Michel Martin, Cristianità n. 19-20 (1976)
Traduzione dell’articolo Vatican II et les erreures liberales, comparso in Courrier de Rome, Parigi 15-5-1976, anno decimo, n. 157, pp. 3-20.
Il problema della libertà religiosa
IL VATICANO II E GLI ERRORI LIBERALI
Alcuni testi del Concilio Vaticano II sono, più o meno, contaminati dagli errori liberali? E quanto affermò durante il Concilio stesso il Coetus Internationalis Patrum, che raggruppava i vescovi tradizionalisti.
Successivamente l’accusa non ha mai cessato di essere formulata da alcuni teologi isolati, ma, eccetto che presso una esigua minoranza di “integristi”, come si dice, essa fu sempre accolta con indifferenza fino al momento, recentissimo, in cui il penoso affaire di Ecône non la mise in primo piano nell’attualità cattolica.
A coloro che s’indignassero per il fatto che si possa supporre che un testo conciliare sia discutibile, ricorderò, come per altro ha detto il Santo Padre stesso, che nessun testo del Vaticano II ha il carattere di definizione o di decisione infallibile (1). Con tutto il rispetto dovuto alla Chiesa docente, i teologi sono dunque liberi di discutere la questione che è l’oggetto del presente articolo.
Notiamo tuttavia che solo il Papa mediante definizioni ex cathedra potrebbe dare una soluzione completa e definitiva ai gravi interrogativi sollevati dalle accuse di cui sono oggetto alcuni testi del Vaticano II (2).
I. LA CONTRADDIZIONE.
Ma supponiamo ora che una affermazione sia in contraddizione evidente, chiara, manifesta, con una dottrina che la Chiesa ha infallibilmente definito. Abbiamo bisogno in tal caso di un giudizio della Chiesa docente per rifiutarla? Immaginiamo per esempio che una setta sostenga che in Dio vi sono solo due persone: il Padre e il Figlio. Abbiamo bisogno di un giudizio della Chiesa docente per dire che questa affermazione deve essere respinta, perché in contraddizione con il dogma trinitario infallibilmente definito?
Certo, una contraddizione tra due dottrine non è sempre manifesta e in questo caso è richiesto il giudizio della Chiesa docente.
Quando però si tratta di due dottrine chiaramente formulate e di cui l’una è manifestamente la negazione dell’altra, abbiamo bisogno di un giudizio della Chiesa docente per convincerci che vi è contraddizione? Constatando una contraddizione evidente, non esprimiamo alcun giudizio dottrinale, ma solo un giudizio di fatto. Non siamo più nel campo della teologia, ma in quello della logica.
La dichiarazione sulla libertà religiosa
Con i vescovi del Coetus Internationalis Patrum affermo da dieci anni, senza che alcuno mi abbia mai dato risposta, se non per mezzo di scappatoie, che vi è una contraddizione evidente, chiara, manifesta, tra certe affermazioni del Vaticano II e la dottrina tradizionale a proposito della libertà religiosa in foro esterno.
Inoltre queste affermazioni del Vaticano II sono la riproduzione quasi parola per parola delle proposizioni condannate da Pio IX in forma infallibile.
Ora poiché queste affermazioni conciliari non sono state definite infallibilmente, non dobbiamo forse noi rifiutarle?
Ma, non volendo accettare questa conclusione, i difensori del Concilio si sono trovati nella necessità di sostenere che non vi è contraddizione, poiché la dottrina conciliare è solo, secondo loro, lo sviluppo della tradizione.
Confronteremo più avanti i testi, ma ci si rende conto che dichiarando compatibili due dottrine che almeno nove persone su dieci stimerebbero contraddittorie, si compromette la credibilità di tutto quanto insegna la Chiesa?
II. IL LIBERALISMO. IL CATTOLICO LIBERALE
Nella sua essenza il liberalismo è il rifiuto di accettare una verità o una legge imposta all’uomo dall’esterno (3). L’uomo deve essere libero di giudicare lui stesso la verità. A ciascuno la sua verità.
Secondo la dottrina cattolica, al contrario, l’uomo ha il dovere di credere alle verità che Dio ha rivelato e che sono insegnate infallibilmente dalla Chiesa.
I due punti di vista sono inconciliabili e i massoni, per i quali il liberalismo è un dogma, su questo punto non si sono ingannati. Ascoltiamo uno di loro: “Maestra di verità! Mai, senza dubbio, la Chiesa aveva manifestato la sua imperiosa volontà di imporre il suo dogma e sottolineato che questo dogma era l’unica verità, in termini così categorici, così definitivi nella loro brutalità, mai con una formula che tanto colpisce. Bisogna allora onestamente porsi il problema di sapere dove possa sboccare un dialogo con un interlocutore che dichiara, all’esordio di questo dialogo, che lui è padrone della verità per volontà di Dio” (4).
A rigore, infatti, cattolico e liberale sono due termini che si escludono.
Nella loro grande maggioranza i cattolici attuali sono, tuttavia, più omeno liberali.
Ciò non significa che questi cattolici abbiano personalmente passato l’insegnamento della Chiesa al vaglio della loro ragione, per ritenere soltanto quanto personalmente hanno giudicato vero: un tale cattolico rappresenta in verità l’eccezione.
Ma i cattolici sono oggi immersi in un mondo il cui pensiero si allontana sempre più dalla dottrina tradizionale della Chiesa. Sollecitato e diviso tra questa dottrina e il “pensiero moderno”, il cattolico liberale di oggi ècolui che cerca o adotta compromessi tra questi due sistemi di pensiero.
Questa sete di compromesso ha invaso la Chiesa stessa; un teologo “moderno” non cerca più tanto di approfondire la dottrina e di opporla agli errori attuali; cerca soprattutto di distorcerla (nel modo meno visibile) in modo da evitare il più possibile gli attriti con il pensiero moderno (5).
Non è possibile, in un semplice articolo, enumerare tutti questi compromessi. Mi limiterò all’esame della tesi che figura nella dichiarazione conciliare sulla libertà religiosa e che è relativa ai rapporti tra il potere civile e il potere spirituale.
III. LA DOTTRINA DELLA CHIESA SUL POTERE CIVILE
Non spetta alla Chiesa dare costituzioni agli Stati, ma solo enunciare i grandi principi di ordine morale cui queste costituzioni devono ottemperare.
Questa dottrina della Chiesa sul potere civile è immutabile; essa è infatti fondata nella Scrittura e nella Tradizione ed è stata costantemente insegnata dalla Chiesa a partire dai Padri fino a Pio XII compreso. Essa èdunque garantita dal Magistero ordinario infallibile della Chiesa.
Inoltre, come vedremo più in dettaglio, alcuni punti di questa dottrina sono stati oggetto di definizioni ex cathedra e sono dunque garantiti dalla infallibilità del Magistero straordinario della Chiesa.
La dottrina
Essendo stato creato da Dio, avendo ricevuto tutto da Dio, l’uomo deve rendere omaggio al suo Creatore e soprattutto a Gesù Cristo, il Verbo di Dio che è stato costituito dal Padre suo Re dell’Universo.
Consideriamo bene quanto – richiamato da Pio XI – ha insegnato Leone XIII: “L’impero di Cristo non si estende soltanto sui popoli Cattolici, o a coloro, che rigenerati nel fonte battesimale, appartengono, a vigore di diritto, alla Chiesa, sebbene le errate opinioni ne li allontanino o il dissenso li divida dalla carità; ma abbraccia anche quanti sono privi della fede cristiana, di modo che tutto il genere umano è sotto la potestà di Gesù Cristo” (6).
Pio XI osserva poi: “Non v’è differenza fra gli individui e il consorzio domestico e civile, poiché gli uomini, uniti in società, non sono meno sotto la potestà di Cristo di quello che lo siano gli uomini singoli” (7).
Lo Stato non ha dunque il diritto di essere “laico”; deve, in quanto Stato, riconoscere la regalità di Gesù Cristo e rendergli omaggio. E, ben inteso, fare in modo che non vi sia alcuna contraddizione tra le leggi civili che promulga e le leggi di Dio.
Lo Stato ha il dovere di assicurare il bene comune della città e deve in particolare proteggere i cittadini. Tutti trovano naturale che si opponga al libero commercio della droga, che devasta i corpi, e che quindi nessuno sia obbligato ad acquistarla. La Chiesa aggiunge che lo Stato ha anche il dovere di proteggere i cittadini contro le idee false che devastano le anime.
“Ma qual può darsi morte peggiore dell’anima che la libertà dell’errore?“, dichiarava sant’Agostino.
La Chiesa non ammette dunque la libertà di dire e di scrivere qualunque cosa; in opposizione completa al pensiero moderno ritiene infatti che solo la verità abbia dei diritti. L’errore non ne ha alcuno e può tutt’al più essere tollerato.
Derivando l’uno e l’altra il loro potere da Dio ed esercitandosi la loro giurisdizione sugli stessi soggetti, la Chiesa e lo Stato non possono ignorarsi, benché costituiscano due poteri distinti: “Ma poiché uno e medesimo è il soggetto di ambedue le potestà, e potendo una medesima cosa, quantunque sotto ragione e aspetto differente, appartenere alla giurisdizione dell’una e dell’altra […]. Devono dunque essere tra loro debitamente ordinate le due potestà” (8).
In altri termini la Chiesa condanna la separazione tra Stato e Chiesa.
Anche se spiace alla mentalità moderna, la dottrina cattolica sullo Stato, come fu esposta dai Padri fino a Pio XII compreso, è non poco intollerante. Essa afferma che, poiché Cristo ha fondato una sola religione, si deve, nella misura del possibile, cercare di instaurare lo Stato cattolico. E poiché il culto cattolico è il solo pienamente gradito a Dio, nessun altro culto pubblico dovrebbe di principio essere tollerato.
La Chiesa non impone alcuna forma di governo. Essa ammette sia la repubblica che la monarchia, purché siano rispettati i principi che ho riassunti.
Le realizzazioni
Dal 313, Costantino e i suoi successori si sforzano di realizzare questo ideale (9). Dapprima religione ammessa, la religione cattolica fu presto proclamata religione dello Stato. Dopo la caduta dell’impero, Clodoveo è consacrato re e monarchie cattoliche vengono instaurate pressoché in tutta Europa. Fino all’inizio del secolo XX lo Stato cattolico (o almeno confessionale) è la regola generale. In realtà sono sempre esistiti Stati cattolici e il 27 agosto 1953 – data relativamente recente – è stato firmato un concordato tra la Santa Sede e la Spagna di cui ecco l’articolo 1: “La religione cattolica, apostolica, romana continua a essere la sola religione della nazione spagnola […]” (10).
Il concordato del 1953 non annullava la Carta degli Spagnoli del 13 luglio 1945 che dichiarava: “[…] nessuno sarà molestato per le sue convinzioni religiose né per l’esercizio privato del suo culto. Non si autorizzeranno altre cerimonie né altre manifestazioni esterne se non quelle della religione cattolica” (11).
La tolleranza. La tesi e l’ipotesi
Ma la Chiesa cattolica non ignora che, in campo politico, l’ideale non sempre è realizzabile. Essa ammette dunque che nei paesi divisi da diverse fedi e per evitare un male maggiore, lo Stato cattolico tolleri l’esercizio di altri culti. E per questo che Enrico IV, per evitare la guerra civile, concesse ai protestanti con l’editto di Nantes, il diritto (limitato) di esercitare pubblicamente il loro culto (12).
Da cui la classica distinzione tra la tesi e l’ipotesi. La tesi è la dottrina cattolica in tutta la sua purezza; l’ipotesi è ciò che è possibile realizzare, tenuto conto delle circostanze.
Ma la Chiesa chiede che non si perda mai di vista la tesi e che si faccia tutto ciò che è possibile per realizzarne il massimo. Di fatto, nell’editto di Nantes, il protestantesimo è sempre chiamato “la religione che si pretende riformata“, cosa che mostra con chiarezza che gli estensori dell’editto avevano tenuto a sottolineare in questo modo come la religione cattolica sia la sola vera e sola abbia dei diritti.
Ma la giusta distinzione tra la tesi e l’ipotesi servirà di pretesto ai cattolici liberali per rinnegare la dottrina tradizionale, che essi dichiarano non più confacente al nostro tempo.
Come vedremo più in dettaglio, il Concilio Vaticano II andrà più lontano ancora; senza più occuparsi della tesi, che non richiamerà neppure, dichiarerà che la libertà religiosa in foro esterno è un diritto per gli adepti di qualsiasi religione e che questo diritto scaturisce dalla dignità della persona umana.
Cedendo allora alle reiterate pressioni della Santa Sede, il generale Franco accordò agli spagnoli, il 28 giugno 1967, la piena libertà per tutti i culti.
IV. IL LIBERALISMO CATTOLICO E LE SUE CONDANNE
Con liberalismo cattolico e l’espressione equivalente cattolicesimo liberale, si indica soprattutto un insieme di teorie sostenute nel secolo XIX che minimizzano la dottrina tradizionale sullo Stato, che ho appena riassunto.
Queste teorie furono condannate da tutti i Papi che si sono succeduti da Gregorio XVI a Pio XII compreso. Inoltre Pio IX, come vedremo più particolarmente, per condannarle impegnò nella Quanta cura l’infallibilità pontificia.
Gregorio XVI e l’enciclica Mirari vos
Nel 1830 l’abbé de Lamennais sostiene che ogni uomo ha il diritto di manifestare pubblicamente le sue opinioni e che di conseguenza lo Stato deve ammettere il libero esercizio di tutti i culti.
Egli fa notare che nel sistema dello Stato cattolico, che ha regnato per più di quindici secoli, il potere spirituale e temporale non hanno mai cessato di contendere (s. Luigi stesso ebbe difficoltà con la Santa Sede). Separando completamente i poteri, la Chiesa godrà di una piena libertà, che dovrebbe, secondo lui, accrescere la sua influenza (13).
Tutte queste idee sono sostenute con talento nel giornale L’Avenir, di cui Lamennais è l’ispiratore.
Ma Roma, dal 1832, le condanna. Nell’enciclica Mirari vos, Gregorio XVI denuncia anzitutto l’indifferentismo, che sostiene che tutte le religioni salvano, e poi scrive queste righe, le ultime delle quali – che sottolineo – predicono i frutti amari del liberalismo, come li possiamo constatare oggi: “Da questa corrottissima sorgente dell’indifferentismo scaturisce quell’assurda ed erronea sentenza, o piuttosto delirio, che debbasi ammettere e garantire per ciascuno la libertà di coscienza (14): errore velenosissimo a cui appiana il sentiero quella assoluta e smodata libertà d’opinare che va sempre aumentando a danno della Chiesa e dello Stato, non mancando chi osa vantare con impudenza sfrontata, provenire da siffatta licenza alcun comodo alla Religione. “Ma qual può darsi morte peggiore dell’anima che la libertà dell’errore?” diceva sant’Agostino. Tolto infatti ogni freno che contenga nelle vie della verità gli uomini già volgentisi al precipizio per la natura inclinata al male, potremmo dire con verità essersi aperto il pozzo dell’abisso […]. Di là infatti proviene l’instabilità degli spiriti, di là la depravazione della gioventù, di là il disprezzo nel popolo delle cose sacre e delle leggi più sante, di là in una parola la peste della società più di ogni altra funesta […]” (15).
Non è precisamente quanto accade nella nostra società liberale avanzata?
I cattolici liberali si sottomisero e l’Avenir chiuse i battenti. Ma Lamennais finì per abbandonare la Chiesa.
Pio IX, il Sillabo e l’enciclica Quanta cura
La seduzione delle idee liberali era tale che il liberalismo cattolico riapparve venti o trent’anni dopo. Montalembert, che si era sottomesso nel 1832, ne fu uno dei più ardenti difensori. Egli sostiene con talento che bisogna riconciliare il cattolicesimo e la democrazia, la quale esige prima di tutto la libertà religiosa. Egli afferma che la libertà è più utile alla Chiesa che non la protezione dei re.
I discorsi di Montalembert ebbero una grande eco. Ma l’8 dicembre 1864 il successore di Gregorio XVI, Pio IX, condanna di nuovo il liberalismo cattolico nel Sillabo e nell’enciclica Quanta cura.
Ecco qui, per esempio, due articoli del Sillabo. Sono condannate le seguenti proposizioni: “55. Si deve separare la Chiesa dallo Stato, e lo Stato dalla Chiesa.
“77 Ai giorni nostri non giova più tenere la religione cattolica per unica religione dello Stato, escluso qualunque sia altro culto” (16).
Ma ecco un fatto nuovo. Nell’enciclica Quanta cura, Pio IX, come vedremo, impegna l’infallibilità pontificia. Perciò dedicherò più avanti tutto un paragrafo alle condanne formulate in questa enciclica (17).
Monsignor Dupanloup
Scoraggiati da questa nuova condanna, Montalembert e i suoi amici erano del parere di rinunciare alla lotta. Ma questa fu ripresa con un opuscolo che monsignor Dupanloup, vescovo di Orleans, inviò a tutti i vescovi e anche al Papa.
Monsignor Dupanloup vi sostiene che si sono letti male la Quanta cura e il Sillabo. Egli fa numerose osservazioni esatte (come la distinzione logica tra contrario e contraddittorio), ma per il resto si tiene costantemente al limite del sofisma. Riprende la distinzione tra la tesi e l’ipotesi, ma lasciando intendere che le tesi di Pio IX sono oggi irrealizzabili.
Poiché nell’opuscolo non vi era niente di positivamente falso, Pio IX ringrazia monsignor Dupanloup dell’invio, ma con una riserva che mostra che aveva ben compreso quanto stava per succedere. Infatti i cattolici liberali restarono sulle loro posizioni; continuarono soprattutto a chiedere la separazione di Chiesa e Stato (che non si era ancora realizzata a quel tempo) e rimasero così fedeli a una tattica che in seguito non hanno mai abbandonata: invece di lottare contro i nemici della Chiesa si esige insieme a loro quanto si pensa che essi inevitabilmente un giorno otterranno.
Leone XIII
Leone XIII succede a Pio IX. Nelle encicliche Immortale Dei, sulla costituzione cristiana degli Stati (1885), e Libertas, sulla libertà (1888), riprende tutte le tesi tradizionali sullo Stato cattolico.
Nella Libertas fa suo quanto vi è di esatto nella distinzione tra la tesi e l’ipotesi, ma riprende anche, senza una sola eccezione, tutte le condanne formulate da Gregorio XVI e Pio IX, e cita esplicitamente l’enciclica Mirari vos e il Sillabo.
Una volta ancora il liberalismo cattolico è condannato.
San Pio X
San Pio X succede a Leone XIII ed è sotto il suo pontificato che la Repubblica francese denuncia, nel 1905, il concordato, proclamando che lo Stato da ora sarà laico e non riconoscerà più alcun culto.
San Pio X protesta con l’enciclica Vehementer, dell’11 febbraio 1906, e lo fa con termini che costituiscono una nuova condanna del liberalismo cattolico: “[…] in virtù dell’autorità assoluta che Iddio Ci ha conferito, Noi […] riproviamo e condanniamo la legge votata in Francia sulla separazione della Chiesa e dello Stato COME PROFONDAMENTE INGIURIOSA RISPETTO A DIO che essa rinnega ufficialmente, ponendo il principio che la Repubblica non riconosce nessun culto” (18).
Era la rinnovata affermazione, una volta ancora, che, contrariamente alla tesi liberale, lo Stato deve rendere omaggio a Dio e obbedire anch’esso a Gesù Cristo, solo e vero Re delle Nazioni, e che in ogni caso lo Stato non può lasciare che si propaghi liberamente l’errore come se avesse lo stesso titolo della verità. E se lo Stato lo fa, la Chiesa non può in nessun caso approvarlo.
Pio XI e la festa di Cristo Re
Non appena elevato al sommo pontificato, nel 1922, Pio XI condanna esplicitamente il liberalismo cattolico nella sua enciclica Ubi arcano Dei.
Ma egli comprende presto che, essendo rimaste inoperanti le condanne dei suoi predecessori, sarebbe accaduto lo stesso delle sue. Utilizzerà allora un altro metodo, che avrebbe probabilmente avuto successo, se, senza volerlo, non l’avesse vanificato con le sue stesse mani.
Poiché il popolo non legge le encicliche, Pio XI pensa che il miglior modo per istruirlo sia quello di utilizzare la liturgia.
Nell’enciclica Quas primas, dell’11 dicembre 1925, egli espone anzitutto in termini luminosi una teologia esauriente della regalità di Cristo e dimostra che essa implica necessariamente il dovere per i cattolici di fare quanto è in loro potere per tendere verso l’ideale dello Stato cattolico.
“Accelerare e affrettare questo ritorno [alla regalità sociale di Cristo] coll’azione e coll’opera loro, sarebbe dovere dei cattolici […]” (19).
Dichiara poi di istituire la festa di Cristo Re spiegando la sua intenzione di opporre così “un rimedio efficacissimo a quella peste, che pervade l’umana società.
“La peste della età nostra è il così detto laicismo, coi suoi errori e i suoi empi incentivi” (20).
Disgraziatamente, male informato sulla situazione religiosa e politica che regna in Francia in quel momento, Pio XI renderà inoperante la festa di Cristo Re, colpendo, meno di un anno dopo, i cattolici anti-liberali più attivi, mentre per contro né lui, né i vescovi danno disturbo ai cattolici liberali.
In realtà i cattolici anti-liberali, in questo tempo, facevano capo a due movimenti: l’Action Française, guidata da un ateo, Charles Maurras, e la Federation Nationale Catholique del generale de Castelnau.
La condanna dei cattolici dell’Action Francaise (che Pio XII doveva togliere non appena elevato al sommo pontificato) fu interpretata (a torto) come quella dell’anti-liberalismo. Dopo questo periodo i cattolici anti-liberali in Francia sono solo una minoranza di isolati. Hanno perduto ogni influenza e, nel timore di essere trattati da fascisti, rari sono coloro che osano manifestare le loro opinioni.
La vittoria dei cattolici liberali era dunque totale. La separazione di Chiesa e Stato, la completa libertà di stampa, si erano realizzate ed erano considerate normali dalla stragrande maggioranza dei francesi. L’esistenza di un partito cattolico-liberale era divenuta inutile, e l’espressione liberalismo cattolico cadde in dimenticanza.
Ma ora in Francia progrediscono le idee politiche di sinistra e con esse i cattolici liberali cercheranno compromessi. Mounier con la rivista Esprit, i domenicani con la rivista Sept amoreggiano con il socialismo e il marxismo. I cattolici liberali virano a sinistra e andranno sempre più avanti su questa via.
Dopo la liberazione essi si organizzano in un potente movimento politico, il MRP (Mouvement des Republicains Populaires) di cui Marc Sangnier fu, fino alla morte avvenuta nel 1950, il presidente onorario (21).
Vedremo come nel 1946 il MRP doveva tradire vergognosamente la causa di Cristo Re.
E l’enciclica? Docilmente la Chiesa celebra ogni anno, dal 1925, la festa di Cristo Re, ma vescovi, sacerdoti e fedeli non ne comprendono più il significato (22).
Il MRP e la festa di Cristo Re
Nel 1946 fu necessario dare alla Francia una nuova costituzione. I comunisti presentarono una proposta in parlamento chiedendo che la laicità dello Stato fosse esplicitamente menzionata, cosa a cui gli autori del progetto costituzionale non avevano pensato.
Il MRP era allora un partito potente e i suoi deputati costituivano un terzo del parlamento. Ma, per le ragioni dette, questo partito cattolico era liberale e non poco orientato a sinistra.
Il progetto costituzionale era sostenuto dai socialisti e dai comunisti, che occupavano un terzo dei seggi, e combattuto invece dai deputati che sedevano alla destra del MRP, che costituivano il rimanente terzo, e pertanto il MRP era arbitro della situazione.
Dimenticando completamente che Pio XI aveva istituito la festa di Cristo Re per ricordare ai cattolici il loro dovere di lottare contro il laicismo, frutto del liberalismo condannato dai Papi, il MRP, che poteva far respingere l’emendamento sulla laicità, si guardò bene dal farlo. Non ricordo più ora se votò a favore o si astenne, ma rimane sempre il fatto che fu grazie a un partito cattolico che la laicità dello Stato fu promossa per la prima volta al rango di legge costituzionale.
E per una sorprendente coincidenza, nella quale vedo, per conto mio, uno scherzo del demonio, questa costituzione laica fu promulgata sulla gazzetta ufficiale con la data del 27 ottobre 1946, giorno della festa di Cristo Re!
De Gaulle e la costituzione del 1958
Dodici anni dopo, questa repubblica laica crolla senza gloria, e un generale cattolico è incaricato di proporre una nuova costituzione.
Ma anch’egli è un cattolico liberale e inscrive anche la laicità dello Stato nella costituzione, che sottopone all’approvazione dei francesi mediante referendum.
Un gruppo assai esiguo di cattolici anti-liberali fece una campagna contro questa costituzione empia, ma fu sconfessato dalla quasi totalità dei vescovi; bisognava salvare l’Algeria e l’impero. Il seguito lo si conosce.
Pio XII
Pio XII è un Papa moderno che si preoccupa già dell’organizzazione di comunità di Stati.
In un discorso del 6 dicembre 1953, dedicato a questo problema, egli ricorda, una volta ancora, i principi tradizionali: “[…] nessuna autorità umana, nessuno Stato, nessuna Comunità di Stati, qualunque sia il loro carattere religioso, possono dare un mandato positivo o una positiva autorizzazione d’insegnare o di fare ciò che sarebbe contrario alla verità religiosa o al bene morale” (23).
Come Leone XIII, egli riconosce che l’ideale non è sempre realizzabile; è dunque spesso necessario usare tolleranza; ma, nella determinazione di ciò che occorre fare in pratica, lo statista cattolico “[…] nella sua decisione si lascerà guidare dalle conseguenze dannose, che sorgono dalla tolleranza, paragonate con quelle che mediante l’accettazione della formula di tolleranza verranno risparmiate alla Comunità degli Stati” (24).
Le tesi sullo Stato, proprie del cattolicesimo liberale, erano una volta ancora condannate.
Senza esito migliore.
Da Pio XII ai nostri giorni
Le idee sovvertitrici dello stesso ordine naturale, segnatamente il marxismo, guadagnano tutti i giorni terreno.
Ma la Chiesa, come in preda allo scoraggiamento, ha praticamente rinunciato a opporre loro la barriera invalicabile della sua dottrina. Pur affermando la sua volontà di non rinunciare a nulla, essa cerca compromessi con questo mondo, che non vuol più intendere ragione. Ed è con questo stato d’animo che si apre il Vaticano II.
Conclusione
In questo anno 1976, i francesi, costernati, si preoccupano dell’anarchia che regna dovunque, e specialmente del disorientamento della gioventù: anarchia nell’insegnamento, cinema pornografico, incitamento dei minori alla corruzione attraverso la libera vendita dei contraccettivi, aborto libero, ecc.
Ma chi ha compreso che, come aveva predetto Gregorio XVI, tutti questi mali sono conseguenza necessaria del liberalismo?
V. LA DICHIARAZIONE DEL VATICANO II SULLA LIBERTÀ RELIGIOSA
Essa segnerà un mutamento di rotta senza precedenti nella storia della Chiesa.
Foro interno e foro esterno
Non si possono cogliere le contraddizioni tra la dottrina tradizionale e la dichiarazione del Vaticano II se non si distingue bene tra la libertà religiosa in foro interno e la libertà religiosa in foro esterno, distinzione che la dichiarazione ignora.
Circa la libertà religiosa in foro interno, non si coglie nessuna contraddizione tra la dottrina tradizionale e quella esposta dal Concilio. Certamente, davanti a Dio, la libertà religiosa non è un diritto, poiché ogni uomo è tenuto a cercare la verità e ad aderirvi (come ricorda d’altra parte la dichiarazione conciliare). Ma se la posizione che l’uomo assume resta puramente interiore, questo è affare da regolarsi tra lui e Dio solo, e di cui i pubblici poteri non sono tenuti a occuparsi. In particolare, nessuna autorità umana ha il diritto di esercitare pressioni su qualcuno per forzarlo a credere (25).
Ma, come ha sempre insegnato la Chiesa, la libertà religiosa in foro interno non implica affatto la libertà religiosa in foro esterno, vale a dire il diritto di praticare pubblicamente qualsiasi culto, di insegnare qualsiasi errore. La libertà di ognuno in questo campo è limitata infatti dal diritto degli altri a essere protetti contro le idee false, che possono essere tanto pericolose per le anime (e anche per l’uomo nella sua completezza) quanto la droga per i corpi.
La dichiarazione del Vaticano II
Ecco qui il passo essenziale relativo all’argomento di cui trattiamo: “Questo Concilio Vaticano dichiara che la persona umana ha diritto alla libertà religiosa. Questa libertà consiste in ciò, che tutti gli uomini devono essere immuni dalla coercizione da parte sia di singoli individui, sia di gruppi sociali e di qualsivoglia potestà umana, E in modo tale, che in materia religiosa nessuno sia forzato ad agire contro la sua coscienza né sia impedito, entro debiti limiti, ad agire in conformità ad essa privatamente e pubblicamente, da solo o associato ad altri. Inoltre dichiara che il diritto alla libertà religiosa si fonda realmente sulla stessa dignità della persona umana, quale si conosce sia per mezzo della parola di Dio rivelata che tramite la stessa ragione. Questo diritto della persona umana alla libertà religiosa deve essere riconosciuto e sancito come diritto civile nell’ordinamento giuridico della società” (26).
Notiamo anzitutto che non viene fatta alcuna distinzione tra foro interno e foro esterno, a proposito dei quali la dottrina tradizionale non ha la stessa posizione. Privatamente è il foro interno, pubblicamente è il foro esterno.
Notiamo poi che la dichiarazione non fa alcuna differenza tra forzare ad agire e impedire ad agire. Secondo la dottrina tradizionale, lo Stato non può forzare qualcuno ad agire contro la sua coscienza, ma ha il diritto, per contro, in casi determinati, di impedirgli di agire secondo la sua coscienza (27).
Il Concilio pone tuttavia una restrizione: “Entro debiti limiti”, dice. Questa nozione assai vaga sarà precisata più avanti. Lo Stato non ha il diritto d’intervenire se non quando l’ordine pubblico è minacciato: “Si fa quindi ingiuria alla persona umana e allo stesso ordine stabilito da Dio agli uomini, se si nega all’uomo il libero esercizio della religione nella società, una volta rispettato l’ordine pubblico giusto” (28).
Il Concilio non ha voluto parlare solo della religione cattolica, ma di qualunque religione. Infatti, dopo avere spiegato che l’uomo è tenuto per obbligo morale a ricercare la verità e ad aderirvi, il Concilio dichiara: “Per cui il diritto a questa immunità perdura anche in coloro che non soddisfano all’obbligo di cercare la verità e di aderire ad essa” (29).
Il Concilio non condanna totalmente lo Stato cattolico; lo accetta volentieri, ma alla condizione che sia accordata agli adepti delle altre religioni la stessa libertà di culto e di propaganda che ai cattolici: “Se, considerate le circostanze particolari dei popoli, nell’ordinamento giuridico di una società viene attribuito ad una determinata comunità religiosa uno speciale riconoscimento civile, è necessario che nello stesso tempo a tutti i cittadini e a tutte le comunità religiose venga riconosciuto e sia rispettato il diritto alla libertà in materia religiosa” (30).
E più avanti: “Nello stesso tempo i cristiani, come gli altri uomini, godono del diritto civile di non essere impediti di vivere secondo la propria coscienza. Vi è quindi concordia fra la libertà della Chiesa e quella libertà religiosa che deve essere riconosciuta come un diritto a tutti gli uomini e a tutte le comunità e che deve essere sancita nell’ordinamento giuridico” (31).
Tutto questo era la condanna del concordato con la Spagna, stipulato esattamente dodici anni prima, che Pio XII aveva dichiarato essere uno dei migliori!
Poiché molti Padri avevano fatto notare che non si faceva alcun cenno della differenza tra la verità e l’errore, tra la religione vera e le altre, si aggiunse un preambolo che ricordava come l’unica e vera religione fosse la religione cattolica. Ma questa aggiunta non infirma per nulla la tesi sulla libertà religiosa in foro esterno, sostenuta nella dichiarazione.
La libertà religiosa e la Rivelazione. La dignità dell’uomo
Rifiutando sempre ogni distinzione tra foro interno e foro esterno, il Concilio afferma che: “una tale dottrina sulla libertà ha le sue radici nella Rivelazione divina, per cui tanto più dai cristiani va rispettata con sacro impegno” (32).
Come vedremo nel paragrafo seguente, Pio IX, nella Quanta cura, affermava il contrario. Egli diceva, infatti, che la libertà religiosa in foro esterno è “contro la dottrina delle Scritture, della Chiesa e dei Santi Padri” (33).
I passi della Scrittura che condannano la libertà religiosa in foro esterno sono infatti innumerevoli. Per esempio, non è Dio stesso che ha ordinato a Gedeone di andare a rovesciare l’altare di Baal, che apparteneva allo stesso padre suo? (34).
Il Concilio riconosce tuttavia come “la Rivelazione non affermi esplicitamente il diritto all’immunità dalla coercizione esterna in materia religiosa” (35).
Ma allora, in che modo la dottrina conciliare ha la sua fonte nella Rivelazione? Nella maniera seguente (secondo il Concilio): è perché la Rivelazione “fa tuttavia conoscere la dignità della persona umana in tutta la sua ampiezza, mostra il rispetto di Cristo verso la libertà dell’uomo nell’adempimento del dovere di credere alla parola di Dio, e ci insegna lo spirito che i discepoli di un tale Maestro devono assimilare e manifestare in ogni loro azione” (36).
Mi sembra chiaro come questo si applichi alla libertà religiosa in foro interno, ma non vedo il rapporto con la libertà religiosa in foro esterno.
Comunque, la dichiarazione afferma a più riprese che le sue tesi sono fondate sulla nozione della dignità dell’uomo. Siccome gli estensori della dichiarazione traggono conclusioni contrarie a proposizioni infallibilmente definite, bisogna concludere che nel loro ragionamento vi è qualche cosa che non va.
Dov’è l’errore? Alla Chiesa docente tocca dirlo. Con tutto il rispetto dovuto a questa Chiesa docente, e lasciando impregiudicato il suo giudizio, si può pensare che non si sia tenuto sufficientemente conto non solo dei diritti del prossimo, ma anche della dignità di Dio, la quale, in caso di conflitto, ha la meglio sulla dignità dell’uomo.
Conclusione
Questi sono i testi, ed è sufficiente leggerli per constatare che le tesi del Concilio sulla libertà religiosa in foro esterno sono in contraddizione con la dottrina tradizionale.
La dichiarazione ci dice che “questo Concilio Vaticano scruta la tradizione sacra e la dottrina della Chiesa, dalle quali trae nuovi elementi sempre in armonia con quelli già posseduti” (37).
Di fatto la dichiarazione si riferisce diciotto volte a testi pontifici. Perché non si fa alcuna menzione delle encicliche Mirari vos, Quanta cura e del Sillabo?
Guardiamo dunque più da vicino ciò che diceva Pio IX nella Quanta cura.
VI. LA DICHIARAZIONE DEL VATICANO II DI FRONTE ALLE CONDANNE INFALLIBILI DELLA “QUANTA CURA”
La Quanta cura è una delle rarissime encicliche che sia un documento ex cathedra. Poiché i redattori della dichiarazione non ne hanno tenuto alcun conto, credo anzitutto necessario ricordare le condizioni della infallibilità, che ogni teologo e ogni cattolico colto dovrebbe peraltro conoscere!
Le condizioni dell’infallibilità pontificia
Andiamo direttamente alla fonte: la costituzione sulla Chiesa del Vaticano I (1870): “Quindi Noi aderendo fedelmente alla tradizione ricevuta dai primi tempi della fede cristiana, a gloria di Dio nostro Salvatore, ad esaltazione della religione cattolica ed a salute dei popoli cristiani, approvante il sacro Concilio, insegnamo e definiamo essere dogma divinamente rivelato: che il Romano Pontefice, quando parla ex Cathedra, cioè quando, adempiendo l’ufficio di Pastore e di Dottore di tutti i Cristiani, in virtù della sua suprema Autorità apostolica, definisce una dottrina riguardante la fede ed i costumi, da tenersi da tutta la Chiesa: in virtù della divina assistenza a lui promessa nella persona del beato Pietro, è dotato di quella infallibilità, della quale il divino Redentore volle che fosse fornita la sua Chiesa nel definire la dottrina intorno alla fede o ai costumi; e che perciò tali definizioni del Romano Pontefice, per sé stesse, e non già mediante il consenso della Chiesa, sono irreformabili.
“Se poi alcuno oserà, che Dio non lo permetta!, di contraddire a questa Nostra definizione: sia anatema” (38).
Di qui le quattro ben note condizioni della infallibilità pontificia:
1. Il Papa deve parlare come pastore e dottore di tutti i cristiani.
2. Si deve trattare di fede o di costumi.
3. Il Papa deve definire, vale a dire ben precisare le tesi in questione e dire chiaramente da che parte sta la verità.
4. Il Papa deve, almeno implicitamente, obbligare i fedeli ad accettare la sua definizione.
È importante notare che l’infallibilità pontificia non data dal 1870. Come ricorda Pio IX nella sua definizione, si tratta di una “tradizione ricevuta dai primi tempi della fede cristiana“. Pio IX, nel 1870, non ha fatto che mettere fine a una controversia. Non si deve dunque pretendere che i documenti pontifici anteriori al 1870, e che soddisfano le quattro condizioni precisate da Pio IX, non siano coperti dall’infallibilità.
L’infallibilità delle condanne della Quanta cura
Ecco ciò che si può leggere in questa enciclica: “In tanta igitur depravatarum opinionum perversitate, Nos Apostolici Nostri officii memores, ac de sanctissima nostra religione, de sana doctrina, et animarum salute Nobis divinitus commissa, ac de ipsius humanae societatis bono maxime solleciti, Apostolicam Nostram vocem iterum extollere existimavimus.
“Itaque omnes et singulas pravas opiniones ac doctrinas singillatim hisce Litteris commemoratas auctoritate Nostra Apostolica reprobamus, proscribimus atque damnamus, easque ab omnibus catholicae Ecclesiae filiis, veluti reprobatas, proscriptas atque damnatas omnino haberi volumus et mandamus”.
“In tanta perversità di errate opinioni, Noi dunque, giustamente memori del Nostro Apostolico Ufficio, e paternamente solleciti della Nostra santa religione, della sana dottrina e della salute delle anime, a Noi commesse da Dio, e del bene della stessa umana società, abbiamo stimato bene innalzare di nuovo la Nostra Apostolica voce. Pertanto, con la Nostra autorità Apostolica riproviamo, proscriviamo e condanniamo tutte e singole le prave opinioni e dottrine ad una ad una ricordate in questa lettera e vogliamo e comandiamo che tutti i figli della Chiesa cattolica le ritengano come riprovate, proscritte e condannate” (39).
È evidente che le quattro condizioni della infallibilità sono qui riunite:
1. Il Papa precisa di agire in virtù della sua carica e della sua autorità apostolica.
2. Si tratta di costumi. Il Papa si propone di giudicare la moralità delle leggi sulla tolleranza o l’intolleranza promulgate dagli Stati.
3. Come si vedrà, le proposizioni condannate sono enunciate in termini chiari e precisi.
4. Il Papa indica esplicitamente che i fedeli devono accettare le condanne da lui comminate.
Notiamo bene che l’infallibilità non verte su tutto ciò che dice Pio IX nell’enciclica, ma unicamente su “tutte e singole le prave opinioni e dottrine ad una ad una ricordate in questa lettera“. Queste opinioni sono infallibilmente condannate da quando il Papa le ha chiaramente definite.
Tutto ciò appare chiaro a un semplice laico quale sono. Fino a tempi assai recenti, tutti i teologi erano d’accordo nel riconoscere il carattere di infallibilità delle condanne sancite da Pio IX nella Quanta cura (8 dicembre 1864).
Contestandolo, oggi, i difensori della dichiarazione sulla libertà religiosa si rendono conto di mettere in causa tutta la dottrina della infallibilità pontificia, come è stata infallibilmente definita da Pio IX nel 1870?
Tre proposizioni condannate
Le proposizioni condannate dall’enciclica Quanta cura sono numerose. Ne esaminerò solo tre. Si trovano nel passo seguente, dove le ho messe in evidenza chiamandole A, B, C.
“E contro la dottrina delle Scritture, della Chiesa e dei Santi Padri non dubitano di asserire:
“[A.] “La migliore condizione della società è quella, in cui non si riconosce nello Stato il dovere di reprimere con pene stabilite i violatori della religione cattolica, se non in quanto ciò richiede la pubblica quiete”. Da questa idea di governo dello Stato, che è del tutto falsa, non temono di dedurre quell’altra opinione sommamente dannosa alla Chiesa cattolica e alla salute delle anime, chiamata deliramento dal Nostro Predecessore Gregorio XVI di r. m. e cioè: [B.] “la libertà di coscienza e dei culti è diritto proprio di ciascun uomo, [C.] che si deve proclamare con legge in ogni società ben costituita […]”” (40).
Perché non vi sia alcun dubbio possibile sul senso delle proposizioni A, B, C, eccone il testo latino: “[A.] “Optimam esse conditionem societatis, in qua imperio non agnoscitur officium coercendi sancitis poenis violatores catholicae religionis, nisi quatenus pax publica postulet”. [B]
“Libertatem conscientiae et cultum esse proprium cuiuscumque hominis jus, [C] quod lege proclamari, et asseri debet in omni recte constituta societate […]””.
Ora, come risulta dalla prima citazione fatta, il Vaticano II afferma lecito esattamente tutto ciò che condanna Pio IX: 1. Il Vaticano II non riconosce al potere pubblico il dovere di reprimere le violazioni della legge cattolica poiché: “In materia religiosa nessuno […] sia impedito […] ad agire in conformità ad essa [la sua coscienza] […] pubblicamente [foro esterno], da solo o associato ad altri”. 2. Per il Vaticano II, la persona umana ha diritto alla libertà religiosa. 3. Questo diritto della persona umana alla libertà religiosa, nell’ordine giuridico della società deve essere riconosciuto in modo tale che costituisca un diritto civile.
Vi è dunque opposizione tra le condanne pronunciate in forma infallibile da Pio IX e la dichiarazione del Vaticano II, che, dato il suo “carattere pastorale“, “ha evitato di pronunciare in modo straordinario dogmi dotati della nota di infallibilità” (41), come lo stesso Santo Padre ha confermato.
VII. CONCLUSIONI
Lascio al lettore la cura di trarre le conclusioni.
Ma, insieme a migliaia di cattolici costernati, auspico soprattutto che siano tirate dalla nostra santa Madre Chiesa, alla quale intendiamo restare fedeli.
19 marzo 1976
MICHEL MARTIN
NOTE:
(1) Cfr. MICHEL MARTIN, “Vous vous faites Athanase”, in Courrier de Rome, Parigi gennaio 1976, anno decimo, n. 153.
(2) È assolutamente evidente che una semplice dichiarazione del Santo Padre comunicante a mons. Lefèbvre che le decisioni sulla Fraternità Sacerdotale San Pio X sono giustificate dalla “sua opposizione pubblica e persistente al Concilio Vaticano II“, non basterebbe a scagionare questo Concilio dalle accuse di cui è fatto oggetto.
(3) Precisiamo bene, per evitare ogni malinteso, che in questo articolo non si tratterà mai del liberalismo economico. Questa è una teoria alla quale la nostra epoca sa ormai opporre soltanto il socialismo, che è un rimedio peggiore del male.
(4) JACQUES MITTERAND, La politique des Francs-Maçons, Roblot, Parigi 1973.
(5) Eccone un esempio. La dottrina cattolica afferma che l’uomo è stato creato direttamente da Dio. L’evoluzione (che non ha nessun fondamento scientifico serio e che è anche contraddetta dalle ultime scoperte della biologia) afferma al contrario che l’uomo discende dall’animale. Il compromesso proposto da numerosi teologi sta, in proposito, nel dire che certamente l’uomo discende dall’animale ma che Dio è intervenuto direttamente, non solo per la creazione di un’anima immortale, ma anche per il perfezionamento del suo corpo.
(6) LEONE XIII, Enciclica Annum Sacrum, del 25-5-1899, cit. in PIO XI, Enciclica Quas primas, dell’11-12-1925, in La pace interna delle nazioni. Insegnamenti pontifici a cura dei monaci di Solesmes, trad. it., Edizioni Paoline, 2ª ed., Roma 1962, p. 339. Con questa enciclica Pio XI istituisce la festa di Cristo Re.
(7) PIO XI, doc. cit., ibid., p. 340.
(8) LEONE XIII, Enciclica Immortale Dei, dell’1-11-1885, ibid., pp.118 e 119.
(9) Con eccessi di zelo certo condannabili, ma molto meno offensivi nei riguardi di Dio della laicità dello Stato.
Non avendo ben compresa la distinzione dei poteri spirituale e temporale, Costantino, per esempio, convocò lui stesso il Concilio di Nicea e ne fissò il programma. Questo sconfinamento nelle prerogative del Papa non impedirà a Nicea di essere il concilio ecumenico più importante.
(10) La Documentation Catholique, del 20 settembre 1953. La sottolineatura è nostra.
(11) Ibid., del 30 settembre 1946. Le sottolineature sono nostre.
(12) La revoca dell’editto di Nantes da parte di Luigi XIV segnò, certo, un ritorno ai principi della Chiesa cattolica, ma le persecuzioni contro i protestanti, che precedettero e seguirono questa revoca (soprattutto le cosiddette dragonnades), sono contrarie alla dottrina della Chiesa, che non ha mai cessato di insegnare che nessuno può essere forzato a credere.
Queste persecuzioni gettano un’ombra sul regno di Luigi XIV e hanno contribuito alla comparsa, centocinquant’anni dopo, del cattolicesimo liberale.
(13) Il diritto di intervento dello Stato nella nomina dei vescovi ha sempre irritato i cattolici liberali, che rifiutano di capire che, poiché la Chiesa e lo Stato hanno giurisdizione sugli stessi soggetti, devono collaborare. Questi cattolici liberali si fanno delle illusioni sulla libertà assicurata alla Chiesa dalla separazione di Chiesa e Stato. Lo Stato conosce troppo bene l’influenza dei vescovi per rinunciare ad avere diritto di intervento nella loro nomina. Nei paesi come la Francia, in cui la Chiesa è separata dallo Stato, il controllo di quest’ultimo non si esercita in misura minore, anche se in modo non ufficiale, e lo Stato dispone di tutti i mezzi di pressione per far rispettare i suoi veti.
(14) La Chiesa condanna la libertà di coscienza, ma si può evitare una interpretazione erronea di questa condanna soltanto se si distingue bene tra il foro interno e il foro esterno.
L’uomo che rifiuta di aderire alla verità interiormente è colpevole, ma si tratta di un affare da sistemare tra lui e Dio solo. Il potere civile non deve immischiarsene e non può, in particolare, forzare qualcuno a credere. Ma, come abbiamo visto, il potere civile ha il diritto e spesso il dovere di intervenire se si verifica la manifestazione pubblica di errori gravi, anche se quanti propagano questi errori sono interiormente convinti di servire la verità.
(15) GREGORIO XVI, Enciclica Mirari vos, del 15-8-1832, in La pace interna delle nazioni, cit., p. 37. Le sottolineature sono nostre.
(16) PIO IX, Sillabo, Edizioni Paoline, Roma 1961, 2ª ed., pp. 26 e 30. La sottolineatura è nostra.
(17) L’infallibilità del Sillabo è stata contestata. Infatti non è manifesta la realizzazione della quarta condizione dell’infallibilità. Vedi parte VI.
(18) SAN PIO X. Enciclica Vehementer, dell’11-2-1906, in Tutte le encicliche dei Sommi Pontefici, raccolte e annotate da Eucardio Momigliano, Dall’Oglio Editore, 4ª ed., Milano 1959, p. 564.
(19) PIO XI, Enciclica Quas primas, cit., in La pace interna delle nazioni, cit., p. 344.
(20) Ibid., p. 343. Le sottolineature sono nostre. Si distingue talora tra la laicità dello Stato, che è una situazione giuridica, e il laicismo, che sarebbe soltanto una concezione della vita, e si afferma che Pio XI avrebbe avuto in vista solamente il laicismo. Basta leggere correttamente l’enciclica per constatare che Pio XI ha condannato nello stesso tempo il laicismo e la laicità.
Ricordiamo che nella prospettiva della laicità lo Stato non tollera l’insegnamento dell’errore, gli dà gli stessi diritti dell’insegnamento della verità. Non mette in guardia contro l’errore. Lascia che si propaghi, qualunque ne siano le conseguenze per la rovina della società. Il laicismo è quindi l’espressione del liberalismo.
(21) Il Sillon di Marc Sangnier fu condannato nel 1910 da san Pio X. Marc Sangnier si sottomise senza riserva, ma non si coglie bene la differenza tra le idee da lui sostenute prima e dopo la condanna.
(22) Tutti gli anni, alla fine della messa di Cristo Re, avvicino il predicatore e gli chiedo se sa perché Pio XI ha istituito questa festa. Non lo sa. E quando gli dico che lo ha fatto per lottare contro questa peste che infetta la società umana e che è il laicismo, mi guarda con gli occhi spalancati: non capisce. Le mie parole fanno su di lui lo stesso effetto che gli farebbero se gli dicessi che Pio XI ha voluto lottare contro questa peste della società moderna che è il telefono o l’automobile.
(23) PIO XII, Discorso ai partecipanti al V Convegno Nazionale della Unione Giuristi Cattolici Italiani, del 6-12-1953, in Discorsi e Radiomessaggi, vol. XV, p. 487.
(24) Ibid., p. 489.
(25) Certamente questo principio, in passato, è stato spesso trasgredito da re cattolici e anche da esponenti del clero. Ma si tratta di deplorevoli abusi che la Chiesa ha sempre condannato.
(26) CONCILIO ECUMENICO VATICANO II, Dichiarazione sulla libertà religiosa Dignitatis humanae, n. 2. La traduzione è quella del Dizionario del Concilio Ecumenico Vaticano II, Unedi-Unione Editoriale, Roma 1969. In tutte le citazioni di testi conciliari le sottolineature sono nostre.
(27) Per esempio: la diffusione di teorie sovversive, ecc.
(28) CONCILIO ECUMENICO VATICANO II, doc. cit., n. 3.
(29) Ibid., n. 2.
(30) Ibid., n. 6.
(31) Ibid., n. 13.
(32) Ibid., n. 9.
(33) PIO IX, Enciclica Quanta Cura, dell’8-12-1864, Edizioni Paoline, 2ª ed,, Roma 1961, p. 4.
(34) Cfr. Giud. 6, 25.
(35) CONCILIO ECUMENICO VATICANO II, doc. cit., n. 9.
(36) Ibidem.
(37) Ibid., n. 1.
(38) CONCILIO VATICANO I, Costituzione apostolica Pastor aeternus, del 18-7-1870, in La Chiesa. Insegnamenti pontifici a cura dei monaci di Solesmes, trad. it., Edizioni Paoline, Roma 1967, vol. I, pp. 291-292. Le sottolineature sono nostre.
(39) PIO IX, Enciclica Quanta cura, cit., pp. 8-9. Le sottolineature sono nostre.
(40) Ibid., p. 4.
(41) PAOLO VI, Allocuzione dell’udienza generale, del 12-1-1966, in Insegnamenti, vol. 4. p. 700.