William Soutcliffe, Cristianità n. 156-157 (1988)
Dal maggio del 1988 delegazioni dei governi sudafricano, angolano, cubano e statunitense si incontrano per trovare una soluzione al conflitto da tredici anni in corso nel paese africano fra la Resistenza e il governo socialcomunista sostenuto dalle truppe cubane. A proposito della situazione politico-militare nella regione e della cautela con cui valutare le iniziative diplomatiche che la riguardano, traduciamo l’articolo Victory or Sellout in Angola?, comparso in The Freedom Fighter (vol. III, n. 8, febbraio 1988), mensile della Freedom League, di Washington, e della Freedom Research Foundation, di La Jolla, in California.
Mentre si profila una soluzione negoziata
Vittoria o «svendita» in Angola?
Ai combattenti per la libertà dell’UNITA — l’Uniao Nacional de Independencia Total de Angola —, di Jonas Savimbi, saranno negati i frutti delle loro vittorie militari e vedranno infrante le loro aspirazioni di pace, libertà, elezioni e prosperità in Angola da macchinazioni diplomatiche? Oppure la loro perseveranza, durante più di due decenni di lotta armata, sarà ricompensata da un’azione diplomatica?
Il presidente sudafricano Pieter Willem Botha continuava a richiedere una conferenza regionale di pace, che coinvolgesse tutti i paesi e le maggiori forze combattenti nell’Africa Meridionale; il presidente dell’Angola comunista, José Eduardo dos Santos, aveva promesso il ritiro di tutte le truppe cubane dal suo paese come elemento per una sistemazione della regione, ed erano circolate voci che si stesse organizzando per la metà del 1988, a Lisbona, in Portogallo, l’ex potenza coloniale in Angola, una conferenza di pace angolana fra le maggiori forze combattenti nel paese.
Il probabile risultato di tali avvenimenti non è chiaro; vi è tuttavia ampio spazio per lo scetticismo e per la cautela circa le trattative diplomatiche. Se Jonas Savimbi e l’UNITA verranno venduti, non sarà la prima volta.
Di fronte a una schiacciante opposizione popolare e alle prospettive di una sconfitta militare, il regime comunista dell’MPLA — il Movimento Popular de Libertaçao de Angola —, il 9 gennaio 1988, ha proposto una soluzione negoziata con l’UNITA come parte di una piattaforma di accordi che includesse la fine degli aiuti all’UNITA da parte del Sudafrica e degli Stati Uniti, la garanzia unilaterale da parte di Pretoria dell’indipendenza della Namibia e il ritiro delle truppe sudafricane. Le truppe cubane dovrebbero essere ritirate solamente in un periodo di due anni.
Due fattori rendono sospetta questa offerta. In primo luogo, ogni «soluzione negoziata» prospettata dall’MPLA probabilmente non significherebbe niente di più di un governo di «unità nazionale», nel quale prometterebbe di dividere il potere con altri gruppi. La dottrina marxista- leninista insegna specificamente a sfruttare i governi di unità nazionale come mezzi per prendere il potere e, quindi, a eliminarli. Molto recentemente i comunisti hanno utilizzato questa tattica con grande abilità in Nicaragua.
In secondo luogo, se il governo comunista di Luanda riuscirà a congegnare un accordo per il quale gli Stati Uniti e il Sudafrica taglieranno gli aiuti all’UNITA e le forze sudafricane si ritireranno dalla Namibia, mentre le forze cubane rimarranno in Angola, l’UNITA verrà seriamente – forse fatalmente — indebolita.
Cuba mantiene un contingente di almeno quarantamila uomini in Angola, ufficialmente su richiesta del governo di Luanda, per proteggere il paese dalle incursioni militari sudafricane. I sudafricani, anche se non negano la maggior parte di tali incursioni, affermano che la loro presenza è necessaria per contenere l’attività della SWAPO, la South West African People’s Organization, un movimento di guerriglia marxista che cerca di impadronirsi del potere in Namibia e in Sudafrica. La SWAPO mantiene basi nel sud dell’Angola e si rifugia frequentemente in esse. Il Sudafrica occupa la Namibia — prima conosciuta come Africa del Sud-Ovest — in virtù di un discusso mandato della Società delle Nazioni, ora estinta. L’organizzazione mondiale a essa succeduta, l’Organizzazione delle Nazioni Unite, ha ripetutamente lanciato appelli per l’indipendenza e per libere elezioni in Namibia, specificamente con la Risoluzione 435.
L’offerta del 9 gennaio 1988 da parte di José Eduardo dos Santos era simile alle precedenti fatte dal governo di Luanda, offerte ostacolate da condizioni inaccettabili e tenute in scarsa considerazione dalle altre potenze coinvolte. A essa e stato dedicato soltanto un breve servizio sulle pagine interne della maggior parte della stampa statunitense.
Due motivi hanno fatto in modo che essa venisse considerata più tardi con maggiore attenzione. In una conferenza stampa a Città del Capo, in Sudafrica, il 25 gennaio 1988, il primo ministro bavarese, Franz Joseph Strauss, ha affermato di essere convinto che l’Unione Sovietica ora voglia una soluzione pacifica del conflitto angolano. Franz Joseph Strauss aveva avuto da poco colloqui con il leader sovietico Mikhail Gorbaciov e con il ministro degli Esteri sovietico Eduard Shevardnadze, e ha dichiarato che aveva promesso di farsi latore del punto di vista dell’unione Sovietica presso il governo sudafricano. Si pensa abbia detto ai sudafricani che Mikhail Gorbaciov è fermamente deciso a interrompere l’invio di aerei MIG, di carri armati, di missili e di altri aiuti militari per sostenere il regime di José Eduardo dos Santos. I commenti di Franz Joseph Strauss rivestivano particolare significato in vista dell’ovvio sostegno sovietico ai suoi clienti cubani, la cui vacillante economia viene aiutata dall’Unione Sovietica con l’erogazione di milioni di dollari al giorno.
L’importanza della proposta di José Eduardo dos Santos e dei commenti di Franz Joseph Strauss è cresciuta il giorno seguente per effetto di una visita ufficiale a Luanda di Chester Crocker, segretario di Stato degli Stati Uniti per gli Affari Africani. Lo scopo ufficiale della visita di Chester Crocker era di discutere una «piattaforma di pace» per far cessare due guerre, in Angola e in Namibia, e per eliminare la presenza cubana e quella sudafricana in entrambi i paesi.
All’inizio di febbraio del 1988, circolavano notizie secondo cui gli Stati Uniti avevano lasciato cadere la richiesta di ritiro di tutte le truppe cubane dall’Angola e che avrebbero accettato il loro ritiro parziale e una divisione del paese al 13° parallelo. Le forze cubane stanziate a sud di questo parallelo verrebbero ritirate a Cuba entro un anno, mentre a quelle stanziate a nord verrebbe concesso di rimanere per ritirarsi più tardi. Nel frattempo, le truppe sudafricane si ritirerebbero dalla Namibia. E stata anche riferita una proposta di costituire un «ufficio diplomatico angolano» a Washington e un ufficio americano analogo a Luanda, come premessa per un pieno riconoscimento diplomatico del governo comunista dell’Angola.
Rimane oscuro quale sarà l’esito, se ci sarà, di tali iniziative diplomatiche. Risquet, il rappresentante cubano che ha partecipato agli incontri fra José Eduardo dos Santos e Chester Crocker, ha proclamato che suo paese ha la volontà di ritirare le proprie forze come parte di una piattaforma di sistemazione. Se così fosse, questo costituirebbe un mutamento significativo della politica cubana, dal momento che il dittatore Fidel Castro ha affermato in occasioni precedenti che le sue forze sarebbero rimaste in Angola fino alla fine dell’apartheid in Sudafrica.
Inoltre, non si sa se il governo comunista dell’MPLA continui a richiedere l’interruzione dell’aiuto americano all’UNITA come parte di un accordo globale. In passato, gli Stati Uniti hanno sempre affermato che la presenza di truppe cubane in Angola e di quelle sudafricane in Namibia sono questioni indipendenti dalla soluzione della guerra fra l’UNITA e l’MPLA.
Tuttavia, un altro problema era costituito dalla possibilità che i cubani potessero rimanere, a dispetto di qualunque accordo, attraverso un finto piano di immigrazione angolano. Recentemente le leggi angolane e cubane sono state mutate per permettere ai soldati cubani in Angola di ottenere la cittadinanza angolana conservando quella cubana. Si ha notizia che diverse migliaia l’hanno fatto.
Un ultimo dubbio relativamente agli attuali negoziati riguarda la possibilità che l’offerta dell’MPLA sia interamente in buona fede, ma faccia nello stesso tempo parte di un successivo inganno. In tale prospettiva, i cubani si ritirerebbero dall’Angola come promesso e i sudafricani garantirebbero l’indipendenza della Namibia e ritirerebbero le loro forze da questo paese. Poi i comunisti svilupperebbero, armerebbero e finanzierebbero un regime marxista guidato dalla SWAPO in Namibia, che vi inviterebbe i cubani, dopo di che le forze sovietiche, quelle della SWAPO, dei cubani e dell’MPLA stringerebbero in una tenaglia un’UNITA indebolita e isolata.
William Soutcliffe