Quando la vendetta sostituisce una giustizia che non c’è
Giustizia sommaria? Così titolano oggi i quotidiani. Parlare di giustizia è blasfemo: quello commesso ieri a Vasto da Fabio Di Lello contro Italo D’Elisa è un omicidio in piena regola. E’ una tragedia per tutti: non restituisce la vita a Roberta, la moglie di Di Lello, che D’Elisa aveva falciato, attraversando un incrocio a tutta velocità col semaforo rosso il 1° luglio 2016. Aggiunge morte a morte, spingendo nella desolazione la famiglia della seconda vittima e lo stesso Di Lello. Ma è una tragedia pure per la giustizia italiana: senza che nulla – ripeto – giustifichi il gesto, è obbligatorio chiedersi se e quanto alla disperazione del secondo omicida abbia concorso che D’Elisa non ha trascorso il carcere neanche un’ora e che – sette mesi dopo il fatto – non vi sia stata nemmeno l’udienza preliminare; e quindi la celebrazione del giudizio sia ancora più lontana: per una condotta per la quale la recente riforma dell’omicidio stradale prevede da cinque a dieci anni di reclusione. Abbia inciso, cioè, la percezione dell’assenza di una risposta dello Stato. La misura della civiltà di un ordinamento dipende dalla sua capacità di stroncare la tentazione della vendetta. Val la pena domandarsi se, in questi come in tanti altri casi, quella misura sia stata rispettata.