di Chiara Mantovani
CEDU dovrebbe essere l’acronimo della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo che ha sede a Strasburgo. Dal 27 giugno 2017 non sarebbe fuori luogo esplicitarlo come Corte Europea per i Delitti sull’Uomo.
Il bambino Charlie Gard non può essere trasportato dai genitori in un altro ospedale, è prigioniero di quello in cui è attualmente ricoverato e dove gli saranno sospese tutte le cure. Attenzione: non si tratta di sospendere la somministrazione di farmaci (non ce ne sono a disposizione per la sua malattia, almeno in Gran Bretagna), bensì di smettere gli atti di cura, il prendersi cura di lui. L’espressione, brutta e imprecisa, “staccare la spina” questa volta rende l’idea di qualcosa di essenziale che viene interrotto.
Perché? I lanci di agenzia riportano alcune frasi del parere emesso dalla Corte: essa rigetta il ricorso dei genitori di Charlie per via «[…] del considerevole margine di manovra che gli Stati hanno nella sfera dell’accesso alle cure sperimentali per malati terminali e nei casi che sollevano delicate questioni morali ed etiche». In più, pare che improvvisamente il tribunale di Strasburgo non reputi proprio compito sostituirsi alle autorità nazionali competenti. E quando invece emette sentenze che condannano Stati nazionali che rivendicano spazi di libertà su temi sensibili come aborto e “nozze” same-sex, le autonomie nazionali valgono di meno?
Dunque, seriamente, perché?
Nel 2005 è stato pubblicato un articolo, sulla prestigiosa rivista medica New England Journal of Medicine, del pediatra Eduard Verhagen (con Pieter J.J. Sauer). Conosciuto come Protocollo di Groningen. Eutanasia per i neonati gravemente malati, è quello la vera radice della sentenza odierna. «Quando i genitori ed i medici sono convinti che ci sia una prognosi estremamente negativa, questi possono essere in accordo sul fatto che la morte è più umana della continuazione della vita». Ma dieci anni non sono passati invano: oggi il consenso dei genitori non serve più. Altri possono decidere della dignità della vita, se valga la pena di esser vissuta o no. Sembra che un portavoce dell’ospedale dov’è rinchiuso (non ricoverato) il piccolo Charlie abbia tentato di rassicurarne la famiglia sul fatto che le prossime decisioni dei medici non verranno prese in fretta. Questo significa che Charlie non sta per morire. Solo che la sua vita è portatrice di tale sofferenza da essere di poco valore, secondo i medici. Non si vuole entrare nel merito delle questioni cliniche, che comunque non sono – giustamente – conosciute da nessuno al di fuori dei diretti interessati. Qui è in gioco un principio fondamentale per la vita sociale: può un tribunale consentire un sequestro di persona per eseguire una eutanasia? I genitori di Charlie non possono trasferirlo in un’altra struttura sanitaria. Perché Eluana Englaro (1970-2009) invece lo fu?
Non si scandalizzino le anime belle, che tutto vorrebbero tranne le analogie forti: nel 1920 si pubblicò in Germania Die Freigabe der Vernichtung lebensunwerten Lebens (“La liberalizzazione della soppressione della vita senza valore”) del giurista tedesco Karl Binding (1841-1920) e dello psichiatra, pure tedesco, Alfred Hoche (1865-1943). Se ne può leggere una condivisibile recensione della traduzione italiana in un articolo pubblicato su L’Osservatore Romano da Lucetta Scaraffia. Se poi si riuscirà a reperire il testo, forse ci si procurerà qualche brivido in questa torrida estate in cui a essere pubblicate sono le sentenze della CEDU.