di Chiara Mantovani
«Ormai è troppo tardi». «I danni al cervello e ai muscoli sono troppo estesi». «L’unica cosa è una morte dignitosa». «Noi genitori ci arrendiamo: lasciamo andare Charlie dagli angeli».
Dopo aver interpretato gli ultimi esami strumentali, i medici hanno parlato con i genitori di Charlie, hanno confermato che è molto malato, che ormai la cura rifiutata da cinque mesi non avrebbe possibilità di modificare la situazione, che non migliorerà mai e che la speranza si è consumata in una attesa vana.
In realtà, in questa brutta storia l’unica cosa consumata è la verità. Bruciata, ingannata, sfigurata. Adesso il velo è caduto: Charlie non vedrà il primo compleanno perché ha vinto l’idea che la morte è a misura del suo bisogno. Ha vinto l’idea che lui ha bisogno di morire. Di fronte a una diagnosi certa di malattia grave, di danno irreversibile procurato – tra l’altro – anche da omissione di terapia, in molti (medici, giudici, opinion leader) hanno sentenziato che «è nel migliore interesse di Charlie morire. Confermo il mio verdetto di aprile». Così ha dichiarato il giudice Nicholas Francis.
Questa è la sentenza che sconfigge il convincimento che ha fondato la civiltà occidentale: ogni uomo ha diritto a vivere la propria vita. Ha vinto, nobilitata dal diritto, l’idea che ci sono vite degne e vite indegne. Non ha perso la pietà: gronderà – ha già cominciato dalle parole dello stesso giudice: «Nessuno di noi può comprendere l’agonia dei genitori» – dalle righe dei giornalisti, dei politici, di chiunque ne parlerà. Ma è una pietà puramente emozionale, inutile e anche un po’ ipocrita. Non è neppure quell’avvertire ancora confuso che anche qualche pagano ragionevole sapeva elaborare, quando argomentava contro ogni moda di allora che la vita umana fosse una faccenda terribilmente seria e preziosa. No, questa moderna è la pietà dei raffinati utilitaristi, ancora un po’ necessaria per mascherare il nichilismo: chi non serve, chi non è al top, chi costa soldi-dolore-fatica-sofferenza è meglio scartarlo subito.
Grazie, Charlie: vedi se ti riesce di continuare a farci ragionare sul senso della tua vita. Potresti essere la persona più utile di questi tempi terribili.