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Virgilio come guida

3 Aprile 2021 - Autore: Leonardo Gallotta

I perché della scelta di Dante


di Leonardo Gallotta

   Potrebbe ai più parere strano che per un viaggio nell’aldilà cristiano la scelta di Dante cada su un poeta pagano. Ci si sarebbe aspettato un santo,un teologo o un filosofo cristiano e invece … ecco un poeta, grande certamente, ma altrettanto certamente pagano.

    Vediamo innanzitutto come appare e si presenta a Dante nel primo canto che funge da Proemio generale alla Divina Commedia. Dante, trovatosi nella selva oscura, è attratto da un colle (simbolo della felicità naturale) colpito dai raggi del sole (simbolo della Grazia illuminante), verso il quale si avvia, ma, giunto ai suoi piedi, all’inizio della salita, ecco che si fanno avanti tre fiere: una lonza (specie di lince, simboleggiante la lussuria), poi un leone (la superbia) e infine una lupa (l’avarizia ovvero la cupidigia). E’ proprio quest’ultima che, andandogli incontro, risospinge Dante nella selva. A questo punto si presenta agli occhi di Dante una figura a cui il poeta chiede aiuto, neppur sapendo se si tratta di un’ombra o di un uomo in carne ed ossa.

   Costui si presenta con una brevissima scheda identificativa: non è più vivo, i genitori erano mantovani, visse a Roma “sotto ‘l buono Augusto” al tempo degli dei falsi e bugiardi. Fu poeta e cantò le vicende di Enea dopo che Troia fu incendiata. Al che Dante non può fare a meno di dichiarare solennemente il lungo studio e il grande amore per l’opera di Virgilio: “Tu se’lo mio maestro e ‘l mio autore,/ tu se’ solo colui da cu’ io tolsi/ lo bello stilo che m’ha fatto onore” (If I, vv. 85-87). Verso la fine del canto, dopo la profezia del Veltro che, quando verrà, farà morir la lupa, Virgilio, stante l’impossibilità per Dante di salire il colle con le sue sole forze, si propone a lui come guida per un viaggio che passerà dalle terribili pene dell’Inferno a quelle non meno dure, ma sopportate con lieta speranza, del Purgatorio. A quel punto sarà un’altra anima (Beatrice) a fargli da guida.

   Dalle parole di Dante si ricava dunque che Virgilio è da lui considerato maestro di retorica, cosa del resto riconosciuta nel Medioevo (si veda in questa stessa rubrica il mio Dante,, la commedia e la ruota di Virgilio) e non solo, anche perché, dotato di somma auctoritas, si deve a  lui grande riverenza. Quanto al bello stile di cui si vanta Dante, si deve pensare che faccia riferimento alla sua produzione lirica, in specie alle canzoni morali e dottrinali “sì d’amor come di vertù materiate”, come dice il poeta fiorentino nel primo libro del Convivio. Quindi Virgilio è scelto come maestro autorevolissimo di poesia e di stile. In un verso di poco successivo vien poi definito “famoso saggio”. Ora dobbiamo tener presente che Virgilio rappresenta la ragione umana e che le quattro virtù cardinali (Prudenza, Giustizia, Fortezza e Temperanza), già individuate da Platone, possono essere praticate da chiunque, indipendentemente dalla Fede, e quindi anche da un pagano. Dunque Virgilio è riconosciuto come saggio per avere utilizzato al meglio la retta ragione, così che dalla sua opera Dante trasse anche lezioni di vita morale. La cosa quindi non deve stupire e a riprova si deve sapere, come riferì l’arcivescovo di Milano Giovanni Battista Montini in una sua omelia del 1959, “Virgilio, ancor prima d’esserlo di Dante, fu maestro di Ambrogio”.

   E’ per questa sua moralità supportata dalla retta ragione che Virgilio accompagnerà Dante nel suo cammino di perfezione fino alla fine del Purgatorio, quando gli dirà: “Non aspettar mio dir più né mio cenno;/ libero, diritto e sano è tuo arbitrio,/ e fallo fora non fare a suo senno:/ per ch’io te sovra te corono e mitrio” (Pg XXVII, vv. 139 -142). Un altro motivo della scelta operata da Dante è costituito dall’aura di venerazione per Virgilio, considerato nel Medioevo come profeta di Cristo venturo. Dante non lo dice apertamente, ma lo fa dire a Stazio nel canto XXII del Purgatorio, quando attribuisce il merito della sua conversione alla IV egloga delle Bucoliche di Virgilio. In essa infatti, si predice la nascita di un puer, di un fanciullo, in un momento in cui le tracce della corruzione dell’età del ferro stanno per dileguarsi e si assisterà agli inizi di una nuova età dell’oro.

   Ecco, in traduzione, i versi più significativi: “Anche la vergine ritorna ormai e ormai ritorna il regno di Saturno; dall’alto cielo viene ormai mandata una nuova stirpe. Tu o Lucina, sii propizia al fanciullo che sta per nascere, al cui tempo la stirpe del ferro cederà il passo e sorgerà la stirpe dell’oro in tutto il mondo: ormai regna il tuo [fratello] Apollo. E proprio sotto il tuo consolato, o Pollione, inizieranno a procedere i grandi cicli [degli anni]” (IV Egloga, vv.6 – 12). Sono questi i versi celeberrimi che fin dai tempi di Costantino diedero adito al fiorire di leggende sul precristianesimo di Virgilio e sui suoi poteri profetici. Ora la vergine è di fatto Astrea, personificazione della Giustizia che dopo l’età dell’oro aveva abbandonato la terra; il puer è dalla maggior parte degli esegeti identificato con un figlio di Asinio Pollione e l’età dell’oro sarebbe quella iniziata con la pace di Brindisi tra Ottaviano e Antonio, a cui aveva cooperato Pollione stesso. Si sarà tuttavia notato come il tono profetico solenne, il riferimento ad una vergine (Maria), ad un puer che sta per nascere (Gesù) e ad una nuova stirpe mandata dal cielo (i seguaci di Cristo), abbiano straordinarie somiglianze con il linguaggio evangelico, così che si ebbe una lettura in chiave messianica da parte di intere generazioni di cristiani. E anche Dante non si sottrasse a tale lettura.

   Altro perché. Anche Virgilio, nel libro VI dell’Eneide, ha descritto un viaggio nell’aldilà, quello di Enea, cosa ricordata da Dante nel secondo canto. Non è qui il caso di riprendere la catabasi in dettaglio, ma soprattutto nei primi canti dell’Inferno, risulta evidente la gran quantità di spunti e descrizioni dall’Eneide. Dante riprende, per esempio, i mostri della tradizione classica, da Caronte a Minosse, a Cerbero. E poi i fiumi, l’Acheronte e il Flegentonte e infine le diverse categorie di defunti quali i bestemmiatori, i traditori dei parenti, i fomentatori di discordie e così via. Ma Enea, sempre accompagnato dalla Sibilla cumana, vuole e riesce ad arrivare ai Campi Elisi dove incontra il padre Anchise che, oltre a dare spiegazioni sull’Ade e sul destino delle anime, fa una predizione ad Enea sul suo destino di fondatore, mostrandogli le anime che si reincarneranno nei suoi discendenti ed elencandogli poi una serie di futuri eroi romani. Nella parte finale del libro domina l’esaltazione delle glorie romane, del periodo augusteo e della missione civilizzatrice e ordinatrice di Roma. Tuttavia l’orgoglio identitario romano non impedisce  a Virgilio di condannare la guerra e di celebrare i valori della pace e della concordia.

   E’ noto che Enea è un eroe pius, devoto agli dei (era figlio di Venere) e al loro volere, al punto da rinunciare anche all’amore per Didone, pur di adempiere alla sua missione. Da Troia in fiamme, attraverso varie peripezie e la catabasi cumana, al territorio laziale dove Enea si impone come fondatore mitico di quello che sarà un giorno l’Impero romano.

   Fato per Virgilio, Divina Provvidenza per Dante, anche perché Cristo non poteva che nascere in un periodo di pace, la Pax Augusta. Ecco il filo che lega i due poeti. E dopo Cristo, sia pure con un salto di qualche secolo, ecco un imperatore romano e cristiano: Giustiniano (si veda in questa stessa rubrica Il canto imperiale del Paradiso dantesco). E in Occidente la notte di Natale dell’ 800: Carlo Magno e Sacro Romano Impero. L’esaltazione da parte di Virgilio delle glorie imperiali romane, si salda dunque con l’amore di Dante per l’Impero romano e cristiano, il cui primario scopo avrebbe dovuto esser quello di garantire la pace tra le nazioni cristiane. In quale altro poeta Dante avrebbe potuto trovare tutte queste affinità?

Sabato, 3 aprile 2021

 

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