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71 anni di comunismo cinese, e il mondo continua a guardare altrove

1 Ottobre 2020 - Autore: Marco Respinti

Cinesi, tibetani, mongoli, kazaki, uzbeki, tagiki, cittadini di Hong Kong e Taiwan, cattolici, protestanti, buddhisti, musulmani, ebrei, testimoni di Geova, praticanti del Falun Gong, fedeli della Chiesa di Dio Onnipotente, Shouters, l’Associazione dei discepoli e chi più ne ha più ne metta vengono quotidianamente perseguitati per il solo fatto di essere credenti e di appartenere a etnie non han

di Marco Respinti

Il 1° ottobre di 71 anni fa, nel 1949, al termine di una guerra civile sanguinosa, il comunismo prese il potere in Cina. E iniziò la mattanza. Le cifre esatte ancora non si conoscono con certezza, ma il costo umano del comunismo cinese è stato valutato in almeno 65 milioni di morti. Il motivo per cui le stime di questa strage ignobile sono incerte è perché gli archivi di Stato cinesi non sono ancora disponibili nella stessa misura in cui lo sono stati quelli dell’Unione Sovietica e dei Paesi suoi satelliti dopo l’abbattimento del Muro di Berlino nel 1989 e la fine ufficiale dell’URSS nel 1991. E questo perché a Pechino è ancora al potere il comunismo, è ancora al potere la medesima classe dirigente, è ancora al potere la stessa ideocrazia. Certo, con degli adattamenti rispetto all’epoca di Mao Zedong (1893-1976), ma introdotti per permettere al comunismo «con caratteristiche cinesi» di sopravvivere al fallimento storico mondiale del marxismo-leninismo, non per cambiare rotta.

Oggi il «socialismo con caratteristiche cinesi per una nuova era» è il nome dato al «pensiero di Xi Jinping», il tiranno di Pechino, in un allucinante ma lucido esempio di culto folle della personalità, tanto da essere stato inserito nella Costituzione del Partito Comunista Cinese accanto al pensiero di Mao e reso materia obbligatoria di studio, pena sanzioni e ritorsione, praticamente per tutti in Cina.  E Xi Jinping ha persino modificato la Costituzione del Paese onde garantirsi la permanenza al potere a vita.

In questo quadro, la pervicacia che il comunismo cinese ammodernato impiega per e nel reprimere le religioni (tutte), i diritti umani e le minoranze etniche (milioni di persone) non si lascia mancare alcunché. Tibetani, mongoli, kazaki, uzbeki, tagiki e cittadini di Hong Kong, cattolici, protestanti, buddhisti, musulmani, ebrei, testimoni di Geova, praticanti del Falun Gong, fedeli della Chiesa di Dio Onnipotente, Shouters, l’Associazione dei discepoli e chi più ne ha più ne metta vengono quotidianamente perseguitati per il solo fatto di essere credenti e di appartenere a etnie non han.

Per il neo-post-comunismo cinese, infatti, la fede religiosa continua a essere una stortura della personalità umana, persino una malattia, che quindi deve essere aiutata a raggiungere al più presto il proprio destino “naturale, l’estinzione, attraverso l’eliminazione dei credenti.

La Cina è quindi un grande universo concentrazionario, dove, per esempio nello Xinjiang, ma non solo, sono alacremente attivi centinaia di campi di internamento e di lavoro forzato che permettono al «made in China» di conquistare il mondo con le proprie merci cheap in ogni senso, soprattutto perché prodotte sulla pelle di persone la cui vita viene valutata nulla.

A questo si aggiungono la piaga dell’aborto forzato dopo il secondo figlio, che il Partito impone a ogni coppia cinese per obbedire a un criterio neo-maltusiano abominevole, e quella dell’espianto forzato di organi dai prigionieri di coscienza al fine di alimentare il mercato nero dei trapianti. E il mondo continua a guardare altrove.

Oggi, 71 anni dopo l’inizio di questo incubo si svolgerà una conferenza stampa a Roma, nella Camera dei Rappresentanti. È una iniziativa importante promossa dall’Alleanza interparlamentare per la Cina, un gruppo internazionale di parlamentari appartenenti a diversi partiti che opera per influenzare l’approccio dei Paesi democratici nei confronti della Cina e con la propria dichiarazione promette azioni politiche in ciascuno dei 18 Paesi che rappresenta. Se ne potrà seguire la diretta dalle 16,00 su Radio Radicale.

Intanto questa mattina, a Milano, la “capitale economica” d’Italia, la Comunità Tibetana in Italia ha voluto ricordare pubblicamente che la libertà del Tibet, ma così pure della Mongolia meridionale, dello Xinjiang e di tutta la Cina, e pure di Hong Kong, e della povera Taiwan lasciata sola dalle Nazioni Unite e costantemente minacciata dal drago rosso di Pechino, non è un problema lontano. È una questione urgente, che riguarda tutti. Perché, come ha da ultimo dimostrato lo shock del nuovo coronavirus, gli artigli cinesi fanno sono molto rapidi nel raggiungere i nostri Paesi satolli e indifferenti.

Giovedì, primo ottobre 2020

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