La teologia dell’anawim in san Francesco d’Assisi.
di Diego Torre
In san Francesco d’Assisi la povertà è testimonianza di una vita vissuta in totale adesione al Vangelo e alla fede. Non riponeva fiducia nelle cose terrene, ma solo in Dio, che veste i gigli dei campi, e non si curava di esse più di quanto sia indispensabile. L’obbiettivo era non possedere per non perdere la libertà di vivere interamente concentrato su Dio, al Suo servizio. La povertà, con la castità e l’obbedienza, dispone, attraverso la totale oblazione di sé, al totale possesso di Dio. Per san Francesco questa povertà non è miseria, ma libertà, per essere veramente il povero biblico (anawim) che, sottomesso a Dio, rinuncia a tutto perché ha già il Tutto. Un possesso di Dio «talmente grande da richiedere uno spogliamento totale» (Benedetto XVI, discorso ai membri della famiglia francescana, 18/4/09).
Non è certamente virtuosa la povertà del malato malvagio a cui il santo pulirà le piaghe e di cui otterrà la conversione. E non lo sarebbe neppure quella che andasse contro verità di livello spiritualmente più alto: «un giorno i frati discutevano assieme se rimaneva l’obbligo di non mangiare carne, dato che il Natale quell’anno cadeva in venerdì. Francesco rispose a frate Morico: “Tu pecchi, fratello, a chiamare venerdì il giorno in cui è nato per noi il Bambino. Voglio che in un giorno come questo anche i muri mangino carne, e se questo non è possibile, almeno ne siano spalmati all’esterno”»(Tommaso da Celano, Vita seconda, 199). A conferma del fatto che Francesco non era un vegano ante litteram (ennesima bufala!).
Quando era in ballo Dio e l’onore a Lui dovuto, san Francesco pretendeva bellezza e ricchezza. Oggi tanti mistificatori delle posizioni del santo, critici della bellezza e della ricchezza delle chiese, attaccano la Chiesa gerarchica pretendendo da essa la conformazione ad una presunta “povertà francescana”, ma in realtà non la conoscono affatto! «Vi prego, più che se riguardasse me stesso, che, quando vi sembrerà conveniente e utile, supplichiate umilmente i chierici che debbano venerare sopra ogni cosa il santissimo corpo e sangue del Signore nostro Gesù Cristo e i santi nomi e le parole di lui scritte che consacrano il corpo», scrisse infatti il Poverello in una lettera ai suoi frati: «i calici, i corporali, gli ornamenti dell’altare e tutto ciò che serve al sacrificio, debbano averli di materia preziosa. E se in qualche luogo il santissimo corpo del Signore fosse collocato in modo troppo miserevole, secondo il comando della Chiesa venga da loro posto e custodito in un luogo prezioso, e sia portato con grande venerazione e amministrato agli altri con discrezione» (san Francesco, Prima lettera ai custodi,FF 241).
Tuona potente nei secoli il santo d’Assisi, per il suo ed il nostro tempo: «tutti coloro, poi, che amministrano così santi misteri, considerino tra sé, soprattutto chi li amministra illecitamente, quanto siano vili i calici, i corporali e le tovaglie, dove si compie il sacrificio del corpo e del sangue di lui. E da molti viene collocato e lasciato in luoghi indecorosi, viene trasportato in forma miseranda e ricevuto indegnamente e amministrato agli altri senza discrezione. Anche i nomi e le parole di lui scritte talvolta vengono calpestate con i piedi, perché “l’uomo animale non comprende le cose di Dio”. Non dovremmo sentirci mossi a pietà per tutto questo, dal momento che lo stesso pio Signore si mette nelle nostre mani e noi lo tocchiamo e lo assumiamo ogni giorno con la nostra bocca? Ignoriamo forse che dobbiamo venire nelle sue mani? Orsù, di tutte queste cose e delle altre, subito e con fermezza emendiamoci; e dovunque il santissimo corpo del Signore nostro Gesù Cristo sarà stato collocato e abbandonato in modo illecito, sia rimosso da quel luogo e posto e custodito in un luogo prezioso. … E quelli che non faranno questo, sappiano che dovranno renderne “ragione” davanti al Signore nostro Gesù Cristo “nel giorno del giudizio”»(Lettera a tutti i chierici,I,FF 208a-209). Ma non gli bastava dire queste cose. «Un giorno volle mandare i frati per il mondo con pissidi preziose, perché riponessero nel luogo più degno possibile il prezzo della redenzione, ovunque lo vedessero conservato con poco decoro» (Tommaso da Celano, Vita seconda, 201, FF 789).
La povertà materiale svaniva dinanzi all’ardentissima devozione al Santissimo Sacramento. San Francesco era come Maria di Magdala, che spese una somma ingentissima per profumare i piedi di Gesù e suscitò lo sdegno di Giuda Iscariota, il quale esclamò: «“perché quest’olio profumato non si è venduto per trecento denari per poi darli ai poveri?”. Questo egli disse non perché gl’importasse dei poveri, ma perché era ladro» (Gv. 12,4).
Né san Francesco, né santa Maria professavano la teologia della liberazione. Sapevano entrambi che «i poveri infatti li avete sempre con voi» (Mc 14,7) e che coloro che mettono Dio al primo posto avranno sempre amore per i poveri. Chi pone al centro la povertà sociologica, ma non ama Dio, non ama in realtà neppure il povero.
Martedì, 10 novembre 2020