Congregazione per la Dottrina della Fede, Cristianità n. 318 (2003)
Di fronte a un fenomeno morale e sociale inquietante come quello dell’omosessualità, tanto più preoccupante nei paesi che hanno già concesso o intendono concedere un riconoscimento legale alle unioni omosessuali, il 3 agosto 2003 la Congregazione per la Dottrina della Fede ha pubblicato Considerazioni circa i progetti di riconoscimento legale delle unioni tra persone omosessuali. Datato 3 giugno 2003, il documento non contiene novità dottrinali, ma richiama i punti essenziali del problema, fornisce ai vescovi alcune argomentazione di carattere razionale e illumina gli uomini politici cattolici, ai quali indica le linee di condotta in proposito, coerenti con la coscienza cristiana. Trascrizione da L’Osservatore Romano, 4-8-2003, e titolo originale.
Introduzione
1. Diverse questioni concernenti l’omosessualità sono state trattate recentemente più volte dal Santo Padre Giovanni Paolo II e dai competenti Dicasteri della Santa Sede (1). Si tratta infatti di un fenomeno morale e sociale inquietante, anche in quei Paesi in cui non assume un rilievo dal punto di vista dell’ordinamento giuridico. Ma esso diventa più preoccupante nei Paesi che hanno già concesso o intendono concedere un riconoscimento legale alle unioni omosessuali che, in alcuni casi, include anche l’abilitazione all’adozione di figli. Le presenti Considerazioni non contengono nuovi elementi dottrinali, ma intendono richiamare i punti essenziali circa il suddetto problema e fornire alcune argomentazioni di carattere razionale, utili per la redazione di interventi più specifici da parte dei Vescovi secondo le situazioni particolari nelle diverse regioni del mondo: interventi destinati a proteggere ed a promuovere la dignità del matrimonio, fondamento della famiglia, e la solidità della società, della quale questa istituzione è parte costitutiva. Esse hanno anche come fine di illuminare l’attività degli uomini politici cattolici, per i quali si indicano le linee di condotta coerenti con la coscienza cristiana quando essi sono posti di fronte a progetti di legge concernenti questo problema (2). Poiché si tratta di una materia che riguarda la legge morale naturale, le seguenti argomentazioni sono proposte non soltanto ai credenti, ma a tutti coloro che sono impegnati nella promozione e nella difesa del bene comune della società.
I. Natura e caratteristiche irrinunciabili del matrimonio
2. L’insegnamento della Chiesa sul matrimonio e sulla complementarità dei sessi ripropone una verità evidenziata dalla retta ragione e riconosciuta come tale da tutte le grandi culture del mondo. Il matrimonio non è una qualsiasi unione tra persone umane. Esso è stato fondato dal Creatore, con una sua natura, proprietà essenziali e finalità (3). Nessuna ideologia può cancellare dallo spirito umano la certezza secondo la quale esiste matrimonio soltanto tra due persone di sesso diverso, che per mezzo della reciproca donazione personale, loro propria ed esclusiva, tendono alla comunione delle loro persone. In tal modo si perfezionano a vicenda, per collaborare con Dio alla generazione e alla educazione di nuove vite.
3. La verità naturale sul matrimonio è stata confermata dalla Rivelazione contenuta nei racconti biblici della creazione, espressione anche della saggezza umana originaria, nella quale si fa sentire la voce della natura stessa. Tre sono i dati fondamentali del disegno creatore sul matrimonio, di cui parla il Libro della Genesi.
In primo luogo l’uomo, immagine di Dio, è stato creato “maschio e femmina” (Gn. 1, 27). L’uomo e la donna sono uguali in quanto persone e complementari in quanto maschio e femmina. La sessualità da un lato fa parte della sfera biologica e, dall’altro, viene elevata nella creatura umana ad un nuovo livello, quello personale, dove corpo e spirito si uniscono.
Il matrimonio, poi, è istituito dal Creatore come forma di vita in cui si realizza quella comunione di persone che impegna l’esercizio della facoltà sessuale. “Per questo l’uomo abbandonerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due saranno una sola carne” (Gn. 2, 24).
Infine, Dio ha voluto donare all’unione dell’uomo e della donna una partecipazione speciale alla sua opera creatrice. Perciò Egli ha benedetto l’uomo e la donna con le parole: “Siate fecondi e moltiplicatevi” (Gn. 1, 28). Nel disegno del Creatore complementarità dei sessi e fecondità appartengono quindi alla natura stessa dell’istituzione del matrimonio.
Inoltre, l’unione matrimoniale tra l’uomo e la donna è stata elevata da Cristo alla dignità di sacramento. La Chiesa insegna che il matrimonio cristiano è segno efficace dell’alleanza di Cristo e della Chiesa (cfr. Ef. 5, 32). Questo significato cristiano del matrimonio, lungi dallo sminuire il valore profondamente umano dell’unione matrimoniale tra l’uomo e la donna, lo conferma e lo rafforza (cfr. Mt. 19, 3-12; Mc. 10, 6-9).
4. Non esiste fondamento alcuno per assimilare o stabilire analogie, neppure remote, tra le unioni omosessuali e il disegno di Dio sul matrimonio e la famiglia. Il matrimonio è santo, mentre le relazioni omosessuali contrastano con la legge morale naturale. Gli atti omosessuali, infatti, “precludono all’atto sessuale il dono della vita. Non sono il frutto di una vera complementarità affettiva e sessuale. In nessun modo possono essere approvati” (4).
Nella Sacra Scrittura le relazioni omosessuali “sono condannate […] come gravi depravazioni […] (cfr. Rm. 1, 24-27; 1 Cor. 6, 10; 1 Tm. 1, 10). Questo giudizio della Scrittura non permette di concludere che tutti coloro, i quali soffrono di questa anomalia, ne siano personalmente responsabili, ma esso attesta che gli atti di omosessualità sono intrinsecamente disordinati” (5). Lo stesso giudizio morale si ritrova in molti scrittori ecclesiastici dei primi secoli (6) ed è stato unanimemente accettato dalla Tradizione cattolica.
Secondo l’insegnamento della Chiesa, nondimeno, gli uomini e le donne con tendenze omosessuali “devono essere accolti con rispetto, compassione, delicatezza. A loro riguardo si eviterà ogni marchio di ingiusta discriminazione” (7). Tali persone inoltre sono chiamate come gli altri cristiani a vivere la castità (8). Ma l’inclinazione omosessuale è “oggettivamente disordinata” (9) e le pratiche omosessuali “sono peccati gravemente contrari alla castità” (10).
II. Atteggiamenti nei confronti del problema delle unioni omosessuali
5. Nei confronti del fenomeno delle unioni omosessuali, di fatto esistenti, le autorità civili assumono diversi atteggiamenti: a volte si limitano alla tolleranza di questo fenomeno; a volte promuovono il riconoscimento legale di tali unioni, con il pretesto di evitare, rispetto ad alcuni diritti, la discriminazione di chi convive con una persona dello stesso sesso; in alcuni casi favoriscono persino l’equivalenza legale delle unioni omosessuali al matrimonio propriamente detto, senza escludere il riconoscimento della capacità giuridica di procedere all’adozione di figli.
Laddove lo Stato assuma una politica di tolleranza di fatto, non implicante l’esistenza di una legge che esplicitamente concede un riconoscimento legale a tali forme di vita, occorre ben discernere i diversi aspetti del problema. La coscienza morale esige di essere, in ogni occasione, testimoni della verità morale integrale, alla quale si oppongono sia l’approvazione delle relazioni omosessuali sia l’ingiusta discriminazione nei confronti delle persone omosessuali. Sono perciò utili interventi discreti e prudenti, il contenuto dei quali potrebbe essere, per esempio, il seguente: smascherare l’uso strumentale o ideologico che si può fare di questa tolleranza; affermare chiaramente il carattere immorale di questo tipo di unione; richiamare lo Stato alla necessità di contenere il fenomeno entro limiti che non mettano in pericolo il tessuto della moralità pubblica e, soprattutto, che non espongano le giovani generazioni ad una concezione erronea della sessualità e del matrimonio, che le priverebbe delle necessarie difese e contribuirebbe, inoltre, al dilagare del fenomeno stesso. A coloro che a partire da questa tolleranza vogliono procedere alla legittimazione di specifici diritti per le persone omosessuali conviventi, bisogna ricordare che la tolleranza del male è qualcosa di molto diverso dall’approvazione o dalla legalizzazione del male.
In presenza del riconoscimento legale delle unioni omosessuali, oppure dell’equiparazione legale delle medesime al matrimonio con accesso ai diritti che sono propri di quest’ultimo, è doveroso opporsi in forma chiara e incisiva. Ci si deve astenere da qualsiasi tipo di cooperazione formale alla promulgazione o all’applicazione di leggi così gravemente ingiuste nonché, per quanto è possibile, dalla cooperazione materiale sul piano applicativo. In questa materia ognuno può rivendicare il diritto all’obiezione di coscienza.
III. Argomentazioni razionali contro il riconoscimento legale delle unioni omosessuali
6. La comprensione dei motivi che ispirano la necessità di opporsi in questo modo alle istanze che mirano alla legalizzazione delle unioni omosessuali richiede alcune considerazioni etiche specifiche, che sono di diverso ordine.
Di ordine relativo alla retta ragione
Il compito della legge civile è certamente più limitato riguardo a quello della legge morale (11), ma la legge civile non può entrare in contraddizione con la retta ragione senza perdere la forza di obbligare la coscienza (12). Ogni legge posta dagli uomini in tanto ha ragione di legge in quanto è conforme alla legge morale naturale, riconosciuta dalla retta ragione, e in quanto rispetta in particolare i diritti inalienabili di ogni persona (13). Le legislazioni favorevoli alle unioni omosessuali sono contrarie alla retta ragione perché conferiscono garanzie giuridiche, analoghe a quelle dell’istituzione matrimoniale, all’unione tra due persone dello stesso sesso. Considerando i valori in gioco, lo Stato non potrebbe legalizzare queste unioni senza venire meno al dovere di promuovere e tutelare un’istituzione essenziale per il bene comune qual è il matrimonio.
Ci si può chiedere come può essere contraria al bene comune una legge che non impone alcun comportamento particolare, ma si limita a rendere legale una realtà di fatto che apparentemente non sembra comportare ingiustizia verso nessuno. A questo proposito occorre riflettere innanzitutto sulla differenza esistente tra il comportamento omosessuale come fenomeno privato, e lo stesso comportamento quale relazione sociale legalmente prevista e approvata, fino a diventare una delle istituzioni dell’ordinamento giuridico. Il secondo fenomeno non solo è più grave, ma acquista una portata assai più vasta e profonda, e finirebbe per comportare modificazioni dell’intera organizzazione sociale che risulterebbero contrarie al bene comune. Le leggi civili sono principi strutturanti della vita dell’uomo in seno alla società, per il bene o per il male. Esse “svolgono un ruolo molto importante e talvolta determinante nel promuovere una mentalità e un costume” (14). Le forme di vita e i modelli in esse espresse non solo configurano esternamente la vita sociale, bensì tendono a modificare nelle nuove generazioni la comprensione e la valutazione dei comportamenti. La legalizzazione delle unioni omosessuali sarebbe destinata perciò a causare l’oscuramento della percezione di alcuni valori morali fondamentali e la svalutazione dell’istituzione matrimoniale.
Di ordine biologico e antropologico
7. Nelle unioni omosessuali sono del tutto assenti quegli elementi biologici e antropologici del matrimonio e della famiglia che potrebbero fondare ragionevolmente il riconoscimento legale di tali unioni.
Esse non sono in condizione di assicurare adeguatamente la procreazione e la sopravvivenza della specie umana. L’eventuale ricorso ai mezzi messi a loro disposizione dalle recenti scoperte nel campo della fecondazione artificiale, oltre ad implicare gravi mancanze di rispetto alla dignità umana (15), non muterebbe affatto questa loro inadeguatezza.
Nelle unioni omosessuali è anche del tutto assente la dimensione coniugale, che rappresenta la forma umana ed ordinata delle relazioni sessuali. Esse infatti sono umane quando e in quanto esprimono e promuovono il mutuo aiuto dei sessi nel matrimonio e rimangono aperte alla trasmissione della vita.
Come dimostra l’esperienza, l’assenza della bipolarità sessuale crea ostacoli allo sviluppo normale dei bambini eventualmente inseriti all’interno di queste unioni. Ad essi manca l’esperienza della maternità o della paternità. Inserire dei bambini nelle unioni omosessuali per mezzo dell’adozione significa di fatto fare violenza a questi bambini nel senso che ci si approfitta del loro stato di debolezza per introdurli in ambienti che non favoriscono il loro pieno sviluppo umano. Certamente una tale pratica sarebbe gravemente immorale e si porrebbe in aperta contraddizione con il principio, riconosciuto anche dalla Convenzione internazionale dell’ONU sui diritti dei bambini, secondo il quale l’interesse superiore da tutelare in ogni caso è quello del bambino, la parte più debole e indifesa.
Di ordine sociale
8. La società deve la sua sopravvivenza alla famiglia fondata sul matrimonio. La conseguenza inevitabile del riconoscimento legale delle unioni omosessuali è la ridefinizione del matrimonio, che diventa un’istituzione la quale, nella sua essenza legalmente riconosciuta, perde l’essenziale riferimento ai fattori collegati alla eterosessualità, come ad esempio il compito procreativo ed educativo. Se dal punto di vista legale il matrimonio tra due persone di sesso diverso fosse solo considerato come uno dei matrimoni possibili, il concetto di matrimonio subirebbe un cambiamento radicale, con grave detrimento del bene comune. Mettendo l’unione omosessuale su un piano giuridico analogo a quello del matrimonio o della famiglia, lo Stato agisce arbitrariamente ed entra in contraddizione con i propri doveri.
A sostegno della legalizzazione delle unioni omosessuali non può essere invocato il principio del rispetto e della non discriminazione di ogni persona. Una distinzione tra persone oppure la negazione di un riconoscimento o di una prestazione sociale non sono infatti accettabili solo se sono contrarie alla giustizia (16). Non attribuire lo statuto sociale e giuridico di matrimonio a forme di vita che non sono né possono essere matrimoniali non si oppone alla giustizia, ma, al contrario, è da essa richiesto.
Neppure il principio della giusta autonomia personale può essere ragionevolmente invocato. Una cosa è che i singoli cittadini possano svolgere liberamente attività per le quali nutrono interesse e che tali attività rientrino genericamente nei comuni diritti civili di libertà, e un’altra ben diversa è che attività che non rappresentano un significativo e positivo contributo per lo sviluppo della persona e della società possano ricevere dallo Stato un riconoscimento legale specifico e qualificato. Le unioni omosessuali non svolgono neppure in senso analogico remoto i compiti per i quali il matrimonio e la famiglia meritano un riconoscimento specifico e qualificato. Ci sono invece buone ragioni per affermare che tali unioni sono nocive per il retto sviluppo della società umana, soprattutto se aumentasse la loro incidenza effettiva sul tessuto sociale.
Di ordine giuridico
9. Poiché le coppie matrimoniali svolgono il ruolo di garantire l’ordine delle generazioni e sono quindi di eminente interesse pubblico, il diritto civile conferisce loro un riconoscimento istituzionale. Le unioni omosessuali invece non esigono una specifica attenzione da parte dell’ordinamento giuridico, perché non rivestono il suddetto ruolo per il bene comune.
Non è vera l’argomentazione secondo la quale il riconoscimento legale delle unioni omosessuali sarebbe necessario per evitare che i conviventi omosessuali perdano, per il semplice fatto della loro convivenza, l’effettivo riconoscimento dei diritti comuni che essi hanno in quanto persone e in quanto cittadini. In realtà, essi possono sempre ricorrere — come tutti i cittadini e a partire dalla loro autonomia privata — al diritto comune per tutelare situazioni giuridiche di reciproco interesse. Costituisce invece una grave ingiustizia sacrificare il bene comune e il retto diritto di famiglia allo scopo di ottenere dei beni che possono e debbono essere garantiti per vie non nocive per la generalità del corpo sociale (17).
IV. Comportamenti dei politici cattolici nei confronti di legislazioni favorevoli alle unioni omosessuali
10. Se tutti i fedeli sono tenuti ad opporsi al riconoscimento legale delle unioni omosessuali, i politici cattolici lo sono in particolare, nella linea della responsabilità che è loro propria. In presenza di progetti di legge favorevoli alle unioni omosessuali, sono da tener presenti le seguenti indicazioni etiche.
Nel caso in cui si proponga per la prima volta all’Assemblea legislativa un progetto di legge favorevole al riconoscimento legale delle unioni omosessuali, il parlamentare cattolico ha il dovere morale di esprimere chiaramente e pubblicamente il suo disaccordo e votare contro il progetto di legge. Concedere il suffragio del proprio voto ad un testo legislativo così nocivo per il bene comune della società è un atto gravemente immorale.
Nel caso in cui il parlamentare cattolico si trovi in presenza di una legge favorevole alle unioni omosessuali già in vigore, egli deve opporsi nei modi a lui possibili e rendere nota la sua opposizione: si tratta di un doveroso atto di testimonianza della verità. Se non fosse possibile abrogare completamente una legge di questo genere, egli, richiamandosi alle indicazioni espresse nell’Enciclica Evangelium vitae, “potrebbe lecitamente offrire il proprio sostegno a proposte mirate a limitare i danni di una tale legge e a diminuirne gli effetti negativi sul piano della cultura e della moralità pubblica”, a condizione che sia “chiara e a tutti nota” la sua “personale assoluta opposizione” a leggi siffatte e che sia evitato il pericolo di scandalo (18). Ciò non significa che in questa materia una legge più restrittiva possa essere considerata come una legge giusta o almeno accettabile; bensì si tratta piuttosto del tentativo legittimo e doveroso di procedere all’abrogazione almeno parziale di una legge ingiusta quando l’abrogazione totale non è possibile per il momento.
Conclusione
11. La Chiesa insegna che il rispetto verso le persone omosessuali non può portare in nessun modo all’approvazione del comportamento omosessuale oppure al riconoscimento legale delle unioni omosessuali. Il bene comune esige che le leggi riconoscano, favoriscano e proteggano l’unione matrimoniale come base della famiglia, cellula primaria della società. Riconoscere legalmente le unioni omosessuali oppure equipararle al matrimonio, significherebbe non soltanto approvare un comportamento deviante, con la conseguenza di renderlo un modello nella società attuale, ma anche offuscare valori fondamentali che appartengono al patrimonio comune dell’umanità. La Chiesa non può non difendere tali valori, per il bene degli uomini e di tutta la società.
Il Sommo Pontefice Giovanni Paolo II, nell’Udienza concessa il 28 marzo 2003 al sottoscritto Cardinale Prefetto, ha approvato le presenti Considerazioni, decise nella Sessione Ordinaria di questa Congregazione, e ne ha ordinato la pubblicazione.
Roma, dalla sede della Congregazione per la Dottrina della Fede, il 3 giugno 2003, Memoria dei Santi Carlo Lwanga e Compagni, Martiri.
+ Joseph Card. Ratzinger, Prefetto
+ Angelo Amato, S.D.B., Arcivescovo titolare di Sila. Segretario
Note:
(1) Cfr. Giovanni Paolo II, Allocuzioni in occasione della recita dell’Angelus, 20 febbraio 1994 e 19 giugno 1994; Discorso ai partecipanti dell’Assemblea Plenaria del Pontificio Consiglio per la Famiglia, 24 marzo 1999; Catechismo della Chiesa Cattolica, nn. 2357-2359, 2396; Congregazione per la Dottrina della Fede, Dichiarazione Persona humana, 29 dicembre 1975, n. 8; Lettera sulla cura pastorale delle persone omosessuali, 1º ottobre 1986; Alcune Considerazioni concernenti la Risposta a proposte di legge sulla non discriminazione delle persone omosessuali, 24 luglio 1992; Pontificio Consiglio per la Famiglia, Lettera ai Presidenti delle Conferenze Episcopali d’Europa circa la risoluzione del Parlamento Europeo in merito alle coppie omosessuali, 25 marzo 1994; Famiglia, matrimonio e “unioni di fatto”, 26 luglio 2000, n. 23.
(2) Cfr. Congregazione per la Dottrina della Fede, Nota dottrinale circa alcune questioni riguardanti l’impegno e il comportamento dei cattolici nella vita politica, 24 novembre 2002, n. 4.
(3) Cfr. Concilio Vaticano II, Costituzione pastorale Gaudium et spes, n. 48.
(4) Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 2357.
(5) Congregazione per la Dottrina della Fede, Dichiarazione Persona humana, 29 dicembre 1975, n. 8.
(6) Cfr. per esempio S. Policarpo, Lettera ai Filippesi, V, 3; S. Giustino, Prima Apologia, 27, 1-4; Atenagora, Supplica per i cristiani, 34.
(7) Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 2358; cfr. Congregazione per la Dottrina della Fede, Lettera sulla cura pastorale delle persone omosessuali, 1º ottobre 1986, n. 10.
(8) Cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 2359; Congregazione per la Dottrina della Fede, Lettera sulla cura pastorale delle persone omosessuali, 1º ottobre 1986, n. 12.
(9) Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 2358.
(10) Ibid., n. 2396.
(11) Cfr. Giovanni Paolo II, Lettera Enciclica Evangelium vitae, 25 marzo 1995, n. 71.
(12) Cfr. ibid., n. 72.
(13) Cfr. S. Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, I-II, q. 95, a. 2.
(14) Giovanni Paolo II, Lettera Enciclica Evangelium vitae, 25 marzo 1995, n. 90.
(15) Cfr. Congregazione per la Dottrina della Fede, Istruzione Donum vitae, 22 febbraio 1987, II. A. 1-3.
(16) Cfr. S. Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, II-II, q. 63, a. 1, c.
(17) Occorre non dimenticare inoltre che sussiste sempre “il pericolo che una legislazione che faccia dell’omosessualità una base per avere dei diritti possa di fatto incoraggiare una persona con tendenza omosessuale a dichiarare la sua omosessualità o addirittura a cercare un partner allo scopo di sfruttare le disposizioni della legge” (Congregazione per la Dottrina della Fede, Alcune considerazioni concernenti la risposta a proposte di legge sulla non discriminazione delle persone omosessuali, 24 luglio 1992, n. 14).
(18) Giovanni Paolo II, Lettera Enciclica Evangelium vitae, 25 marzo 1995, n. 73.