Di Giulio Meotti da Il Foglio del 26/03/2022
Roma. “Le critiche alla cancel culture occidentale non sono fatte al meglio da coloro che massacrano i civili per il crimine di resistere o che imprigionano e avvelenano i loro critici”. Ci voleva J. K. Rowling, paradosso vivente di scrittrice più venduta e cancellata in occidente, per tranciare di netto il cortocircuito del putinismo come antidoto alla cancel culture. Putin è un ragno a sei occhi. Osserva l’occidente e quando vede una debolezza ci si butta, la amplifica, se ne appropria, la rivolta come un guanto. Dell’acido ideologico della cancel culture Putin aveva parlato al Valdai e ieri in televisione: “Stanno cercando di cancellare un’intera cultura millenaria: la nostra gente. Stanno vietando scrittori e libri. Ora stanno cercando di cancellare il nostro paese. Hanno cancellato J. K. Rowling, perché non ha soddisfatto i fan delle cosiddette libertà di genere”. Putin vede il Petruzzelli di Bari che ha appena cancellato “La dama di picche” di Petr Caikovskij, la Bicocca che cancella il corso su Dostoevskij di Paolo Nori, i festival in Spagna che cancellano i film di Tarkovskij, e quale argomento migliore per giustificare e fomentare l’atavica ossessione russa di essere cancellati?
Ma l’autrice di “Harry Potter” risponde a Putin per le rime, ricordandogli che la cancel culture è inerente solo alla società aperta, solo lì ha senso parlarne, non a Mosca o in Uganda o a Pechino, solo all’interno dell’antico pluralismo democratico di società che si mettono in discussione ed elevano l’autocritica a sistema, mentre la Russia è un’autocrazia cesaropapista dove non c’è dissenso politico (Rowling ha postato un articolo su Navalny), pluralismo dei media e, soprattutto, appropriarsi furbescamente della cancel culture da parte di chi ha fatto bombardare Mariupol è indecente.