza militare con l’Unione Sovietica. Lanciato nella sua campagna egemonica nel Laos e nella Cambogia, in conflitto armato al nord con Pechino, al sud di fronte a una insicurezza sempre maggiore, il Vietnam è sempre più dipendente dall’aiuto sovietico. Ora, questo aiuto non è per nulla disinteressato. I russi sono ben installati nel Vietnam, in Cambogia e nel Laos: da 15mila a 20mila «consiglieri sovietici» si trovano sul posto. L’Armata Rossa ha installato due basi gigantesche a Danang- una delle più grandi basi aeree della regione- e a Cam Ranh, la base navale che accoglie attualmente una parte della flotta sovietica del Pacifico. E la presenza di sottomarini dotati di testate nucleari è una grave e costante minaccia per la regione del Pacifico meridionale. Così la rotta vitale per l’economia del Giappone è alla portata della flotta sovietica e i paesi costieri, Filippine e Indonesia, si sentono costantemente minacciati.
La reazione alla presenza comunista nella penisola indocinese
Quanto agli Stati Uniti, si constata un disimpegno totale dal 1975 al 1979. Soltanto verso la fine del 1979 questo Stato, dopo avere perseguito una politica estera idealistica e irrealistica e dopo avere raccolto numerosi smacchi e umiliazioni – Vietnam, Cambogia, Laos ecc. -, ha cominciato a capire che per bloccare l’espansionismo sovietico c’era solo un unico rimedio: attaccare i russi sul loro stesso terreno. La dove i movimenti di liberazione nazionale si battono contro i russi e i loro alleati, possono contare sull’aiuto degli Stati Uniti. Attualmente è il caso dell’UNITA in Angola, dei movimenti di liberazione nel Laos, in Cambogia e nel Vietnam.
Sul piano regionale, l’ASEAN, che comprende Thailandia, Malesia, Singapore, Filippine e Indonesia, costituisce la chiave di volta del Sud-est asiatico. L’invasione della Cambogia e gli intrighi sovversivi dei Vietnam in Thailandia hanno portato questi paesi a unirsi ed essi sono decisi a lottare contro il regime di Hanoi e a non lasciarsi intimidire dalle minacce. Sul piano diplomatico, l’ASEAN è riuscita a isolare e a fare condannare Hanoi da parte dell’ONU, nell’ottobre 1980 e dall’ultima Conferenza dei Paesi Non Allineati, nel febbraio 1981. Trovandosi diplomaticamente isolato, il Vietnam non riceve aiuto dai paesi liberi, a eccezione della Svezia.
L’altra chiave di volta del dispositivo di sicurezza del Sud-est asiatico è la Cina. Per i paesi della regione e per gli Stati Uniti, l’idea di una alleanza con la Cina per fare fronte alla minaccia russo-vietnamita è stata difficilmente accettata. Un’alleanza di tale genere resta delicata e complessa. Da una parte, la Cina rimane uno Stato comunista e in futuro potrebbe riappacificarsi con l’URSS e con il Vietnam; dall’altra, la potenza militare della Cina è debole e il paese è ancora molto povero. Al contrario, i responsabili politici dell’ASEAN e i giapponesi sono riusciti a convincere Washington a prendere in considerazione l’idea di una alleanza cino-americano-giapponese con lo stesso ASEAN, limitata al piano tattico regionale.
Attualmente, solo la potenza dell’esercito vietnamita – il sesto esercito del mondo – permette ad Hanoi di tenere, bene o male, il Vietnam meridionale, il Laos e la Cambogia.
Per poter ristabilire la pace e la sicurezza nella regione, s’impone una politica di fermezza sul piano diplomatico, economico e militare.
I patrioti asiatici sono convinti che l’espansionismo vietnamita non si può piegare attraverso concessioni, ritirate o abbandoni. I movimenti di resistenza laotiani, cambogiani e vietnamiti hanno scelto la sola arma efficace. I paesi del mondo libero hanno interesse a sostenere la loro lotta.
Nguyên