L’assassinio dello zar di Russia Nicola II Romanov (1868-1918), della zarina Alessandra Fëdorovna (1872-1818), dello zarevič Alessio (1904-1918) e delle principesse imperiali Olga (1895-1918), Maria (1899-1918), Tatiana (1897-1918) e Anastasia (1901-1918) non possono non richiamare alla mente ‒ fatta salva la differenza del contesto religioso, qua ortodosso e là cattolico, e quindi la differenza di giudizio teologico che ne consegue ‒ quella con cui la Rivoluzione Francese uccise la regina Maria Antonietta d’Asburgo-Lorena (1755-1793) e soprattutto re Luigi XVI di Borbone (1754-1793), per il quale Papa Pio VI (1717-1799) spese parole decisive nell’allocuzione Quare ladrymae del 1793 [.
Quel che colpisce è l’empietà del gesto, rafforzata dalla sua inutilità politica, e l’efferatezza con cui, uccidendo un uomo, si è voluto anzitutto uccidere un simbolo, una tradizione, un Paese, una intera concezione ‒ cristiana ‒ della vita.
Accadde all’inizio del 1918, pochi mesi dopo il putsch della Rivoluzione d’Ottobre. Svanita la possibilità di legare, in qualche modo, lo zar al nuovo corso comunista, i bolscevichi decretarono la morte della famiglia imperiale. In ciò si distinsero particolarmente il soviet di Ekaterinburg, cittadina della regione degli Urali, e il leader bolscevico di Jakov M. Sverdlov (1885-1919): in suo onore, nel 1924 (e fino al 1991) Ekaterinburg, luogo dell’eccidio, venne persino rinominata Sverdlovsk. Ekaterinburg reclamava i prigionieri e Mosca non riuscì a impedirlo. Nella cittadina sul lato orientale degli Urali, i comunisti requisirono l’abitazione del mercante Nikolaj Ipat’ev internandovi, il 30 aprile 1918 e per 78 giorni, i Romanov. La Russia era in piena guerra civile: all’Armata rossa si contrapponeva l’esercito dei controrivoluzionari “bianchi” zaristi. Quando i “bianchi” si avvicinarono a Ekaterinburg, la situazione precipitò. Della sentenza fu incaricato Jakov M. Jurovskij (1878-1938), un funzionario della polizia politica locale che dovette reclutare ex prigionieri di guerra austroungarici diventati comunisti poiché i bolscevichi russi si rifiutarono di comporre il plotone d’esecuzione. Il 17 luglio 1918 venne abbattuto prima lo zar e poi la zarina. Poi, per 20 minuti, vennero falcidiati il resto della famiglia imperiale, i membri del loro seguito, il medico personale di famiglia, il cuoco, la dama di compagnia dell’imperatrice. Tre delle quattro figlie dello zar furono finite con le baionette. Vennero ammazzati anche i cani di due di loro. Poi i cadaveri furono spostati: alcuni bruciati lungo la strada, gli altri, spogliati e dilaniati, gettati in un pozzo della miniera di Ganina Jama, nei pressi del villaggio di Koptjaki, a una quindicina di chilometri da Ekaterinburg.
Nel 1990 sono stati individuati alcuni resti, poi sepolti nella cattedrale di San Pietroburgo il 16 luglio 1998 con un funerale di Stato presieduto dal primo presidente della Russia post-sovietica, Boris N. Eltsin (1931-2007), il quale nel 1977, quando era responsabile locale del Partico comunista sovietico, fece distruggere la Casa Ipat’ev dove i Romanov erano stati massacrati. Il 30 aprile 2008 è stata poi data notizia ufficiale dell’avvenuta identificazione di tutta la famiglia imperiale.
Dove un tempo sorgeva Casa Ipat’ev oggi c’è la “Chiesa sul sangue [dei Romanov] in onore di tutti i santi risplendenti nella terra russa” e a Ganina Jama c’è, dal 2001, il monastero dei “Santi portatori imperiali della Passione”. La Chiesa ortodossa russa ha infatti dichiarato martiri e santi i Romanov nel 2000 in ragione dell’esemplare comportamento cristiano mostrato durante la prigionia e per avere perdonato i carnefici.