I recenti attacchi terroristici attestano che il pericolo islamista è vivo e vegeto. Ma la novità più preoccupante è il suo successo mediatico e la sua capacità di piegare alla sua causa gli organismi internazionali
di Oscar Sanguinetti
Tre fatti recenti allarmano me e credo anche qualche altro italiano.
Il primo è stato l’irruzione e il bestiale pogrom anti-semita e anti-israeliano del 7 ottobre 2023, a ridosso della Striscia di Gaza; il secondo l’improvvisa attivazione del “fronte Houthi” nel sud della penisola arabica; infine, l’attacco terroristico del 22 marzo 2024 nei pressi di Mosca.
Nel primo caso non c’è stato nessun avviso dell’intelligence e si è verificata una clamorosa e pluriennale sottovalutazione, da parte del governo di Tel Aviv, dell’enorme rafforzamento e radicamento delle strutture militari di Hamas nel territorio e sotto il territorio dell’area palestinese. Nel secondo caso: nessuno sapeva che quel gruppetto di terroristi insediato nello Yemen allo sbando aveva acquisito capacità di lancio di missili a lunga gittata in grado di interferire nella circolazione marittima nel Golfo Persico, che è fondamentale per tutto l’Occidente. Terzo fatto: la Russia è stata preavvertita della possibilità di una strage, ma il governo russo, forse temendo che si trattasse di “diversivi” per “alleggerire” il fronte ucraino, li ha ignorati.
La matrice di tutti e tre gli atti terroristici, al di là del Paese di provenienza — Gaza, Yemen, forse Cecenia —, è la medesima, l’islamismo militante e militare. E in tutti e tre i casi emerge il coinvolgimento di Stati sovrani — che adoperano i gruppi terroristici per l’espansione dell’islam, ma anche per scopi di geopolitica locali o regionali — e l’impotenza delle organizzazioni internazionali, sempre più infiltrate da pregiudizi filo-islamici e da uomini e donne attivisti della causa del Profeta.
Chi finanzia Hamas? Chi passa i missili agli Houthi? Chi ha armato la mano dei quattro soldati che hanno ucciso e ferito centinaia di civili indifesi a Mosca? E perché? Qual è la ratio?
Molto verosimilmente non sarà possibile trovare risposte certe a tali quesiti, perché ormai le guerre sono “asimmetriche”, si combattono soprattutto in luoghi invisibili ai più, usando strumenti come i mass media e i social media, i satelliti, gli hacker e le spie, il danaro e la tecnologia, persino i malcapitati civili, come pure strumentalizzando le organizzazioni internazionali di peacekeeping e “intossicando” le élite intellettuali occidentali, tutte dedite oggi a compiere il loro — e, ahimè, anche il nostro — harakiri.
Sta di fatto che la vulnerabilità dei costosi apparati di sicurezza degli Stati, persino dei più “sofisticati” come quello russo o quello israeliano, emerge prepotentemente. Così come, in molti casi, la riluttanza, voluta o prodotta dalla lotta politica, dei governi democratici a intervenire prima che la minaccia diventi ineludibile. E questa vulnerabilità, se non è costata sinora molte vittime sulle navi transitanti per il canale di Suez, si è tradotta, in Terra Santa, in migliaia di vittime su entrambi i fronti (israeliano e palestinese), per non parlare dei circa 150 morti nel teatro di Mosca.
Credo che riusciremo a fare qualcosa solo avendo il coraggio di fermare i “bubboni” prima che diventino tali: ergo, non bisogna spalancare sempre più le frontiere, tantomeno asciugare i budget militari e indebolire le leggi antiterrorismo.
Giovedì, 27 marzo 2024