Roberto De Mattei, Cristianità n. 28-30 (1977)
Dietro le quinte della Rivoluzione
WALL STREET E LE FONTI FINANZIARIE DEL NAZIONAL-SOCIALISMO
Troppo spesso gli storici sembrano dimenticare le origini anche finanziarie dei movimenti e delle organizzazioni politiche di cui affrontano lo studio. La letteratura così abbondante, e talvolta inutile, fiorita attorno ai due maggiori fenomeni rivoluzionari di questo secolo – il comunismo e il nazional-socialismo -, è estremamente avara di elementi in proposito; e la negligenza appare tanto singolare da essere sospetta, quando tale studio lascia emergere imprevedibili e sconcertanti ascendenze finanziarie convergenti tra realtà politiche e culturali che si vorrebbero irriducibilmente antitetiche. Più esplicitamente: alla nascita e allo sviluppo del nazional-socialismo risultano strettamente legati gli stessi uomini e gruppi finanziari che offrirono il sostegno economico decisivo alla Rivoluzione d’ottobre. Hitler e Lenin furono finanziati dallo stesso «clan» supercapitalista che appoggiò negli anni Trenta il New Deal roosveltiano. L’affermazione è apparentemente sorprendente, ma il recente studio del prof. Antony C. Sutton dedicato a Wall Street and the Rise of Hitler, che completa la trilogia dello stesso studioso sull’argomento, ci offre tutti gli elementi per provarne l’evidenza (1).
IL SUPERCAPITALISMO INVADE L’ECONOMIA DI WEIMAR
Va premesso che al prof. Sutton mancano le grandi linee del quadro che vede lo scontro decisivo della nostra epoca nella lotta tra le forze della Rivoluzione e quelle della Contro-Rivoluzione (2). Ma il pregio della sua opera è costituito dalla serietà documentaria, dal rigore scientifico, dal tono equilibrato, dalla prudenza nel giudizio: qualità assolutamente necessarie per affrontare problemi tanto facilmente fuorvianti. Le pagine di Sutton offrono dunque un contributo circoscritto ma prezioso alla storia «occulta» dell’espansione rivoluzionaria nel nostro secolo.
Nella prima parte del suo volume lo studioso americano dimostra che l’ascesa del nazional-socialismo, il suo consolidamento e il suo stesso imponente sforzo bellico sono strettamente legati all’assistenza economica e tecnologica offerta fin dagli anni Venti da Wall Street alla Repubblica di Weimar. L’entità delle riparazioni di guerra imposte alla Germania sconfitta, costrinse infatti i tedeschi a rivolgersi, per fare fronte ai debiti, alle banche americane.
Wall Street organizzò, non disinteressatamente, i due programmi di prestiti noti sotto i nomi di «piano Dawes» (1924) e «piano Young» (1928). Non a caso, osserva Sutton, i negoziati per la «ricostruzione» videro al tavolo delle trattative, da una parte banchieri come Charles Dawes e Owen Young, notori esponenti dell’Establishment supercapitalista, dall’altra il presidente della Reichsbank Hjalmar Horace Greeley Schacht (3), legato all’Establishment da vincoli familiari, l’uomo che si rivelò il «legame chiave tra l’élite di Wall Street e il circolo più chiuso di Hitler» (4).
Prese avvio così una artificiosa ricostruzione economica che ebbe come risultato l’occupazione dell’economia tedesca da parte del capitale americano e il suo indebitamento nei confronti di Wall Street. Si trattava, in realtà, del tassello di un mosaico più ambizioso, il cui disegno ultimo, scrive Sutton citando l’opera del prof. Quigley, era «nient’altro che la creazione di un sistema mondiale di controllo finanziario in mani private capace di dominare il sistema politico di ogni paese e l’economia globale del mondo» (5).
Dalla corrente di denaro americana affluita in quegli anni in Germania nacquero i cosiddetti «cartelli», come la I.G. Farben (chimica) e le Vereinigte Stahlwerke (acciaio): colossi industriali legati agli interessi americani, con finanzieri americani nei consigli di amministrazione. Alla vigilia della seconda guerra mondiale, il 95 per cento della produzione di esplosivi in Germania dipenderà dalla Farben e dalle Vereinigte Stahlwerke: una produzione, sottolinea Sutton, che ha la sua ragione prima nei prestiti e poi nell’assistenza tecnologica americana.
Accanto a quello dei «cartelli» tedeschi, non va dimenticato il ruolo delle multinazionali americane, come la General Electric, la Standard Oil of New Jersey e la International Telephone and Telegraph (I.T.T.). La General Electric, che controllava in Germania la Allgemeine Elektricitäts Gesellschaft (A.E.G.) c la Osram, negli stessi anni in cui si assicurava il monopolio della produzione elettrica sovietica, offriva il suo contributo determinante allo sviluppo dell’industria elettrica nazional-socialista. La Standard Oil of New Jersey assicurava all’industria nazional-socialista la sua assistenza per la produzione della benzina sintetica, che avrebbe risolto gran parte dei problemi logistici tedeschi durante la guerra; la I.T.T., oltre a una partecipazione di quasi il 30% nell’industria aeronautica Focke-Wolfe, alla quale si devono alcuni tra i migliori aerei da combattimento tedeschi della seconda guerra mondiale, attraverso il banchiere nazional-socialista Kurt von Scröder, che curava gli interessi della multinazionale americana in Germania, finanziò regolarmente, dal 1932 al 1944, lo stesso Himmler e l’ambiente economico legato alle SS.
Merita di essere sottolineato ancora un particolare rivelato da Sutton. Al momento della guerra la produzione elettrotecnica tedesca era concentrata nelle mani di un ristretto numero di imprese tedesche collegate con la General Electric e la I.T.T. Si trattava di un complesso industriale che avrebbe dovuto costituire un obiettivo di eccezionale importanza per i bombardamenti americani. In realtà solo industrie elettrotecniche prive di legami con Wall Street, come la Brown Boveri a Mannheim e la Siemensstadt a Berlino, furono bombardate e subirono pesanti danni. Fino al 1944 gli stabilimenti dell’A.E.G. e delle altre industrie collegate con le multinazionali americane (Sutton riporta statistiche ed esempi, come gli impianti dell’A.E.G. a Koppelsdorf o a Norimberga) furono misteriosamente risparmiati; con l’ovvia conseguenza di un continuo incremento della produzione elettrica tedesca.
«LE FONTI FINANZIARIE DEL NAZIONAL-SOCIALISMO»
Nella seconda parte del suo volume il prof. Sutton offre la prova inconfutabile di un finanziamento anche diretto di Wall Street all’ascesa di Hitler. Attingendo infatti agli archivi del tribunale militare di Norimberga, Sutton ci offre la documentazione fotografica degli ordini di pagamento dei finanziatori di Hitler in occasione delle elezioni del 1933. In tutto, un totale di tre milioni di marchi, sottoscritto da importanti imprese e uomini di affari tedeschi, ma soprattutto dalle multinazionali tedesco-americane, fu versato, attraverso la Delbruck Schickler Bank, al Nationale Treuhand, amministrato da Rudolf Hess e da Hjalmar Schacht. Lo stesso Schacht aveva organizzato lo storico incontro del 20 febbraio 1933, in casa di Goering, allora presidente del Reichstag, in cui Hitler aveva presentato i suoi piani agli esponenti dell’alta finanza tedesca.
La maggiore sovvenzione (circa il 30% del totale) fu versata dall’I.G. Farben: 500 mila marchi, a cui si possono aggiungere altri 200 mila marchi, versamento personale di un suo dirigente, A. Steinke della Bubiag. Vale la pena ricordare che l’I.G. Farben, creata da Herman Schmitz nel 1925 grazie ai prestiti americani, contava tra i suoi dirigenti negli Stati Uniti alcuni tra i più influenti uomini di Wall Street, come Edsel B. Ford della Ford Motor Company, C. E. Mitchell della Federal Reserve Bank di New York e Walter Teagle, della Federal Reserve Bank di New York e della Standard Oil Company of New Jersey, amico e consigliere del presidente Roosevelt. Ma soprattutto va ricordato il nome di Paul Warburg, primo direttore della Federal Reserve Bank di New York e presidente della Bank of Manhattan, che dirigeva la Farben negli Stati Uniti, mentre il fratello Max la dirigeva in Germania (6).
Ma il capitolo più interessante del volume di Sutton è forse quello dedicato a un misterioso volumetto su Le fonti finanziarie del nazional-socialismo (7) apparso in Olanda nel 1933 sotto il nome di Sidney Warburg e poi improvvisamente scomparso dalla circolazione. Sutton è riuscito a rintracciarne una delle sole tre copie apparentemente sopravissute e ce ne offre un articolato riassunto.
Il libro, che si presenta come una sorta di «diario» di un esponente di Wall Street deluso dagli intrighi del mondo supercapitalista, è diviso in tre capitoli, rispettivamente intitolati «1929», «1931» e «1933». Il primo descrive una riunione segreta dell’alta finanza americana svoltasi nel giugno del 1929. Il problema sul tappeto era quello delle pesanti richieste francesi di riparazioni di guerra che ostacolavano la cooperazione economica tra la Repubblica di Weimar e Wall Street. Secondo i presenti, per liberare la Germania dal ricatto economico francese si sarebbe dovuto ricorrere a una rivoluzione, comunista o nazionalista. In una riunione successiva si optò per la seconda soluzione e a un giovane banchiere israelita presente, «Sidney Warburg», venne affidato l’incarico di stabilire un contatto con l’uomo politico prescelto: Adolf Hitler. In cambio dell’appoggio economico al suo movimento, Hitler si sarebbe dovuto impegnare a condurre, una volta giunto al potere, una aggressiva politica di «rivincita» nei confronti della Francia, che l’avrebbe costretta a fare appello alla Gran Bretagna e agli Stati Uniti per un aiuto sul piano internazionale. Hitler avrebbe dovuto comunque rimanere all’oscuro dei motivi ultimi di questo appoggio economico.
Warburg accettò la missione e lasciò New York per la Germania con un passaporto diplomatico e lettere di raccomandazione dei più autorevoli esponenti di Wall Street. Dopo alcune difficoltà iniziali, riuscì a incontrare Hitler a Monaco. Wall Street offrì al leader nazional-socialista, tramite Warburg, dieci milioni di dollari. La somma fu pagata attraverso la banca Mendelsohn di Amsterdam, che emise assegni in marchi incassati da dirigenti nazional-socialisti in dieci diverse città tedesche. Qualche settimana dopo la stampa americana cominciò a interessarsi del nazional-socialismo e il New York Times iniziò a pubblicare regolarmente brevi resoconti sui discorsi di Hitler (8).
Il secondo capitolo del libro descrive un’altra riunione dell’alta finanza, svoltasi nell’ottobre 1931 in seguito a una richiesta di aiuto economico dello stesso Hitler. Le opinioni, questa volta, furono discordanti. Mentre alcuni finanzieri (tra cui Rockefeller) si dimostrarono favorevoli alla nuova sovvenzione, altri, tra cui Montagu Norman della Banca d’Inghilterra, si dissero contrari, sostenendo che Hitler non sarebbe mai riuscito a impadronirsi del potere. Fu stanziato, tuttavia, un nuovo finanziamento e Warburg riprese la strada della Germania.
A Warburg Hitler disse che si presentavano per il suo movimento due possibili vie di conquista del potere: una via rivoluzionaria, che avrebbe avuto bisogno di tre mesi di tempo e sarebbe costata 500 milioni di marchi, e una via legale, che avrebbe richiesto tre anni e 200 milioni di marchi. Wall Street preferì la seconda via, assicurando un finanziamento di 15 milioni di dollari, pagati anche in questo caso da banche diverse, in città diverse, per disperderne ogni traccia.
Il terzo capitolo del libro riferisce l’ultimo incontro di Warburg con Hitler, la notte dell’incendio del Reichstag. Hitler informò il suo interlocutore dello sviluppo del suo partito e chiese un nuovo finanziamento di 7 milioni di dollari, pagato attraverso i consueti canali.
Fin qui il contenuto del volume, che si conclude con note amare sul mondo di Wall Street e sul futuro di Hitler da parte del presunto Sidney Warburg. Dico «presunto» perché, poco dopo l’apparizione del libro, il 24 novembre 1933, una nota sul New York Times smentì categoricamente che l’autore delle pagine fosse Felix Warburg o altro appartenente alla nota famiglia di banchieri tedesco-americani. L’«inesistenza» dell’autore fu, apparentemente, il motivo che portò al ritiro dalla circolazione del volume, la cui storia non è comunque esaurita.
L’apparizione, dopo la guerra, di due libri, Spanischer Sommer (9) di René Sonderegger e Lieber Euere Feinde (10) di Werner Zimmermann, in cui si rievocava il misterioso volumetto, provocò una nuova reazione dei Warburg. James Paul Warburg, figlio di Paul, in un affidavit, in una testimonianza giurata pubblicata in appendice alle Memorie di Franz von Papen (11), pur ammettendo di conoscere il volumetto solo dal resoconto di Sonderegger e Zimmermann, smentì nuovamente l’esistenza dell’autore e il presumibile contenuto.
A questo punto però, anche ammesso che Sidney Warburg non sia mai esistito, il che è probabile, resta la straordinaria attinenza dei particolari rivelati nel libro, certamente sconosciuti al grande pubblico nel 1933, con i risultati delle ricerche di Sutton. Resta, osserva lo stesso Sutton, «l’incontrovertibile evidenza che alcuni Warburg, compreso il padre di James Paul […] furono dirigenti dell’I.G. Farben e si sa che la I.G. Farben ha finanziato Hitler. Se Sidney Warburg è un mito, i direttori della Farben Max e Paul Warburg non lo sono» (12). Resta, infine, il mistero, osserva ancora Sutton, del motivo per cui un ebreo come James Paul Warburg abbia deciso di smentire, a quindici anni della sua apparizione, un libro che afferma di non avere letto, scegliendo come veicolo proprio le memorie di un noto gerarca nazional-socialista come von Papen (13).
Va aggiunto, a titolo informativo, un particolare non ricordato da Sutton. Secondo Sonderegger, la cui testimonianza è confermata da una scrittrice solitamente informata come L. Fry, il volumetto sarebbe stato preso molto sul serio da Dollfuss, che lo avrebbe studiato e annotato allo scopo di pubblicarlo, e proprio a questa intenzione sarebbe legato l’assassinio dello statista austriaco. La signorina Fry ricorda, infine, che l’ambasciatore nazional-socialista a Vienna, von Papen, così stranamente risparmiato al processo di Norimberga, afferma nelle sue Memorie di avere conservato nel suo archivio un esemplare del libro olandese. «Sarà quello – ella si chiede – l’esemplare appartenuto a Dolfuss sul quale egli stesso segnò i suoi appunti?» (14).
LA CHIAVE NELLE ORIGINI «ESOTERICHE» DEL NAZIONALSOCIALISMO?
La lettura del libro di Sutton stabilisce alcune certezze e pone molti interrogativi. Le certezze sono le conclusioni di Sutton: il socialismo sovietico, il New Deal socialista e il nazional-socialismo, versioni diverse del collettivismo moderno, furono finanziati da uno stesso «clan» supercapitalista. Gli interrogativi riguardano le vere origini, la natura e i reali fini di questo «clan», che sembra inadeguato ridurre a una personificazione del «profitto» nei tempi moderni. Lo stesso Sutton, nella prefazione al suo volume, ci offre tuttavia uno spiraglio, scrivendo che il ruolo di questa élite finanziaria dovrebbe essere esaminato in rapporto a un aspetto del nazional-socialismo nei confronti del quale confessa la sua incompetenza: le origini «mistiche» ed «esoteriche». «Un elemento tanto importante – sottolinea Sutton – quanto quello delle origini finanziarie» (15). L’affermazione colpisce proprio perché proveniente da uno scrittore così poco incline, per mentalità, a questo tipo di interessi e offre nuovi e inconsueti stimoli agli storici che vogliano fare luce sul vero volto dei fenomeni rivoluzionari del nostro tempo.
ROBERTO DE MATTEI
Note:
(1) Cfr. ANTONY C. SUTTON, Wall Street and the Rise of Hitler, ’76 Press, Seal Beach (California) 1976. Gli altri due volumi che completano la trilogia sono Wall Street and the Bolshevik Revolution, Arlington House, New York 1974, e Wall Street and Franklin Delano Roosvelt, Arlington House, New York 1975. L’unica segnalazione italiana del volume, a quanto mi risulta, si deve a Luciano Marrocco, Come Wall Street finanziò Hitler, in L’Alternativa, 25-4-1977. Marrocco fa peraltro riferimento a una recensione del volume apparsa nel numero di marzo di quest’anno della rivista australiana The New Times.
(2) Cfr. PLINIO CORRÊA DE OLIVEIRA, Rivoluzione e Contro-Rivoluzione, 3ª ed. it. accresciuta, Cristianità, Piacenza 1977.
(3) Hjalmar Schacht, «massone di alto grado» (cfr. J. FEST, Hitler, tr. it., Rizzoli, Milano 1976, p. 530), fu governatore della Reichsbank dal 1924 al 1929, poi ministro delle finanze di Hitler dal 1936 al 1939, per ritornare infine alla guida della Reichsbank. Fu assolto a Norimberga. Sutton ne ricorda il secondo nome «Horace Greeley», per sottolinearne l’origine americana (la famiglia di Schacht era legata alla Equitable Trust di Wall Street). Può essere interessante ricordare che Horace Greeley, affiliato alla setta degli Illuminati di Baviera, fu uno dei finanziatori del Manifesto di Marx (cfr. tra l’altro J. BORDIOT, Le pouvoir occulte fourrier du communisme, Editions de Chiré, Parigi 1976, pp. 132, 140).
(4) ANTONY C. SUTTON, op. cit., p. 18.
(5) CARROLL QUIGLEY, Tragedy and Hope, The MacMillan Company, New York 1966, p. 324.
(6) Sul ruolo dei Warburg nel finanziamento della Rivoluzione d’Ottobre, cfr. ROBERTO DE MATTEI, Rivoluzione d’Ottobre e supercapitalismo, in Cristianità, Piacenza aprile 1977, anno V, n. 24.
(7) Cfr. SIDNEY WARBURG, De Geldbronnen van Het Nationaal-Socialism (Drie Gesprekken Met Hitler), Van Holkema e Waeendorf, Amsterdam 1933.
(8) Da allora, il New York Times non smise di mostrare particolare «propensione» nei confronti di Hitler. Testimonianza preziosa è un commento all’attentato del 20 luglio e alla congiura antihitleriana, pubblicato il 9 agosto 1944, in cui si fa notare che i dettagli del fatto ricordavano «l’atmosfera del tenebroso mondo del crimine» più che quella che «ci si attenderebbe normalmente nel corpo degli ufficiali di uno stato civile». Per un anno intero, sottolineava il giornale dell’Establishment in tono di rimprovero, alcuni dei più alti ufficiali dell’esercito tedesco si erano occupati di piani «per imprigionare o per uccidere il Capo dello Stato e il Comandante supremo dell’Esercito». Alla fine organizzarono il loro piano «con una bomba, l’arma tipica del mondo dei delinquenti … » (cfr. HANS ROTHFELS, L’opposizione tedesca al nazismo, trad. it., Cappelli, Bologna 1963, p. 256).
(9) Cfr. RENÉ SONDEREGGER, Spanischer Sommer, Aehren Verlag, Affoltern (Svizzera) 1948.
(10) Cfr. WERNER ZIMMERMANN, Lieber Euere Feinde, Frankhauser Verlag, Thielle-Neuchatel 1948.
(11) Cfr. FRANZ VON PAPEN, Memoires, E. P. Dulton, New York 1953 (cfr. per l’affidavit, pp. 593-602).
(12) ANTONY C. SUTTON, op. cit., p. 135.
(13) Ibid., p. 146.
(14) L. FRY, in Woman Voice, 27-8-1953, cit. in H. COSTON, L’alta finanza e le rivoluzioni, trad. it., Edizioni di Ar, Padova 1971, p. 36.
(15) ANTONY. C. SUTTON, op. cit., p. 14.