di alfredo mantovano
Il pestaggio di Emanuele Morganti avviene ad Alatri la notte del 24 marzo. I testimoni descrivono gli aggressori come scatenati, in preda a impulsi che nessuno tenta neanche di fermare per quanto appaiono selvaggi. Le testimonianze somigliano a quelle di chi assiste a omicidi provocati soltanto dall’assunzione di droga: quando un’inezia causa una lite, la lite non si limita al cazzotto e – senza freni – giunge a togliere la vita. Uno dei due presunti responsabili, fermati e condotti in carcere, era stato arrestato il 23, il giorno prima dell’omicidio di Emanuele, perché trovato in possesso – così dicono le cronache – di centinaia di dosi di cocaina. Il 24 mattina era tornato in libertà perché quella droga era stata ritenuta finalizzata al “consumo di gruppo”, e quindi per l’“uso personale” di ciascun potenziale destinatario. La tragedia che si consuma dopo poche ore va in carico di chi, “in gruppo”, ha circondato Emanuele e lo ha colpito ripetutamente fino a farlo morire. Ma è veramente impossibile non ascriverla in quota parte alla sciagurata legge imposta con voto di fiducia tre anni fa, che ha reintrodotto l’amplissima categoria dell’“uso personale”, e a una giurisprudenza che rende superflua la legalizzazione perché l’ha già sancita in concreto. A che prezzo