Laura Boccenti, Cristianità n. 380 (2016)
Il contesto e la struttura del documento
L’esortazione apostolica post-sinodale Amoris laetitia (1), scritta da Papa Francesco e pubblicata il 19 marzo 2016, festa di San Giuseppe, nell’anno giubilare dedicato alla Divina Misericordia, raccoglie i risultati di due Sinodi sulla famiglia, uno straordinario, celebrato dal 5 al 19 ottobre 2014, e uno ordinario, tenutosi dal 4 al 25 ottobre 2015, entrambi preceduti dalla diffusione nel 2013 di un documento preparatorio, cui era accluso un questionario, indirizzato ai fedeli e alle Chiese locali, grazie al quale tutte le componenti della Chiesa hanno avuto la possibilità d’intervenire nella dinamica sinodale.
Il documento si articola in 9 capitoli e 325 paragrafi, preceduti da una premessa sulla finalità dell’esortazione che intende essere «una proposta per le famiglie cristiane, che le stimoli a stimare i doni del matrimonio e della famiglia», incoraggiandole a vivere l’amore umano e la vita familiare «con pace e gioia» (n. 5) anche all’interno dell’attuale, difficile contesto. Si tratta di un documento che ha una struttura variegata e ricca di sfaccettature, le quali convergono nel mettere in luce la bellezza del matrimonio e della famiglia, proponendosi di suscitare stima e apprezzamento per i valori che essi realizzano.
La «gioia dell’amore» e i rischi che la minacciano
L’espressione «gioia dell’amore», scelta come titolo, sintetizza il messaggio fondamentale dell’esortazione: essa, non a caso, riprende l’espressione di Benedetto XVI (2005-2013), presente nel motu proprio Porta fidei dell’11 ottobre 2011, promulgato in occasione dell’indizione dell’Anno della Fede per il 2012-2013. La gioia dell’amore, infatti, è l’unica proposta convincente di fronte al dramma della sofferenza e del dolore; solo la gioia nata dall’amore conferisce la forza di perdonare le offese e testimonia la vittoria della vita sulla morte.
L’uomo e la donna di oggi, tuttavia, pensano a sé stessi con categorie antropologiche diverse dal passato, che operano relativizzando e riducendo la sostanza dell’annuncio cristiano. La confusione dottrinale e pastorale si è insinuata anche nella Chiesa, come testimoniano «i dibattiti» fra i suoi ministri, che «[…] vanno da un desiderio sfrenato di cambiare tutto senza sufficiente riflessione o fondamento, all’atteggiamento che pretende di risolvere tutto applicando normative generali o traendo conclusioni eccessive da alcune riflessioni teologiche» (n. 2). Si tratta di due atteggiamenti che aggirano la questione fondamentale della fede cristiana, che non consiste in un’esperienza sentimentale dai contenuti soggettivi, né in una serie di proposizioni a cui aderire intellettualmente: «All’origine dell’essere cristiano non c’è una decisione etica o una grande idea, bensì l’incontro con un avvenimento, con una Persona, che dà alla vita un nuovo orizzonte e, con ciò, la direzione decisiva» (2).
Dato che il bene della famiglia è decisivo per il futuro della società e della Chiesa, il problema centrale che si pone l’esortazione Amoris laetitia è come fare incontrare l’uomo concreto, in carne e ossa, di oggi, con Gesù, mostrandogli la corrispondenza fra i desideri del suo cuore e il Vangelo dell’amore. L’atteggiamento preliminare da assumere per favorire questo incontro è l’inclusione; essa è frutto di un discernimento capace di valorizzare i semina Verbi (n. 77), elementi positivi radicati nelle proprietà naturali stesse dell’amore fra uomo e donna. Alla prospettiva dell’inclusione va inoltre affiancato il criterio pedagogico-pastorale della gradualità, rispettoso delle tappe di crescita dell’essere umano.
Integrazione e inclusione
L’integrazione è una prospettiva che deriva da un modo inclusivo di pensare l’appartenenza alla Chiesa: «Illuminata dallo sguardo di Cristo, “la Chiesa si volge con amore a coloro che partecipano alla sua vita in modo incompiuto, riconoscendo che la grazia di Dio opera anche nelle loro vite dando loro il coraggio per compiere il bene, per prendersi cura con amore l’uno dell’altro ed essere a servizio della comunità nella quale vivono e lavorano”» (n. 291).
Posto che «[…] il matrimonio cristiano, riflesso dell’unione fra Cristo e la sua Chiesa, si realizza pienamente nell’unione tra un uomo e una donna, che si donano reciprocamente in un amore esclusivo e nella libera fedeltà, si appartengono fino alla morte e si aprono alla trasmissione della vita», bisogna riconoscere che accanto ad alcune forme di unione che contraddicono «radicalmente questo ideale», ve ne sono altre che invece lo realizzano «almeno in modo parziale e analogo» (n. 292). La Chiesa deve saper valorizzare «gli elementi costruttivi in quelle situazioni che non corrispondono ancora o non più al suo insegnamento sul matrimonio» ed entrare in dialogo con le persone che vi sono coinvolte per «[…] evidenziare gli elementi della loro vita che possono condurre a una maggiore apertura al Vangelo del matrimonio nella sua pienezza» (n. 293).
Alla Chiesa compete «non solo la promozione del matrimonio cristiano, ma anche “il discernimento pastorale delle situazioni di tanti che non vivono più questa realtà”» (n. 293); per formulare un giudizio onesto, realistico e creativo su questioni dottrinali, morali, spirituali e pastorali che investono la famiglia si deve ricordare che «[…] nella Chiesa è necessaria una unità di dottrina e di prassi, ma ciò non impedisce che esistano diversi modi di interpretare alcuni aspetti della dottrina o alcune conseguenze che da essa derivano» (3) (n. 3).
Legge della gradualità, non gradualità della legge
Il secondo criterio proposto dall’esortazione consiste nella «legge della gradualità». Se la verità è data una volta per tutte nella Rivelazione, l’uomo cresce costantemente nella sua consapevolezza grazie all’opera dello Spirito. La consapevolezza che l’essere umano conosce, ama e realizza il bene morale secondo tappe di crescita porta ad affermare la rilevanza della «legge della gradualità», già tematizzata da san Giovanni Paolo II (1978-2005), come criterio pedagogico e pastorale. Essa non va confusa con quelle posizioni morali che sostengono «la gradualità della legge», ovvero l’idea che le norme etiche non siano universali.
Non si tratta di negare la dipendenza della libertà umana dalla verità espressa nella legge morale, appellandosi a un’inesistente gradualità della legge, sino a fare «della propria debolezza il criterio della verità sul bene» (4), ma di riconoscere che, in molti casi, la capacità della coscienza di formulare il giudizio pratico sul bene concreto relativo alla situazione particolare può essere resa particolarmente difficile da un’oggettiva complessità delle circostanze reali o dalla storia personale, cioè un ostacolo superabile solo progressivamente per la comprensione e l’adesione alla verità oggettiva del bene. Vale in questo caso la «legge della gradualità», che è un criterio pedagogico e non una prospettiva che relativizza la norma etica. La legge della gradualità pertanto «non è una “gradualità della legge”, ma una gradualità nell’esercizio prudenziale degli atti liberi» (n. 295).
Capitolo 1. «Alla luce della Parola»
L’esortazione si apre con una panoramica biblica sulla famiglia che, richiamando il magistero di san Giovanni Paolo II, viene descritta come «“scultura” vivente», immagine della vita intima di Dio: «la capacità di generare della coppia umana è la via attraverso la quale si sviluppa la storia della salvezza. In questa luce, la relazione feconda della coppia diventa un’immagine per scoprire e descrivere il mistero di Dio, fondamentale nella visione cristiana della Trinità che contempla in Dio il Padre, il Figlio e lo Spirito d’amore. Il Dio Trinità è comunione d’amore, e la famiglia è il suo riflesso vivente» (n. 11).
I salmi 127 e 128 presentano la famiglia come luogo della benedizione del Signore, in cui i genitori annunciano la fede ai figli e svolgono il loro compito educativo. Il tessuto familiare può essere lacerato dal male e dalla sofferenza e Gesù stesso conosce il dolore, la fatica e la sofferenza dei poveri. La Scrittura, dunque, non presenta un’immagine astratta e ideale della famiglia, ma si confronta con una realtà concreta, a cui indica come meta una vita vissuta nel dono di sé e nella tenerezza: «Nell’orizzonte dell’amore, essenziale nell’esperienza cristiana del matrimonio e della famiglia, risalta anche un’altra virtù, piuttosto ignorata in questi tempi di relazioni frenetiche e superficiali: la tenerezza» (n. 28).
Capitolo 2. «La realtà e le sfide della famiglia»
Il Papa invita a rispondere alle minacce a cui è oggi esposta la famiglia con «una creatività missionaria» (n. 57). I cambiamenti antropologici e culturali che derivano dalla diffusione dell’individualismo e del relativismo hanno fatto prevalere «l’idea di un soggetto che si costruisce secondo i propri desideri assunti come un assoluto» (n. 33), trasformando la famiglia in un «[…] luogo di passaggio, al quale ci si rivolge quando pare conveniente per sé, o dove si va a reclamare diritti, mentre i vincoli rimangono abbandonati alla precarietà volubile dei desideri e delle circostanze» (n. 34). La Chiesa deve mostrare la bellezza del matrimonio e rendere attraente la vita familiare fondata su un impegno di stabilità ed esclusività, traducendo la proposta cristiana in «[…] una pastorale positiva, accogliente, che rende possibile un approfondimento graduale delle esigenze del Vangelo» (n. 38) e che fa trasparire «[…] un riflesso della predicazione e degli atteggiamenti di Gesù, il quale nel contempo proponeva un ideale esigente e non perdeva mai la vicinanza compassionevole alle persone fragili come la samaritana o la donna adultera» (ibidem).
Non bisogna chiudere gli occhi di fronte ai rischi della «cultura del provvisorio» (n. 39). L’individualismo e la paura di legami stabili sono accompagnati da una diffusa affettività narcisistica e immatura, dal calo demografico legato a una mentalità antinatalistica e alle politiche contro la vita, dal mancato riconoscimento dei diritti della famiglia, dalla violenza e dagli abusi sui minori, dalla migrazione forzata di tante famiglie, dall’assenza di attenzione per le famiglie con persone disabili, anziane, minacciate da eutanasia e suicidio, o schiacciate dalla miseria. Così anche la grande varietà di situazioni, fra cui le unioni di fatto o fra persone dello stesso sesso «[…] non si possono equiparare semplicisticamente al matrimonio. Nessuna unione precaria o chiusa alla trasmissione della vita ci assicura il futuro della società» (n. 52). La rivendicazione dell’eguale dignità dell’uomo e della donna risulta anche in conflitto con «la pratica dell’“utero in affitto” o la “strumentalizzazione e mercificazione del corpo femminile nell’attuale cultura mediatica”» (n. 54). Un’ulteriore sfida da affrontare è costituita dalle varie forme in cui si presenta l’ideologia del gender, che «[…] nega la differenza e la reciprocità naturale di uomo e donna. Essa prospetta una società senza differenze di sesso, e svuota la base antropologica della famiglia. Questa ideologia induce progetti educativi e orientamenti legislativi che promuovono un’identità personale e un’intimità affettiva radicalmente svincolate dalla diversità biologica fra maschio e femmina» (n. 56).
Capitolo 3. «Lo sguardo rivolto a Gesù: la vocazione della famiglia»
Il Concilio Ecumenico Vaticano II, nella Costituzione pastorale Gaudium et spes, sottolinea «la dignità del matrimonio e della famiglia» (n. 67), definendo «il matrimonio come comunità di vita e di amore» (ibidem), quell’amore che «[…] implica la mutua donazione di sé, include e integra la dimensione sessuale e l’affettività, corrispondendo al disegno divino» (ibidem). L’enciclica Humanae vitae del beato Paolo VI (1963-1978) approfondisce «la dottrina sul matrimonio e sulla famiglia» (n. 68), mettendo in luce «il legame intrinseco tra amore coniugale e generazione della vita» (ibidem). San Giovanni Paolo II vi dedica un’attenzione speciale con le catechesi sull’amore umano, la Lettera alle famiglie e soprattutto l’esortazione apostolica Familiaris consortio. Benedetto XVI nell’enciclica Deus caritas est riprende «[…] il tema della verità dell’amore tra uomo e donna, che s’illumina pienamente solo alla luce dell’amore di Cristo crocifisso» (n. 70) e nell’enciclica Caritas in veritate evidenzia «l’importanza dell’amore come principio di vita nella società» (ibidem). La Scrittura e la Tradizione concorrono a delineare «[…] una conoscenza della Trinità che si rivela con tratti familiari. La famiglia è immagine di Dio, che […] è comunione di persone» (n. 71), facendo emergere che il sacramento del matrimonio non è una convenzione sociale, ma «la rappresentazione reale, per il tramite del segno sacramentale, del rapporto stesso di Cristo con la Chiesa» (n. 72). Per tale ragione l’unione sessuale e tutta la vita in comune degli sposi diventa una reale via di crescita nella grazia.
Si tratta di leggere le proprietà naturali del matrimonio in una prospettiva cristocentrica: «In realtà solo nel mistero del Verbo incarnato trova vera luce il mistero dell’uomo. […] Cristo, che è il nuovo Adamo, proprio rivelando il mistero del Padre e del suo amore svela anche pienamente l’uomo a se stesso» (n. 77). Così l’unità, l’indissolubilità, la fecondità, l’aiuto reciproco, come proprietà naturali dell’unione sponsale fra uomo e donna, possono trovarsi in forma e misura non piena, ma incoata, nelle unioni di altre tradizioni religiose come anche nelle convivenze, nei matrimoni civili e nei matrimoni dei divorziati risposati. Quando un’unione realizza un qualche bene, essa implica qualcosa del mistero del matrimonio. In riferimento a questa prospettiva cristocentrica, l’esortazione ricorda l’obbligo, di fronte a famiglie ferite e situazioni difficili, a «ben discernere le situazioni» (n. 79), valorizzando i «semina Verbi […] (cfr Ad gentes, 11)» (n. 77) e ad agire con prudenza, tenendo presente che, «[…] mentre va espressa con chiarezza la dottrina, sono da evitare giudizi che non tengono conto della complessità delle diverse situazioni, ed è necessario essere attenti al modo in cui le persone vivono e soffrono a motivo della loro condizione”» (n. 79).
Capitolo 4. «L’amore nel matrimonio»
L’esame di alcune caratteristiche del vero amore prende le mosse dall’analisi dell’inno alla carità (cfr. 1Cor. 13,4-7) di san Paolo e si sviluppa mettendo in relazione i tratti teologico-spirituali dell’amore con gli aspetti psicologici a esso associati. Il risultato è una riflessione che considera la carità nella dimensione affettiva, in quella erotica, dal punto di vista della maternità e della paternità, come anche nella prospettiva dei figli, dei fratelli e degli anziani. L’approfondimento psicologico introduce una trattazione molto concreta dell’amore nel suo cammino quotidiano di costante crescita che può realizzarsi «[…] soltanto corrispondendo alla grazia divina mediante più atti di amore, con atti di affetto più frequenti, più intensi, più generosi, più teneri, più allegri» (n. 134).
Se accettiamo che l’amore di Dio è senza condizioni, che l’affetto del Padre non si deve comprare né pagare, allora potremo amare al di là di tutto, rallegrandoci sempre per il bene dell’altro, per le sue capacità e le sue buone opere. L’amore vero è anche fiducioso, rinuncia a controllare, possedere e dominare tutto, sa aspettare e non pretende che le cose accadano secondo i tempi e i modi che desidera, confida nel progetto di Dio perché sa che, comunque, «quella persona, con tutte le sue debolezze, è chiamata alla pienezza del Cielo» (n. 117); perciò «tutto sopporta» (n. 111), cioè «manifesta una dose di eroismo tenace, di potenza contro qualsiasi corrente negativa, una opzione per il bene che niente può rovesciare» (n. 118). L’amore che unisce gli sposi, la carità coniugale, deve essere «riflesso dell’Alleanza indistruttibile tra Cristo e l’umanità» (n. 120), ricordando, tuttavia, che «[…] non si deve gettare sopra due persone limitate il tremendo peso di dover riprodurre in maniera perfetta l’unione che esiste tra Cristo e la sua Chiesa, perché il matrimonio come segno implica “un processo dinamico, che avanza gradualmente con la progressiva integrazione dei doni di Dio”» (n. 122); perché tale amore possa attraversare tutte le prove e mantenersi fedele nonostante tutto «[…] richiede il dono della grazia che lo fortifichi e lo elevi» (n. 124).
L’amore esclude sempre ogni forma di dominio, di manipolazione e di sottomissione. A questo proposito il Pontefice riprende la spiegazione data da san Giovanni Paolo II del testo della Lettera agli Efesini, dove si chiede che le mogli siano sottomesse ai loro mariti (Ef. 5,22), ribadendo che «[…] l’amore esclude ogni genere di sottomissione, per cui la moglie diverrebbe serva o schiava del marito […]. La comunità o unità che essi debbono costituire a motivo del matrimonio, si realizza attraverso una reciproca donazione, che è anche una sottomissione vicendevole». «Tra i coniugi questa reciproca “sottomissione” acquisisce un significato speciale e si intende come un’appartenenza reciproca liberamente scelta, con un insieme di caratteristiche di fedeltà, rispetto e cura» (n. 156).
Capitolo 5. «L’amore che diventa fecondo»
La famiglia è l’ambito della generazione e dell’accoglienza della vita che arriva come dono di Dio. Il bambino «[…] non è un complemento o una soluzione per un’aspirazione personale», ciò che conta non sono le sue caratteristiche o il fatto che corrisponda o meno alle aspirazioni dei genitori, «perché “i figli sono un dono. Ciascuno è unico e irripetibile […]. Un figlio lo si ama perché è figlio”» (n. 170). Ogni bambino ha il diritto di ricevere l’amore di una madre e di un padre, entrambi necessari per la sua maturazione integra e armoniosa: «Non si tratta solo dell’amore del padre e della madre presi separatamente, ma anche dell’amore tra di loro, percepito come fonte della propria esistenza, come nido che accoglie e come fondamento della famiglia» (n. 172). Non si può ignorare che la presenza della madre è particolarmente necessaria e, se vanno rispettati «[…] tutti i diritti che derivano dalla sua inalienabile dignità umana», contemporaneamente bisogna stimare la specificità del suo genio femminile «[…] indispensabile per la società. Le sue capacità specificamente femminili — in particolare la maternità — le conferiscono anche dei doveri, perché il suo essere donna comporta anche una missione peculiare su questa terra, che la società deve proteggere e preservare per il bene di tutti» (n. 173). «La figura paterna, d’altra parte» (n. 175), lo aiuta a orientarsi «verso il mondo più ampio e ricco di sfide, per l’invito allo sforzo e alla lotta» (ibidem). Un padre, con una identità maschile serena ed equilibrata, capace di un tratto accogliente e affettuoso verso la moglie, è «tanto necessario quanto le cure materne» (ibidem).
I genitori devono essere onorati dai figli; bisogna prestare attenzione al posto degli anziani nella famiglia non conformandosi «[…] ad una mentalità di insofferenza, e tanto meno di indifferenza e di disprezzo, nei confronti della vecchiaia. Dobbiamo risvegliare il senso collettivo di gratitudine, di apprezzamento, di ospitalità, che facciano sentire l’anziano parte viva della sua comunità» (n. 191). Il legame virtuoso fra le generazioni è garanzia di futuro e di una storia davvero umana. Anche il legame di fraternità che si forma tra i figli è una grande scuola di libertà e di pace. In famiglia, tra fratelli, s’impara la convivenza umana: «Forse non sempre ne siamo consapevoli, ma è proprio la famiglia che introduce la fraternità nel mondo! A partire da questa prima esperienza di fraternità, nutrita dagli affetti e dall’educazione familiare, lo stile della fraternità si irradia come una promessa sull’intera società» (n. 194).
L’amore fra i membri della famiglia è animato e sospinto da un interiore e incessante dinamismo, «[…] in cui s’inseriscono anche gli amici e le famiglie amiche ed anche le comunità di famiglie che si sostengono a vicenda nelle difficoltà» (n. 196), che genera una «famiglia allargata» (n. 197), capace di aprirsi con amore a ogni tipo di bisogno umano: dalle ragazze madri, ai bambini senza genitori, alle persone con disabilità che richiedono molto affetto e vicinanza, ai giovani che lottano contro una dipendenza, alle persone separate o vedove che soffrono la solitudine, agli anziani e ai malati.
Capitolo 6. «Alcune prospettive pastorali»
Affinché le famiglie possano essere sempre più soggetti attivi della pastorale familiare, è necessario uno sforzo evangelizzatore e catechetico indirizzato all’interno della famiglia che «[…] richiede a tutta la Chiesa una conversione missionaria» (n. 201) e che può avere il suo centro nella parrocchia, «famiglia di famiglie», realtà in cui «[…] si armonizzano i contributi delle piccole comunità, dei movimenti e delle associazioni ecclesiali» (n. 202).
La preparazione dei nubendi sarà centrata sulla formazione alle virtù, fra le quali è da valorizzare la castità, «condizione preziosa per la crescita genuina dell’amore interpersonale» (n. 206). Quanto alla formazione, non si tratta far apprendere tutto il catechismo ai fidanzati, «[…] né di saturarli con troppi argomenti» (n. 207): sant’Ignazio di Loyola (1491-1556) insegna infatti che «[…] non il molto sapere sazia e soddisfa l’anima, ma il sentire e il gustare interiormente le cose» (ibidem). Se tutte le tradizionali attività formative in preparazione al matrimonio sono utili, vanno però considerati indispensabili alcuni momenti personalizzati, dato che l’obiettivo principale «[…] è aiutare ciascuno perché impari ad amare questa persona concreta, con la quale desidera condividere tutta la vita. Imparare ad amare qualcuno non è qualcosa che si improvvisa» (n. 208).
L’accompagnamento degli sposi deve proseguire anche dopo il matrimonio «[…] per arricchire e approfondire la decisione consapevole e libera di appartenersi e di amarsi sino alla fine» (n. 217), sia perché molte volte il tempo del fidanzamento non è sufficiente ad approfondire la consapevolezza sul senso del vincolo matrimoniale, sia per «[…] aiutare a scoprire che il matrimonio non può intendersi come qualcosa di concluso» (n. 218). Il cammino comune passa attraverso diverse tappe che chiamano gli sposi a donarsi con generosità. La maturazione dell’amore implica che lungo le sue tappe gli sposi dialoghino fra loro anche imparando a «negoziare»; non si tratta di esercitare un «[…] atteggiamento interessato o un gioco di tipo commerciale, ma in definitiva un esercizio dell’amore vicendevole, perché questa negoziazione è un intreccio di reciproche offerte e rinunce per il bene della famiglia» (ibidem); questa «negoziazione» indica che in famiglia «[…] le decisioni non si prendono unilateralmente, e i due condividono la responsabilità» (ibidem) della forma che imprimono alla loro unione: «Far crescere è aiutare l’altro a modellarsi nella sua propria identità. Per questo l’amore è artigianale» (n. 221).
«La storia di ogni famiglia è solcata da crisi di ogni genere»; i coniugi vanno aiutati «[…] a scoprire che una crisi superata non porta ad una relazione meno intensa, ma a migliorare, a sedimentare e a maturare il vino dell’unione. Non si vive insieme per essere sempre meno felici, ma per imparare ad essere felici in modo nuovo» (n. 232). Alle crisi comuni che accadono solitamente in tutti i matrimoni, si possono sommare «[…] le crisi personali che incidono sulla coppia, legate alle difficoltà economiche, di lavoro, affettive, sociali, spirituali. E si aggiungono circostanze inaspettate che possono alterare la vita familiare e che esigono un cammino di perdono e riconciliazione» (n. 236).
Alcune crisi familiari sfociano in rotture e divorzi. L’accompagnamento pastorale dei separati, dei divorziati e degli abbandonati richiede innanzitutto che sia «[…] accolta e valorizzata […] la sofferenza di coloro che hanno subito ingiustamente la separazione, il divorzio o l’abbandono, oppure sono stati costretti dai maltrattamenti del coniuge a rompere la convivenza» (n. 242).
«Ai divorziati che vivono una nuova unione è importante far sentire che sono parte della Chiesa, che “non sono scomunicati” e non sono trattati come tali, perché formano sempre la comunione ecclesiale. Queste situazioni “esigono un attento discernimento e un accompagnamento di grande rispetto, evitando ogni linguaggio e atteggiamento che li faccia sentire discriminati e promovendo la loro partecipazione alla vita della comunità. Prendersi cura di loro non è per la comunità cristiana un indebolimento della sua fede e della sua testimonianza circa l’indissolubilità matrimoniale, anzi essa esprime proprio in questa cura la sua carità”» (n. 243). I genitori separati devono evitare, per quanto sta a loro, che i figli portino oltre all’inevitabile sofferenza anche il peso della loro separazione.
L’esortazione esamina, quindi, le problematiche relative ai matrimoni fra cattolici e altri battezzati, i matrimoni fra cattolici e appartenenti a culti non cristiani, l’accesso al battesimo di coloro che si sono sposati prima di conoscere il cristianesimo, l’esperienza delle famiglie che hanno al proprio interno persone con tendenze omosessuali. Sui progetti di equiparazione al matrimonio delle unioni fra persone omosessuali l’esortazione osserva che è inaccettabile «[…] che le Chiese locali subiscano delle pressioni in questa materia e che gli organismi internazionali condizionino gli aiuti finanziari ai Paesi poveri all’introduzione di leggi che istituiscano il “matrimonio” fra persone dello stesso sesso» e afferma che «[…] non esiste fondamento alcuno per assimilare o stabilire analogie, neppure remote, tra le unioni omosessuali e il disegno di Dio sul matrimonio e la famiglia» (n. 251).
Capitolo 7. «Rafforzare l’educazione dei figli»
I genitori hanno la responsabilità dell’educazione dei figli, che è educazione della libertà e alla libertà: «La prudenza, il buon giudizio e il buon senso non dipendono da fattori puramente quantitativi di crescita, ma da tutta una catena di elementi che si sintetizzano nell’interiorità della persona; per essere più precisi, al centro della sua libertà» (n. 262), perciò si deve puntare all’esercizio delle virtù: «Infatti la dignità umana stessa esige che ognuno “agisca secondo scelte consapevoli e libere, mosso cioè e determinato da convinzioni personali”» (n. 267). Da questo punto di vista non è utile voler esercitare un controllo ossessivo «[…] di tutte le situazioni in cui un figlio potrebbe trovarsi a passare. Qui vale il principio per cui “il tempo è superiore allo spazio”. Vale a dire, si tratta di generare processi più che dominare spazi» (n. 261).
La famiglia è la prima scuola dei valori umani, dove s’impara il buon uso della libertà; essa è anche «[…] l’ambito della socializzazione primaria, perché è il primo luogo in cui si impara a collocarsi di fronte all’altro, ad ascoltare, a condividere, a sopportare, a rispettare» (n. 276) e «[…] il soggetto protagonista di un’ecologia integrale, perché è il soggetto sociale primario, che contiene al proprio interno i due principi-base della civiltà umana sulla terra: il principio di comunione e il principio di fecondità» (n. 277).
Nella prospettiva educativa devono trovare spazio anche l’educazione sessuale e l’educazione alla fede. L’educazione sessuale, intesa come «educazione all’amore, alla reciproca donazione» (n. 280), deve rispettare il percorso di maturazione del bambino e proteggere il suo pudore: «Un’educazione sessuale che custodisca un sano pudore ha un valore immenso, anche se oggi alcuni ritengono che sia una cosa di altri tempi. È una difesa naturale della persona che protegge la propria interiorità ed evita di trasformarsi in un puro oggetto» (n. 282).
Capitolo 8. «Accompagnare, discernere e integrare la fragilità»
Di fronte alle diverse situazioni dette «irregolari» (n. 301), cioè quelle che, in modo e in misura diversi, contraddicono la natura del vincolo matrimoniale, la Chiesa, da una parte, propone la perfezione e continua a invitare ogni uomo a rispondere in modo pieno al progetto di Dio sul matrimonio, dall’altra, «[…] si volge con amore a coloro che partecipano alla sua vita in modo incompiuto, riconoscendo che la grazia di Dio opera anche nelle loro vite».
Dopo aver ribadito che il matrimonio cristiano «[…] si realizza pienamente nell’unione tra un uomo e una donna, che si donano reciprocamente in un amore esclusivo e nella libera fedeltà, si appartengono fino alla morte e si aprono alla trasmissione della vita, consacrati dal sacramento che conferisce loro la grazia per costituirsi come Chiesa domestica e fermento di vita nuova per la società», l’esortazione distingue tra le forme di unione che «[…] contraddicono radicalmente questo ideale» e quelle che lo realizzano «almeno in modo parziale e analogo». In questo secondo caso «[…] la Chiesa non manca di valorizzare gli elementi costruttivi in quelle situazioni che non corrispondono ancora o non più al suo insegnamento sul matrimonio» (n. 292).
Talvolta la scelta di sposarsi solo civilmente o di convivere non è motivata «da pregiudizi o resistenze nei confronti dell’unione sacramentale, ma da situazioni culturali o contingenti» (n. 294); in alcuni casi, quando queste unioni raggiungono «una notevole stabilità attraverso un vincolo pubblico» e sono connotate «da affetto profondo, da responsabilità nei confronti della prole, da capacità di superare le prove», possono essere viste come una occasione da affrontare in maniera costruttiva «[…] cercando di trasformarle in opportunità di cammino verso la pienezza del matrimonio e della famiglia alla luce del Vangelo”» (ibidem). Il Pontefice sostiene l’opinione generale dei padri sinodali, secondo cui «in ordine ad un approccio pastorale verso le persone che hanno contratto matrimonio civile, che sono divorziati e risposati, o che semplicemente convivono, compete alla Chiesa rivelare loro la divina pedagogia della grazia nella loro vita e aiutarle a raggiungere la pienezza del piano di Dio in loro, sempre possibile con la forza dello Spirito Santo» (n. 297). La «strada della misericordia» si traduce in una prospettiva pastorale guidata dalla «logica dell’integrazione»: «Sono battezzati, sono fratelli e sorelle, lo Spirito Santo riversa in loro doni e carismi per il bene di tutti. La loro partecipazione può esprimersi in diversi servizi ecclesiali: occorre perciò discernere quali delle diverse forme di esclusione attualmente praticate in ambito liturgico, pastorale, educativo e istituzionale possano essere superate. Essi non solo non devono sentirsi scomunicati, ma possono vivere e maturare come membra vive della Chiesa, sentendola come una madre che li accoglie sempre, si prende cura di loro con affetto e li incoraggia nel cammino della vita e del Vangelo» (n. 299).
Esortare a seguire la «strada della misericordia» non significa in alcun modo «[…] ridurre le esigenze del Vangelo» (n. 301): si tratta, invece, di prendere sul serio la dottrina della Chiesa circa i condizionamenti e le circostanze attenuanti: «La Chiesa possiede una solida riflessione circa i condizionamenti e le circostanze attenuanti. Per questo non è più possibile dire che tutti coloro che si trovano in qualche situazione cosiddetta “irregolare” vivano in stato di peccato mortale, privi della grazia santificante. I limiti non dipendono semplicemente da una eventuale ignoranza della norma. Un soggetto, pur conoscendo bene la norma, può avere grande difficoltà nel comprendere “valori insiti nella norma morale o si può trovare in condizioni concrete che non gli permettano di agire diversamente e di prendere altre decisioni senza una nuova colpa» (n. 301). Per il Catechismo della Chiesa Cattolica «l’imputabilità e la responsabilità di un’azione possono essere diminuite o annullate dall’ignoranza, dall’inavvertenza, dalla violenza, dal timore, dalle abitudini, dagli affetti smodati e da altri fattori psichici oppure sociali» (5) (n. 302). Il Catechismo fa riferimento anche a circostanze che attenuano la responsabilità morale, e menziona, con grande ampiezza, l’immaturità affettiva, la forza delle abitudini contratte, lo stato di angoscia o altri fattori psichici o sociali. Per questa ragione, un giudizio negativo su una situazione oggettivamente disordinata non implica un giudizio sull’imputabilità o sulla colpevolezza della persona coinvolta: «A causa dei condizionamenti o dei fattori attenuanti è possibile che, entro una situazione oggettiva di peccato — che non sia soggettivamente colpevole o che non lo sia in modo pieno — si possa vivere in grazia di Dio, si possa amare, e si possa anche crescere nella vita di grazia e di carità, ricevendo a tale scopo l’aiuto della Chiesa» (n. 351), che può consistere anche nell’amministrazione dei sacramenti, in primo luogo della confessione, ma pure dell’eucaristia. Il Pontefice aggiunge in nota: «Ugualmente segnalo che l’Eucarestia “non è un premio per i perfetti, ma un generoso alimento e un rimedio per i deboli» (n. 305, nota 351).
Papa Francesco, consapevole della possibile obiezione di chi, facendo appello alla legge naturale, vorrebbe basare il discernimento della singola situazione e i conseguenti orientamenti pastorali solo sulla condanna della situazione oggettiva di peccato, riprende sinteticamente la retta interpretazione della nozione di legge naturale e ricorda la distinzione di san Tommaso d’Aquino (1225-1274) fra primi princìpi universali della legge naturale e le sue applicazioni concrete. La legge naturale non può «[…] essere presentata come un insieme già costituito di regole che si impongono a priori al soggetto morale, ma è una fonte di ispirazione oggettiva per il suo processo, eminentemente personale, di presa di decisione». In altri termini, la legge naturale coincide con la retta ragione umana, con la «luce dell’intelligenza infusa in noi da Dio», grazie a cui «[…] conosciamo ciò che si deve compiere e ciò che si deve evitare» (6). Questa legge è chiamata naturale non in rapporto alla natura intesa come cosmo fisico, ma perché la ragione che la promulga è propria della natura umana.
Perciò per giudicare della bontà o della malizia degli atti umani si deve tenere conto, oltre che dell’oggettività dell’azione che si compie o si omette, anche del fine perseguito dal soggetto che agisce e delle circostanze in cui si trova il soggetto, e, fra le circostanze, vanno considerati ignoranza, inavvertenza, abitudini; condizioni che incidono sulla capacità di conoscere e di volere dell’uomo.
Capitolo 9. «Spiritualità coniugale e familiare». Conclusione
«Già alcuni decenni fa il Concilio Vaticano II, a proposito dell’apostolato dei laici […] affermava che la spiritualità dei laici “deve assumere una sua fisionomia particolare” anche “dallo stato del matrimonio e della famiglia”» (n. 313). Si tratta di una spiritualità specifica che si sviluppa nel dinamismo delle relazioni familiari, «una spiritualità del vincolo abitato dall’amore divino» (n. 315). Attraverso i momenti di gioia e di sofferenza la famiglia percorre un cammino di santificazione in cui partecipa realmente alla Croce e alla Resurrezione di Cristo. Inoltre, vivendo il senso di appartenenza a una sola persona con ferma decisione, gli sposi riflettono la fedeltà di Dio. Cooperatori della grazia e testimoni della fede l’uno per l’altro, essi «[…] potranno riconoscere il senso del cammino che stanno percorrendo» rivolto alla «dimensione ultima e definitiva della nostra esistenza» (n. 325).
L’esortazione si conclude con l’invito a tenere viva la tensione verso la meta definitiva: «Camminiamo, famiglie, continuiamo a camminare! Quello che ci viene promesso è sempre di più. Non perdiamo la speranza a causa dei nostri limiti, ma neppure rinunciamo a cercare la pienezza di amore e di comunione che ci è stata promessa» (ibidem), e con una preghiera finale alla Santa Famiglia.
Note:
(1) Cfr. Francesco, Esortazione apostolica postsinodale «Amoris laetitia» ai vescovi, ai presbiteri e ai diaconi, alle persone consacrate, agli sposi cristiani e a tutti i fedeli laici, sull’amore nella famiglia, del 19-3-2016. Tutti i riferimenti fra parentesi nel testo rimandano a questo documento.
(2) Benedetto XVI, Enciclica «Deus caritas est» sull’amore cristiano, del 25-12-2005, n. 1, cit. in Francesco, Esortazione apostolica «Evangelii gaudium» sull’annuncio del Vangelo nel mondo attuale, del 24-11-2013, n. 7.
(3) Cfr. san Giovanni Paolo II, Esortazione apostolica «Familiaris consortio» circa i compiti della famiglia cristiana nel mondo di oggi, del 22-11-1981, n. 34.
(4) Idem, Lettera enciclica «Veritatis splendor» circa alcune questioni fondamentali dell’insegnamento morale della Chiesa, del 6-8-1993, n. 104.
(5) Cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 2352.
(6) San Tommaso d’Aquino, In duo praecepta caritatis et in decem Legis praecepta expositio, c. 1, cit. in Catechismo della Chiesa Cattolica, cit., n. 1955.