di Paolo Mazzeranghi
1. Uno scrittore cattolico fra due mondi
Joseph-Pierre Hilaire Belloc nasce il 27 luglio 1870 a La Celle-Saint-Cloud, presso Parigi, da padre francese, avvocato, e madre inglese, appartenente all’alta borghesia, convertita al cattolicesimo dal protestantesimo. Compie i primi studi presso i padri oratoriani in Inghilterra, a Birmingham, poi negli Stati Uniti d’America e in Francia. Addottorato con il massimo dei voti in storia nell’esclusivo Balliol College di Oxford, si vede preclusa la prospettiva di una carriera accademica a causa del temperamento indipendente e combattivo e della dichiarata adesione al cattolicesimo. Nel 1900 conosce Gilbert Keith Chesterton (1874-1936), con il quale dà vita a un fraterno sodalizio intellettuale. Divenuto suddito britannico nel 1902, nel 1906 è eletto alla Camera dei Comuni per il Partito Liberale e nel 1910 come indipendente. Polemista molto attivo nel dibattito politico, è anche scrittore straordinariamente prolifico nei generi più diversi: dalla narrativa per ragazzi alla poesia, dai racconti di viaggio – celebre La Via di Roma, in cui narra il pellegrinaggio a piedi da Parigi a Roma svolto nel 1901 – alla tecnica militare e ai romanzi polizieschi, dai saggi di tema politico alle biografie e alle grandi opere storiche. Si spegne il 16 luglio 1953 a Guilford, nel Surrey.
2. La nascita dell’Europa
Considerato dalla critica letteraria uno dei maggiori scrittori inglesi del suo tempo, come storico Belloc deve patire in Inghilterra una diffusa ostilità. Nelle sue opere sulla formazione della civiltà europea e sulla storia d’Inghilterra si contrappone apertamente alla storiografia rappresentata da autori come Edward Gibbon (1737-1794), Thomas Babington Macaulay (1800-1859), Thomas Carlyle (1795-1881), John Lothrop Motley (1814-1877), Edward Augustus Freeman (1823-1892) e George Macaulay Trevelyan (1876-1962), nei quali si riscontrano – peraltro con varie combinazioni e intensità – motivi analoghi a quelli proposti nelle prestigiose università della Germania Settentrionale e che hanno egemonizzato la visione storica dei paesi di cultura protestante, lasciando vistose tracce pure in quelli di cultura cattolica, anche nella divulgazione e, di conseguenza, nell’opinione corrente. Tali motivi compongono un quadro in cui viene dilatato oltre misura il ruolo avuto nella nascita dell’Europa dall’irruzione “[…] dei numerosi e vigorosi barbari, tedeschi naturalmente, ricchi di tutte le belle doti pagane, che di solito finiscono per essere le virtù protestanti del diciannovesimo secolo”, che avrebbero spazzato via l’impero romano, edificio pagano ancora mirabile, per quanto indebolito, la cui agonia sarebbe stata accelerata dal cristianesimo, morbo orientale nel corpo dell’Occidente. Nel caso dell’Inghilterra si giunge talora a rigettare ogni influsso imperiale e cattolico, attribuendo l’origine nazionale agli stanziamenti dei pirati in Britannia nel secolo V dopo Cristo. Comunque, anche quando si ammette l’influsso della romanità inquinata di cattolicesimo sull’elemento barbarico, si sottolinea il significato di riscatto dell’elemento germanico avuto dalla Riforma protestante, che segna per l’Occidente l’inizio della Modernità e che quindi condanna le nazioni cattoliche a un ritardo storico – politico, sociale ed economico – colmabile solo attraverso la progressiva espunzione della cultura cattolica. Belloc contesta questo quadro non in quanto antiromano o anticattolico, ma in quanto, soprattutto, antistorico. Afferma anzitutto il carattere “cattolico” del cristianesimo che convertì l’impero. Quanto l’intelletto greco-romano, nella sua maturità, alla fine accoglie, non è uno dei tanti culti orientali di moda nel crepuscolo dell’impero, o una vaga sentimentalità, o un vago compromesso fra opinioni umane sulla figura storica di Gesù Cristo, ma quanto proposto dalla Chiesa cattolica, un’istituzione che trae dal fatto di ritenersi fondata da una persona divina l’autorità, trasmessa a partire dal Fondatore per ininterrotta successione, d’insegnare un ben preciso corpo di verità di fede e d’indicare un’altrettanto ben precisa disciplina morale. Ciò rappresenta – e qui si coglie il motivo sia delle lunghe persecuzioni che del finale successo nel modellare una civiltà – una radicale novità nella cultura del tempo: l’offerta di verità in luogo di ipotesi, di concreti fatti storici al posto di miti suggestivi, e l’affermazione del carattere reale e non simbolico dei propri misteri – primo fra tutti il Sacrificio Eucaristico – contrariamente a quanto accadeva per i culti orientali diffusisi nell’impero. Il cristianesimo non provoca la caduta dell’impero, ma salva quanto poteva essere salvato di una civiltà entrata in una decadenza dai molteplici aspetti – istituzionali e militari, demografici ed economici – molto prima che la nuova fede iniziasse a far sentire la sua influenza. Contro la citata storiografia, che vi vedrebbe una prefigurazione del successo dell’elemento germanico su quello romano-cattolico, le stesse cosiddette invasioni barbariche fino a tutto il secolo V andrebbero – secondo Belloc – ridefinite sulla base sia della rilevanza quantitativa che dell’attribuzione etnica e dei rapporti culturali e politico-militari con l’impero dei gruppi umani interessati. Ciò che realmente minaccia di distruggere la nascente civiltà cristiana occidentale è, dal secolo VI al X, quanto Belloc chiama “l’Assedio della Cristianità”, portato fin nel cuore dell’Europa da una parte dalle orde costituite principalmente di scandinavi, di slavi e di mongoli, dall’altra dall’Islam. Nella “tempera” di questi cinque secoli prendono forma alcuni connotati salienti della Cristianità medioevale d’Occidente: il profondo senso di unità cristiana attraverso il vincolo della Messa latina e il legame con il vescovo di Roma; lo sviluppo di una classe nobiliare distintasi per le imprese guerresche a beneficio della comunità; e il compimento del processo di emancipazione dalla schiavitù e di consolidamento dell’istituto familiare.
Il periodo che approssimativamente va dal secolo XI al XIII, ancora accompagnato dallo sforzo per spezzare l'”Assedio” ed espandere la Cristianità, rappresenta per Belloc il culmine del Medioevo, caratterizzato dalla fondazione delle grandi istituzioni dell’Occidente, i parlamenti e le università, dall’opera dei grandi santi medioevali – fra i quali spiccano san Francesco d’Assisi (1182-1226) e san Domenico di Guzmán (1170 ca.-1221) -, dall’apogeo della filosofia medioevale con san Tommaso d’Aquino (1225 ca.-1274) e della letteratura medioevale con Dante Alighieri (1265-1321). I due secoli successivi vedono il declino della civiltà cristiana medioevale, durante il quale, al miglioramento nella conoscenza del mondo e nelle arti, si accompagna una certa crisi spirituale, con sintomi di rottura dell’unità di dottrina e di disciplina della Chiesa, con il sorgere dei più diversi dubbi in materia teologica, ai quali si stenta a far fronte con mezzi apostolici piuttosto che sanzionatori, nonché con un difficile rapporto della Chiesa con il potere temporale, ora rappresentato dai sorgenti Stati nazionali. Al culmine di tale declino si situa la Riforma protestante, che porta alla nascita del capitalismo.
3. La crisi del “sistema distributivo”
Belloc, pur non trascurando quanto nel protestantesimo – specialmente nella componente di esso più coerente e organizzata, quella calvinista – poteva, da un punto di vista teologico, predisporre alla nascita del capitalismo, non cede alle semplificazioni, di cui sono esempio le ricorrenti letture riduttive delle tesi di Max Weber (1864-1920). Nello sgretolamento dell’edificio della Cristianità causato dalla Riforma vede piuttosto l’inizio del progressivo disfacimento del delicato equilibrio sociale, costruito nel Medioevo principalmente sulla proprietà privata rurale e sulle corporazioni cittadine, l’una e le altre tese a preservare la libertà personale e familiare, a subordinare l’economia alla morale e a evitare la proletarizzazione del lavoro. Il dissolvimento del sistema corporativo avrebbe condotto alla concorrenza sfrenata, l’indebolimento della morale cattolica all’espansione dell’usura sotto specie di credito. La distruzione del “sistema distributivo”, costituito da proprietà privata e da corporazioni, e il saccheggio dei beni della Chiesa, destinati al servizio della comunità, avrebbero consentito la formazione di interessi economici solidali, nella lotta contro Roma, con le forze della Riforma, qualificabile in tale prospettiva come “una sollevazione del ricco contro il povero”.
In Inghilterra il processo inizia con il rapido passaggio dei beni ecclesiastici, confiscati da Enrico VIII Tudor (1491-1547) e dai suoi immediati successori, nelle mani di un ristretto numero di grandi proprietari terrieri, ai quali presto si associa una piccola plutocrazia commerciale. L’accumulo di risorse economiche nelle mani di questo nucleo originario consente, con il passare del tempo, l’introduzione di macchine innovative e la concentrazione dell’industria, in grado di assorbire il proletariato generato dalla spietata concorrenza alla piccola proprietà rurale e dall’abolizione delle proprietà pubbliche e delle consuetudini comunitarie tipiche dell’Europa cristiana. Il parlamento e la stessa Corona diventano lo strumento di queste oligarchie, e la nazione inglese il braccio economico, politico e militare della Riforma, condizionandone il destino anche sul continente.
4. Lo “Stato servile”
L’esito di questo processo storico sarebbero la diffusione del capitalismo in tutta Europa e nelle proiezioni europee negli altri continenti, e il sorgere, come fratello antagonista, del socialismo. La specificità di quanto Belloc chiama capitalismo non risiede nel fatto di fondarsi sulla proprietà privata – di cui egli è ardente sostenitore – e neppure sul perseguimento del profitto, ma sull’esistenza del proletariato, cioè di una massa di uomini che possiedono la libertà politica formale senza godere di quella economica. Nell’opera The Servile State, del 1912, Belloc paventa la trasformazione dello Stato capitalista nello “Stato servile”, in cui la gran parte della gente sia privata della libertà di scegliere il proprio lavoro e costretta a lavorare per altri, senza poter coltivare la speranza di quell’emancipazione economica che garantisce le libertà concrete degli individui e delle famiglie. Lo stesso sistema di sicurezza sociale – assicurazioni sul lavoro, minimo salariale, sussidio di disoccupazione e arbitrato obbligatorio -, in corso d’introduzione negli anni in cui Belloc scrive e che egli avversa in parlamento, oltre a sancire una sorta di diritto disciplinare del capitalista sul lavoratore, proteggendo solo i lavoratori salariati e non le categorie economicamente libere, affievolirebbe nei primi il desiderio d’indipendenza economica. A meno di non voler superare l’innaturale dissociazione di libertà politica e libertà economica mediante la sanguinosa soppressione di entrambe con un comunismo di tipo sovietico, è necessario – secondo Belloc – rendere tali libertà di nuovo solidali nello “Stato proprietario” o “Stato distributivo”, caratterizzato dalla maggior diffusione possibile della proprietà privata, per il cui conseguimento egli fornisce anche alcune indicazioni pratiche, pur insistendo sul fatto che nulla potrà scongiurare il comunismo o la degenerazione del capitalismo nello “Stato servile”, una sorta di ritorno alla schiavitù pagana di cui aveva avuto ragione la civiltà cristiana medioevale, se la fede non tornerà a svolgere il ruolo di intima guida dell’Europa, secondo la legge per cui ogni restaurazione procede dalla riconquista delle condizioni spirituali all’origine della realtà da restaurare.
5. Attualità
Se il tempo non ha appannato il vivido affresco di Belloc sulla nascita dell’Europa, se sono da promuovere letture della storia alternative a quelle correnti, anche quanto parrebbe più datato – dopo l’evoluzione subita sia dal capitalismo che dal comunismo, che proprio in anni recenti sembra aver esaurito la sua parabola storica – non ha perso di attualità. Il problema del rapporto fra proprietà privata – o, se si vuole, fra libertà economica – e libertà concrete degli individui, delle famiglie e degli altri corpi sociali rimane aperto specie quando, dietro un apparente capitalismo diffuso con connotazioni in qualche modo distributivistiche, si riaffaccia lo “Stato servile”, nel quale lo sfruttamento capitalistico è di fatto sostituito da quello fiscale e la concentrazione del capitale – peraltro da non sottovalutare – dalla eterodirezione della vita economica da parte di “poteri forti” finanziari o burocratici. E questa è storia d’oggi.
Per approfondire: vedi un primo inquadramento, in Hilaire Belloc, a cura di Francesco Perfetti, Volpe, Roma 1968; per la prospettiva storica dell’autore, vedi i suoi L’anima cattolica de l’Europa, trad. it., Morcelliana, Brescia 1946; Breve storia d’Inghilterra, trad. it., Studium, Roma 1938; e La crisi della civiltà, trad. it., Morcelliana, Brescia 1948; per la sua concezione socio-economica, oltre all’opera precedente, vedi il Saggio sull’indole dell’Inghilterra contemporanea, trad. it., La Nuova Italia, Firenze 1938, e Lo Stato servile, trad. it., Liberilibri, Macerata 1993; fra i racconti, vedi La via di Roma, trad. it., Edizioni Paoline, Alba (Cuneo) 1966; fra le biografie, Milton, trad. it., Edizioni Paoline, Roma 1963; Elisabetta creatura di circostanza, trad. it., Edizioni Paoline, Roma 1961; Oliviero Cromwell, trad. it., Morcelliana, Brescia 1947; Giovanna d’Arco, trad. it., Edizioni Paoline, Bari 1962; e Richelieu, trad. it., dall’Oglio, Milano 1974.