Da “Avvenire” del 28 marzo 2017. Foto da Vita
Caro direttore, alla fine, quelli che da anni, in nome di una strana idea di progresso, spingono affinché nel nostro Paese chiunque possa scegliere come e quando morire, trasformando questa libertà in diritto, sono riusciti a imprimere un’accelerazione ai lavori parlamentari, portando il testo di legge sulle Dichiarazioni anticipate di trattamento (Dat) in Aula.
Quanti come noi si dichiarano contrari a questo provvedimento sono accusati di essere ‘clericali’, soltanto perché siamo fermamente e laicamente convinti che una legge sul fine vita debba saper coniugare tutela della vita, libertà della persona e dignità umana, princìpi comuni a credenti e non credenti, profondamente laici, e sanciti proprio nella nostra Carta Costituzionale. Soltanto perché abbiamo scelto di difendere le fondamenta di tutta la nostra civiltà e del nostro diritto positivo che si basano sul principio che la libertà personale, in un contesto sociale, incontra inevitabilmente dei vincoli. È l’art. 32 della Costituzione a parlare dell’autodeterminazione del soggetto, imponendo al medico l’obbligo di informare il paziente sui trattamenti più appropriati, facendo espressamente riferimento alla possibilità di rinunciare a determinate cure e trattamenti sanitari. È l’art. 2 della Costituzione a disciplinare l’inviolabilità della vita. È dalla nostra Costituzione che deriva il divieto di ogni forma di eutanasia, di omicidio del consenziente e di assistenza o aiuto al suicidio, sanzionati agli articoli 575, 579, 580 del codice penale. Quanto al concetto di dignità, la domanda che ci poniamo è: chi può dire che la dignità è caratterizzata solo dalla capacità di produrre economicamente o di relazionarsi socialmente? Che società è quella che vuole negare alle persone che vivono una disabilità grave e che sono soltanto persone più fragili, maggiormente bisognose di affetto e di assistenza, la loro dignità? È la mancata tutela di questi princìpi, è l’assenza della giusta combinazione tra inviolabilità della vita, libertà della persona e dignità umana a vederci contrari fino all’ultimo voto. Non abbiamo mai pensato di negare il diritto di ognuno di decidere di non sottoporsi o di sospendere determinate terapie, anche se quella scelta gli costerà la vita perché, in tal caso, avrà pur sempre scelto di morire, ma lasciando fare alla patologia il suo decorso infausto. Ben altra situazione è, invece, quella prevista agli articoli 1 e 3 della proposta di legge, in cui si vuole elevare a diritto la pretesa che sia il Servizio sanitario a condurci alla morte, a prescindere dall’evoluzione di una patologia,sospendendo anche sostegni vitali, quali sono idratazione e nutrizione assistite. Si è liberi di rifiutare le cure, si è liberi di scegliere di vivere o di morire, ma non si è liberi di pretendere che sia lo Stato ad assisterci nel suicidio.
Il testo disciplina il diritto di una persona di esprimere le proprie indicazioni sui trattamenti sanitari a cui vorrà o non vorrà essere sottoposto in previsione di un’eventuale futura incapacità di autodeterminarsi. Ma dimentica che si tratta di indicazioni espresse ‘ora per allora’; finge di dimenticare la vulnerabilità della natura umana, di ignorare che spesso le nostre convinzioni sul senso della vita e della morte cambiano con il passare degli anni, che sono influenzate dallo stato emotivo e psicologico del presente che è per definizione mutevole.
Ecco perché, riteniamo che la Dat scritta ‘ora per allora’, in un momento storico particolare della vita personale del paziente ha necessità di essere attualizzata, anche alla luce dei progressi della medicina. Il medico deve riaprire il dialogo con un familiare, un fiduciario, una persona che rappresenti il paziente per comprendere cosa avrebbe potuto decidere alla luce delle nuove conoscenze. Il rapporto di reciproca comprensione e l’alleanza tra il medico e il paziente, alla base di qualsiasi scelta non si deve interrompere, deve continuare attraverso persone di sua fiducia. Il medico non può essere tenuto a ottemperare supinamente alle indicazioni del paziente, quando queste sono contrarie alle proprie conoscenze scientifiche e alla propria coscienza professionale. Questa proposta di legge in maniera assurda e superficiale non indica quando le Dat iniziano ad acquistare efficacia, non facendo i dovuti distinguo tra condizioni cliniche differenti, tra perdita di coscienza transitoria e definitiva, tra le patologie che portano inevitabilmente alla morte e quelle che, pur gravissime, possono essere curate. In assenza di sostanziali modifiche, non voteremo un testo di legge che configura le Dat come fossero incise su una pietra, che non restituisce al medico il ruolo che gli è proprio e che apre le porte all’eutanasia omissiva, interrompendo i sostegni vitali.
Questo strano progresso che porta con sé un’idea di libertà assoluta che ha come unica frontiera di conquista il diritto all’anticipazione della morte, a dire il vero, non può che trovare il nostro dissenso.
Raffaele Calabrò (Alternativa Popolare), Paola Binetti (Udc), Rocco Buttiglione (Udc), Giovanni Falcone
(Partito Democratico), Benedetto Fucci (Conservatori – Riformisti), Gian Luigi Gigli (Democrazia Solidale – Centro Democratico),
Domenico Menorello (Civici Innovatori), Eugenia Roccella (Usei Idea), Alessandro Pagano (Lega Nord), Antonio Palmieri (Forza Italia), Mario Sberna (Democrazia Solidale – Centro Democratico),
Francesco Paolo Sisto (Forza Italia)