Domenica 5 febbraio, a Lione, Marine Le Pen ha pronunciato il discorso che ha scosso il mondo, o così sostengono i media. Ma c’è qualcosa che non quadra.
Delle tante cose che la leader del Front National ha detto rispolverando la grandeur nazionale, lanciando invettive contro l’euro, l’Europa e la Nato, vellicando i sogni di una Francia attratta dal neo-post-lepenismo (nel senso del padre, Jean-Marie, espropriato del suo stesso partito per incontinenza ideologica), due slogan hanno guadagnato il boato della folla.
Il primo è quello con cui la Le Pen ha diviso il mondo tra buoni e cattivi, ovvero “patrioti” e “mondialisti”. Ora, “mondialismo” è un’espressione da manuale del complottista che evoca conventicole d’incappucciati cospiranti nell’ombra sulle spalle di popoli e persone. In verità una sua plausibilità semantica e concettuale il termine ce l’ha anche, ma oramai è patrimonio di un certo giro mentale un po’ involuto e autoreferenziale, e soprattutto tipico di una certa mentalità di una certa destra da cui la Le Pen vuole smarcarsi ma a cui ‒ lo zoccolo duro del suo elettorato quello è ‒ un po’ fa ritorno. Forse. Perché “mondialismo” in Francia ha un significato che probabilmente non è lo stesso che ha in Italia. Almeno in parte. Se infatti esiste abbondante e storica letteratura antimondialista francese che del termine dà il significato “italiano”, ovvero occulto e tramebondo (nel senso delle trame), certamente ne esiste una semantizzazione più light e fredda che lo accredita più o meno come sinonimo di “globalizzazione”. Per i cercatori di complotti all’“italiana”, anche se francesi, “mondialismo” e “globalizzazione” pari sono, ma per tantissimi francesi (quei tanti a cui la Le Pen punta per andare oltre lo zoccolo duro storico dell’elettorato del Front National) il “mondialismo” della “globalizzazione” sarà pure un turpe ordito degli odiati “turbocapitalisti”, ma con massoni e affini non c’entra. Vale a dire: se la Le Pen spara ad alzo zero contro il “mondialismo”, un po’ titilla il vecchio mondo del Front National nemico giurato dei club occulti, ma molto ammicca all’operaio 2.0 e al neoborghese defraudati dal nuovo ordine economico mondiale già frustrante senza bisogno di pendolini e pentagrammi. Chi lo dice è una voce al di sopra di ogni sospetto, Eric Josef, giacché giornalista dello storico quotidiano della Sinistra francese Libération ai microfoni di Radio Popolare, emittente storica della Sinistra italiana. A meno di non volerci vedere un ennesimo complotto, ricordando che Libération fu fondato dal filosofo esistenzial-marxista Jean-Paul Sartre per finire dal 2006 controllato da Édouard de Rothschild, rampollo del ramo francese dei banchieri ebrei Rothschild che in ogni complotto che si rispetti stanno come il cacio sui maccheroni.
Stigmatizzando i “mondialisti” per accreditare sé e i suoi come i “patrioti”, la Le Pen da un lato evita astutamente di utilizzare la categorie “Destra” e “Sinistra” in vista di un trasversalismo necessario, dall’altro prende di mira il suo avversario per ora più quotato nella corsa all’Eliseo: Emmanuel Macron, nato, cresciuto e plasmato nella Sinistra socialista francese, ma oggi tanto oltre da non avere nemmeno un partito. Per la Le Pen l’avversario “mondialista” è Macron perché Macron pare essere un beniamino della Goldman Sachs, una delle maggiori banche d’affari del mondo, fondata da banchieri ebrei, ovvero un altro grande classico del complottismo. In questo modo la Le Pen cattura sia l’elettore avversario del “mondialismo” “caldo” sia l’elettore avversario del “mondialismo” “freddo”; volendo semplificare, sia l’elettore “patriota” di destra sia l’elettore “patriota” di sinistra.
Ma veniamo al secondo dei due slogan che domenica hanno magnetizzato la sua piazza di Lione: il richiamo al nume tutelare Donald J. Trump. Qui la folla già osannante è andata in visibilio, e non è che la Le Pen un calcolo non ce lo abbia fatto. Quel calcolo però le è riuscito soltanto perché per tirare le somme la sua folla ha adoperato la pancia e non la testa. Potrebbe apparire indelicato ricordarlo ai “tifosi”, ma il Trump che la folla dei “patrioti” lepenisti anti-mondialisti osanna la Goldman Sachs “mondialista” se l’è addirittura portata dentro il governo. Di ex numeri primi di Goldman Sachs nel governo Trump non ce n’è infatti uno, non ce ne sono due e neanche tre, bensì cinque, e tutti con ruoli chiave: dal suo braccio destro Steven K. Bannon (odiato dai “No Trump” e venerato dalle tifoserie trumpiste come emblema dell’anti-“mondialismo”) ai vertici dei ministeri economici.
Dove voglio arrivare? A due considerazioni. La prima è un aut aut: o Trump fa parte anche lui di un megacomplotto ordito per buggerare i “patrioti”, oppure la retorica sui complotti (e su Goldman Sachs) va profondamente riveduta. I veri “patrioti” debbono però scegliere, sennò finisce che prima o poi qualcuno rinfaccerà loro di adorare come fustigatore dei mondialisti proprio un mondialista…
La seconda è che tutto questo rivela come la Le Pen e Trump siano due animali politici diversi e distanti.
Lei spara nel mucchio forse senza nemmeno sapere di cosa stia parlando e propone scenari surreali; lui spesso non sa di cosa sta parlando ma, costantemente aggredito dalla realtà, sfoggia insospettate dosi di sano realismo (Goldman Sachs compresa). Dovranno convincersene anche i tifosi della Le Pen (e del quadretto ipotetico che la ritrarrebbe assieme a Trump) che toccano ferro al solo sentir nominare la suddetta famosa banca d’affari.
Lei sogna la fuoriuscita dall’euro, lui lavora per rafforzare il dollaro. Lui ha fatto i soldi con quella caricatura della libertà di mercato che è il “capitalismo clientelare” ma tutto è tranne che un socialista, lei ha scelto come demiurgo del neo-post-lepenismo (sempre nel senso di suo padre), Florian Philippot, creato vicepresidente del Front National (uno dei cinque) con delega alla strategia e alla comunicazione, già sostenitore di Jean-Pierre Chevènement, leader della Sinistra “sovranista”. Quando in Francia autorevoli commentatori si domandano se il Front National della bionda Marine, laicista e favorevole alla vigente legge sull’aborto, non sia diventato un partito di sinistra è a Philippot che guardano. Il biondo Trump invece, che pure ha enormi difetti, non ritiene affatto che l’ingerenza dello Stato tassatore e prenditutto sia la risposta alla criticabilissima globalizzazione odierna, dell’aborto pensa peste e corna, del laicismo pure e sui princìpi non negoziabili non ha ancora sbagliato un colpo.
Morale: si fa in fretta a prendere applausi dicendo “protezionismo”, ma per non finire a combattere un male certo con un male ancora peggiore bisogna avere il physique du rôle. Tutti i Trump in sedicesimo che scalpitano per raggiungere il proscenio in diversi luoghi d’Europa farebbero insomma meglio a studiarsi attentamente l’originale.