Il paragone fra morti e feriti è sempre deprecabile. Ogni vita è sacra e in nessun luogo si dovrebbe morire per attentati casuali ma l’eco che i mass media concedono ad alcuni casi fa emergere il silenzio lasciato cadere su altri
di Silvia Scaranari
Il 4 luglio ci sono stati spari durante la parata per la festa dell’indipendenza negli USA, ma la notte precedente almeno 22 persone sono state uccise in Burkina Faso. Di queste nessuno, o quasi, ha saputo.
Uomini armati hanno colpito Bourasso, una località presso Dédougou, capoluogo della provincia di Kossi, con tattica terroristica. Arrivati nel tardo pomeriggio su motociclette, hanno fatto un giro del paese, concentrando la loro attenzione sulla chiesa cattolica, e poi si sono ripresentati in serata aprendo il fuoco in modo indiscriminato. Proprio quel mattino la diocesi aveva festeggiato l’ordinazione di due sacerdoti e il lungo servizio di un laico catechista, che in serata ha visto due dei suoi fratelli uccisi nel raid terroristico.
Il Paese vive una violenza che non aveva mai conosciuto. Zona di antica e pacifica convivenza fra i cristiani, i musulmani e le comunità che ancora seguono le religioni tradizionali, ha una Costituzione molto chiara nel riconoscere la piena libertà religiosa a tutti, ma dal 2015 i miliziani, che fanno riferimento al gruppo autoctono Ansaroul Islam, – legati allo Stato Islamico in Africa Occidentale (ISWAP) – e Jama’at Nusrat al-Islam wal-Muslimin – legato ad al-Qaeda nel Maghreb Islamico (AQIM) –, hanno preso il controllo di ampie aree. I combattenti, incitati da predicatori che promuovono l’ideologia del jihadismo salafita, attaccano sia le autorità statali, militari e di polizia, sia i civili, come i capi villaggio, gli insegnanti, gli agricoltori. Nel crescendo di violenza la lotta jihadista spesso si mischia a violenze originate dalla criminalità organizzata, che vuole sfruttare la generale situazione di difficoltà del governo.
La violenza in Africa continua con una crescita molto preoccupante. Aveva avuto una certa eco l’attacco alla chiesa di san Francesco Saverio a Owo, nello stato di Ondo, in Nigeria,il giorno di Pentecoste, ma è stato solo il primo di una lunga serie di violenze.
Lo scorso 26 giugno è stato trovato il corpo di padre Christopher Odia Ogedegbe, rapito la mattina dello stesso giorno mentre si recava in chiesa per celebrare la messa, nello Stato di Edo, regione della Nigeria confinante con il già citato Ondo. Secondo quanto riferito da ACS (Aiuto alla Chiesa che Soffre), «nelle stesse ore un altro sacerdote, padre Vitus Borogo, è stato ucciso da terroristi a Prison Farm, lungo la Kaduna-Kachia Road. Era cappellano della comunità cattolica del Politecnico statale di Kaduna».
Il 3 luglio, padre Peter Udo (della chiesa di San Patrizio) e padre Philemon Oboh (del St. Joseph Retreat Center) sono stati rapiti da uomini armati lungo la strada Benin-Auchi mentre tornavano da Benin City, nella loro diocesi di Uromi, sempre nello Stato di Edo, mentre giorni prima era scomparso don Emmanuel Silas, rapito presso la sua casa parrocchiale di San Carlo in Zambia e poi rilasciato nella mattina di martedì.
E’ di poche ore fa la notizia della liberazione anche dell’italiano padre Luigi Brena, rapito sempre nello stato di Edo domenica scorsa, ma di cui non era ancora trapelata notizia. Con lui sono stati rapiti altri due sacerdoti cattolici. Secondo dichiarazioni della polizia locale, le indagini erano iniziate subito e l’inseguimento dei terroristi si è concluso con una sparatoria, che ha visto alcuni morti, mentre altri sarebbero riusciti a fuggire «nella foresta con ferite da arma da fuoco, abbandonando la loro vittima».
Rapimenti, sparatorie, uccisioni mirate sono il panorama quotidiano di una zona dove le forze di governo non riescono ad evitare che una ragazza cristiana venga lapidata e bruciata solo per aver nominato Maometto in un tweet. E’ quanto accaduto lo scorso maggio a Deborah Yakubu, giovane studentessa che, su una chat, ha chiesto di attenersi allo scambio di messaggi inerenti le discipline di studio, concludendo con un «e chi sarebbe Maometto?». Subito accusata di blasfemia perché nello stato di Sokoto, dove viveva, è applicata la shari’a, il suo tono è stato giudicato irriverente. Scatenatasi una “caccia alle streghe” da parte di alcuni compagni, è stata trovata in un locale della polizia, portata all’esterno e uccisa con pietre, colpi di bastone e infine data alle fiamme. I responsabili hanno videoregistrato tutto perché fosse di monito ad altri cristiani.
In questa Nigeria sempre più violenta e sempre più ingovernabile, le denunce e gli appelli non hanno sortito alcun effetto, visto che nel solo 2021 sono state registrate 4650 cristiani uccisi in odio alla nostra religione, più di tutti i civili morti ad oggi nella guerra in Ucraina.
Con Aiuto alla Chiesa che Soffre non possiamo non esprimere la nostra indignazione e il nostro sconforto per il silenzio colpevole e l’inerzia delle istituzioni. Il direttore di ACS Italia, Alessandro Monteduro, ha detto: «la nostra comunità dei benefattori prega per le vittime, le loro famiglie e le rispettive comunità. Non è tuttavia possibile limitarsi alla pubblica denuncia. È necessario che le autorità nigeriane, le organizzazioni internazionali e i maggiori attori politici presenti a vario titolo sul territorio nigeriano prendano atto che la comunità cristiana, che rappresenta il 46% della popolazione, e le istituzioni ecclesiastiche sono gravemente minacciate e che è ormai tempo di intervenire in maniera concreta per garantire la sicurezza di sacerdoti, religiose e laici cristiani».
Mercoledì, 6 luglio 2022