Nato a Strasburgo il 15 settembre 1858 in una famiglia aristocratica, orfano molto giovane, è allevato con la sorella Maria dai nonni materni.
Nel 1878 muore il nonno e quindi eredita un consistente patrimonio che gli consente una vita spensierata, da libertino amante di gesti stravaganti.
Dopo alcuni anni di vita militare abbandona l’esercito e prepara un viaggio esplorativo nel sud del Marocco, zona assolutamente vietata agli occidentali. Stabilitosi ad Algeri per imparare l’arabo, trova come guida un anziano mercante e rabbino ebreo, si traveste anche lui da rabbino e riesce ad attraversare una zona mai visitata da europei, facendo importanti rilievi antropologici, linguistici ma soprattutto geografici.
Nell’ottobre 1886, una richiesta di chiarimenti rivolta all’abate Huvelin diventa una lunga e sentita confessione nella chiesa di Sant’Agostino a Parigi, da cui uscirà definitivamente convertito. Compie un pellegrinaggio in Terra Santa dove lo coglie per la prima volta il desiderio di una vita religiosa, solitaria e povera. Soggiorna prima presso i benedettini di Solesmes, poi nelle trappe di Soligny e Nostra Signora di Ardèche e infine presso i gesuiti di Clamart. A 32 anni entra nella trappa di Notre-Dame-des-Neiges con il nome di fratel Alberico Maria e pochi mesi dopo parte per la trappa di Cheikhlé in Armenia dove rimane per sei anni.
Sente sempre più forte il bisogno della preghiera, della povertà più assoluta, del silenzio e del nascondimento sull’esempio di Gesù a Nazareth e così nel 1897 chiede e ottiene di uscire dall’Ordine.
Torna in Terra Santa e si stabilisce presso le clarisse a Nazareth, offrendo i suoi servigi in cambio del mantenimento. Fa di tutto: falegname, fattorino, giardiniere, segretario vivendo il più nascosto possibile Nel 1899 decide di prendere il nome di fratel Carlo di Gesù che manterrà fino alla morte e finisce di scrivere la Regola di un ipotetico ordine religioso in cui si ispira a sant’Agostino. Ordinato sacerdote a 43 anni, parte per l’Algeria, stabilendosi a Beni Abbès, nel Sahara, con la speranza di penetrare in Marocco per portare a quella gente la presenza di Gesù sacramentato.
Il suo desiderio è uno solo: rendere presente Gesù fra i musulmani del deserto attraverso il Santissimo Sacramento.
Niente proselitismo
Le sue esperienze giovanili, la frequentazione di arabi e berberi lo hanno convinto che non è pensabile un’opera di conversione attraverso forme di proselitismo: troppo lontani i due mondi! Solo con la dolce presenza di Gesù e con la lenta acquisizione della loro lingua, dei loro usi e costumi, della loro struttura sociale, solo entrando in confidenza con loro, solo conquistando la loro fiducia sarà possibile far loro conoscere il cristianesimo.
Il suo è un atteggiamento pieno di attenzioni all’altro, pieno di rispetto per una cultura tanto diversa che suona anticipatore di riflessioni tipiche del Concilio Vaticano II.
E allora che cosa possiamo fare? È ancora lui che scrive «in che modo possiamo unire a noi questa gente? Civilizzandola [il termine tipico dell’epoca nasconde però un significato diverso], facendo per questa gente ciò che vorremmo si facesse a noi; trattandoli con giustizia e bontà… lavorando per farli progredire al massimo, per elevarli moralmente e intellettualmente quanto più si può, e questo è un dovere di carità. Amare il prossimo come noi stessi».
Che cosa fa fratel Carlo di Gesù in Algeria? Vive in un’umile capanna, traendo il sostentamento da un piccolo orto che lui stesso coltiva, ma soprattutto, quando può, celebra la S. Messa, conserva il SS. Sacramento, accoglie la gente di passaggio, offre cibo e acqua ai poveri, si scaglia contro l’obbrobrio della schiavitù, talvolta presta cure anche mediche oltre che spirituali, ma soprattutto studia il dialetto dei berberi e la lingua dei Tuareg. È convinto che la lingua sia un elemento chiave per poter entrare in contatto con loro e guadagnare la loro fiducia, e allora per anni studia, cerca di catalogare detti e proverbi, scrive un dizionario tuareg-francese e francese-tuareg, raccoglie leggende e epopee delle varie tribù, ottiene l’amicizia e la stima dell’amenokal Moussa Ag Amastan, gran capo dell’Hoggar, da cui viene spesso consultato anche su delicate questioni politiche nei confronti dei Francesi.
I Piccoli Fratelli
Nel 1905 arriva a Tamanrasset, continua a perfezionare la Regola dei Piccoli Fratelli di Gesù approvata dal suo vescovo a cui accosta le Piccole Sorelle di Gesù e nel 1907 penserà a una specie di terz’ordine chiamato Unione dei Fratelli e delle Sorelle del Sacro Cuore di Gesù, laici missionari disposti a vivere in mezzo ai musulmani e testimoniare la fede cristiana.
Il suo grande amore resterà sempre il Cuore di Gesù e la Sua presenza nell’Ostia consacrata, di fronte a cui passa notti intere in preghiera. Scrive «Più si dà al Signore e più Egli rende. Ho creduto di dar tutto lasciando il mondo… ho ricevuto più che non avessi donato». «Gesù si offre per essere compagno per tutte le ore. E questo non ci basta? Lasceremo il Creatore per andare alle creature? Sì, Gesù basta: là dove Egli è, niente manca».
Allo scoppio della Prima guerra mondiale fratel Carlo costruisce una specie di fortino a Tamanrasset per ospitare la popolazione locale, almeno 40 persone con rifornimenti per resistere a lungo.
La morte violenta
Il 1 dicembre 1916, primo venerdì del mese, dedicato al Sacro Cuore di Gesù, verso le sette di sera, il fortino subisce l’aggressione da parte di 40-45 fellaga (banditi, predoni), aderenti alla Senussiyya, armati di fucili italiani, attratti dalle riserve conservate nel fortino: con l’inganno fanno aprire il portone a fratel Carlo e lo costringono a uscire, lo legano con le mani dietro la schiena e ai piedi, lo addossano al muro esterno, lo affidano alla custodia del più giovane della banda mentre gli altri si danno al saccheggio. Intanto si avvicinano al villaggio due soldati di rientro dal loro turno. Fratel Carlo compie un gesto spontaneo, forse per avvisarli del pericolo. La giovane guardia perde la testa, punta il fucile e spara. Fratel Carlo muore in pochi istanti, da solo come è sempre vissuto, in mezzo (e per loro mano) ai suoi Tuareg, che in ogni modo ha cercato di aiutare e di conoscere, lasciando alla Chiesa il suo esempio di grande abnegazione, di profetica comprensione delle nuove dinamiche missionarie, di lucida analisi della situazione sociale, culturale, storica in cui è vissuto, di santità di vita e di insaziabile amore al Signore Gesù.
Padre Charles de Foucauld è stato beatificato da papa Benedetto XVI il 13 novembre 2005. Il Pontefice ha dichiarato che la sua vita è «un invito ad aspirare alla fraternità universale».
Silvia Scaranari