Giulio Guerra, Cristianità n. 106 (1984)
Dal secolo XIV protettrice della Sardegna
A partire da un evento prodigioso un santuario dal quale il materno ausilio della Vergine si riversa su un popolo che la ricambia con una devozione fedele, e un titolo mariano di risonanza mondiale.
Alla periferia di Cagliari, a pochi chilometri a est delle mura di Castello (1), su di un basso colle prospiciente il mare, sorge il più illustre fra i santuari mariani di tutta la Sardegna; esso custodisce un simulacro miracoloso della Madre di Dio, qui venerata come Patrona Massima della Sardegna: quello della Madonna di Bonaria.
Le origini del santuario e l’arrivo prodigioso del simulacro mariano
Le origini dell’attuale santuario risalgono alla prima metà del secolo XIV, e più precisamente agli anni delle guerre fra pisani e aragonesi per il possesso dell’isola (2). Nel 1323 un esercito aragonese al comando dell’infante don Alfonso conquistava, dopo sette mesi di assedio, la città di Villa di Chiesa, l’odierna Iglesias, e, battuti nuovamente i pisani nella battaglia di Lucocisterna del febbraio 1324, si attestava sul colle di Bonaria con l’intento di porre l’assedio a Cagliari. Quando poi, pochi mesi dopo, la pace stipulata il 10 giugno 1324 fra il re di Aragona Giacomo II e i pisani assicurava a questi ultimi il possesso di Cagliari, don Alfonso inizia sul colle la costruzione di una nuova città, Villa de Bonayre, da contrapporre a Cagliari pisana, città che raggiunge ben presto gli 8 mila abitanti. Quale centro spirituale della nuova città è innalzata, sulla cima del colle, una chiesa dedicata alla SS. Trinità e a Santa Maria, che è eretta a parrocchia e affidata al clero secolare.
Tuttavia, dopo il 24 aprile 1326, data in cui Pisa, nuovamente sconfitta, era costretta a cedere Cagliari al re di Aragona, iniziava una rapida decadenza di Villa di Bonaria: il 25 agosto 1327 la città perdeva la sua autonomia amministrativa e veniva incorporata a Cagliari, mentre le sue case si spopolavano e andavano in rovina, tanto che in breve tempo rimane in piedi solo la chiesa e la abitazione del rettore. Infine, il 17 ottobre 1335 re Alfonso IV d’Aragona dona la chiesa di Bonaria all’ordine della Mercede, un ordine religioso-militare fondato a Barcellona nel 1218 da san Pietro Nolasco con lo scopo di riscattare i cristiani prigionieri degli infedeli; la donazione è confermata il 15 giugno 1336 dal figlio e successore don Pietro IV. L’insediamento dei mercedari sul colle, attuato non senza contrasti nel giro di una decina d’anni, diventa definitivo verso il 1348 alla morte del vecchio rettore (3).
Il 25 marzo 1370 un veliero carico di mercanzie, che stava navigando dalla Spagna verso l’Italia, è colto, al largo delle coste meridionali sarde, da una improvvisa tempesta. Allo scopo di alleggerire la nave, che rischiava di affondare, il comandante ordina di gettare a mare il carico, di cui faceva parte una grossa e pesante cassa di legno recante, sotto la serratura, uno scudo con lo stemma dei padri mercedari. Non appena la cassa viene a contatto con l’acqua la tempesta si calma; e quando i marinai, ripreso il controllo della nave, si apprestavano a rimetterla sulla rotta, si accorgono che, mentre tutto il resto del carico era colato a picco o ridotto in frantumi, la cassa galleggiava intatta sulle onde. Viene subito calata una scialuppa per ricuperarla, ma inutilmente, perché la cassa sfuggiva a essa e si dirigeva verso le coste sarde, seguita dalla nave, finché va ad arenarsi sulla spiaggia ai piedi del colle di Bonaria. Qui sono compiuti diversi tentativi di tirarla in secco, ma nessuno riusciva a smuoverla, finché un bambino presente fra la folla suggerì di chiamare i frati della Mercede: due religiosi scendono dal convento e, riconosciuto sulla cassa lo stemma del proprio ordine, la sollevano, fra lo stupore di tutti, senza alcuna difficoltà e, caricatala sulle spalle, la trasportano fino alla chiesa. Qui la cassa viene aperta e, fra gli evviva e le preghiere dei presenti, ne è tratta fuori una maestosa immagine della Vergine Maria, col Bambino Gesù seduto sul braccio sinistro e una candela accesa nella mano destra: la immagine che, da allora, si venera in quella chiesa col nome di Nostra Signora di Bonaria (4).
La devozione plurisecolare e i miracoli della Madonna di Bonaria
L’arrivo prodigioso della sacra immagine nella chiesa di Bonaria fa immediatamente di quest’ultima una meta di continui pellegrinaggi, mentre si diffondeva la fama di miracoli e di grazie ricevute, specialmente da parte della gente di mare, che – date le circostanze in cui il simulacro era giunto a Bonaria – invocava la Madonna di Bonaria come protettrice contro le tempeste. La fama del simulacro – oltre a essere, probabilmente, alla base di ripetuti tentativi della curia cagliaritana di restituire la chiesa al clero secolare, che non hanno conseguenze durevoli solo grazie ai decisi interventi dei re di Aragona in favore dei mercedari (5) – rende alla fine necessario un accertamento ufficiale, da parte della autorità ecclesiastica, circa la veridicità dei fatti relativi all’arrivo a Bonaria della ormai celebre statua. Nel 1592 l’arcivescovo di Cagliari, mons. Francesco del Vall, istruiva un regolare processo canonico i cui atti originali, in lingua catalana, sono conservati nell’archivio della curia arcivescovile della città.
«Furono interrogati 25 testimoni uomini e donne appartenenti alle diverse categorie sociali e tutti unanimi affermarono che il simulacro era qui giunto nel marzo del 1370 entro una cassa di legno, che era stata buttata in mare per alleggerire il carico da una nave colta dalla tempesta durante il viaggio dalla Spagna in Italia. La cassa si era arenata nella spiaggia davanti al convento ed era stata raccolta dai frati della Mercede e trasportata nella loro Chiesa, perchè nessun altro era riuscito a smuoverla, tanto più che mancando la serratura portava lo stemma dei mercedari. Da allora il simulacro era stato oggetto di particolare devozione, come dimostra il gran numero di ex voto antichissimi e moderni, di cui la chiesa era, si può dire, stipata» (6). Per l’esattezza, al momento del processo canonico, si contavano già 109 pitture ex voto (7) e innumerevoli altre sene aggiunsero successivamente nel corso dei secoli; purtroppo se ne sono conservate ben poche, perché molte sono andate disperse nel secolo scorso a causa dell’abbandono di cui hanno sofferto per molti anni la chiesa e il convento in seguito alle leggi di soppressione degli ordini religiosi (8). Tali ex voto si riferivano, in grande parte, a grazie ricevute da gente di mare, raffigurando navi sfuggite alle tempeste e combattimenti contro i pirati; altri ex voto erano costituiti da modelli di navi e di imbarcazioni, che «se fossero stati tutti conservati ora costituirebbero una magnifica mostra retrospettiva della navigazione» (9); e non mancavano neppure le armi, tanto bianche che da fuoco, compresa una trentina di palle da cannone. Vi erano poi rosari, croci e altri oggetti di devozione, sia in materie preziose, offerti da personaggi d’alto rango, sia in vetro e in altri materiali comuni, offerti dalla umile gente del popolo; e, infine, catene, e ceppi, offerti dagli schiavi riscattati dai mercedari.
Fra i vari ex voto conservati a Bonaria, due in particolare meritano di essere ricordati: uno perché testimonia la diffusione del culto della Madonna di Bonaria al di fuori dell’ambiente sardo o anche più generalmente «ispanico» (10); l’altro a causa di un prodigio per secoli a esso collegato. Il primo è un dipinto in stile tardo-bizantino, raffigurante episodi della vita di Cristo e della Madonna, e proveniente dal Mediterraneo orientale, come testimoniano la foggia degli abiti e le didascalie in lingua greca; il secondo è la famosa «navicella», un modellino di nave a un solo albero scolpito in avorio, con sartie di filo d’argento, degli inizi del secolo XV, dono di una sconosciuta dama forestiera in pellegrinaggio verso la Terra Santa (11). Tale navicella, appesa di fronte all’altare maggiore, è protagonista per più di quattro secoli – fino al 1848, quando è cambiata di posto per la costruzione di un nuovo altare – di un singolare episodio: ruotando intorno alla cordicella con cui era appesa alla volta tramite l’albero, indicava con la prora la direzione dei venti dominanti al largo del golfo di Cagliari; se si provava, per esempio con una canna, a girare la navicella in un senso o nell’altro, questa ritornava, una volta lasciata libera, a orientare la prua nella direzione del vento spirante in mare aperto: simili «esperimenti», alimentati da curiosità e da scetticismo, giungono al limite della profanazione – la navicella era ancora più vicina all’altare maggiore di quanto sia oggi -, tanto che nel 1624 il visitatore generale dei mercedari deve espressamente proibirli. Il prodigio della navicella, riportato come già molto antico nel processo canonico del 1592, è confermato da tutti i successivi storici di Bonaria, i quali narrano anche le disavventure di parecchi scettici che, messisi in mare con la navicella indicante vento contrario, devono precipitosamente ritornare in porto (12).
Frattanto si erano verificati alcuni avvenimenti di portata mondiale, che avrebbero contribuito non poco ad accrescere la diffusione del culto della Madonna di Bonaria: il matrimonio di Ferdinando d’Aragona con Isabella di Castiglia nel 1469, la conquista di Granata nel gennaio del 1492 e la scoperta dell’America nell’ottobre dello stesso anno hanno, fra le altre conseguenze, quella di inserire la Sardegna aragonese nel vasto mondo della hispanidad (13). La tradizionale devozione dei re d’Aragona verso la Madonna di Bonaria non è rinnegata dai loro discendenti divenuti sovrani dell’«impero su cui non tramontava il sole»: così Carlo V, recandosi nel 1535 a Cagliari per organizzare la sua spedizione contro Tunisi, non manca di recarsi al santuario di Bonaria per invocare la protezione della Vergine sulle sue armate (14). Il ruolo svolto da Cagliari e dagli altri porti sardi nelle operazioni militari spagnole del secolo XVI contro l’Africa del Nord (15) e la presenza di marinai sardi e di frati mercedari sulle navi spagnole che attraversavano l’Atlantico fanno diffondere il culto della Madonna di Bonaria in Spagna e in tutti i suoi domini, fino nel Nuovo Mondo. A Siviglia è attestato fino dagli inizi del secolo XVI il culto della Virgen de Los Conquistadores o del Buen Ayre e il 13 marzo 1561 vi sono pubblicate le costituzioni della Cofradía de Nuestra Señora de Buen Ayre de los mercantes de Sevilla; nell’America Latina moltissime località portano ancora oggi nomi derivati da quello di Bonaria, la più importante delle quali è la città di Buenos Aires, capitale dell’Argentina (16).
Dei miracoli e dei prodigi attribuiti alla Madonna di Bonaria ho già ricordato quello legato alla venuta a Cagliari del simulacro; quello, ricorrente per secoli, della «navicella», e le innumerevoli grazie testimoniate dagli ex voto. Ne narrerò ancora due: quello in séguito al quale la statua della Madonna venuta prodigiosamente dal mare è collocata sull’altare maggiore, e un altro, avvenuto nella chiesa precedentemente all’arrivo della immagine oggi venerata come Madonna di Bonaria, e che ha anch’essa come protagonista una statua della Vergine Maria. Questa statua, una Madonna con Bambino di stile bizantino, si trovava, prima del 1370, sull’altare maggiore della chiesa. In quegli anni, uno dei soldati della guarnigione aragonese di Bonaria, accanito giocatore di carte, sfida una sera un suo commilitone a una partita all’ultimo soldo, dopo avere fatto alla Vergine l’empia promessa della metà del guadagno in caso di vittoria e di una pugnalata in caso di sconfitta. All’alba aveva perso tutto; giocatosi il pugnale, perde anche quello, ma prima di consegnarlo al rivale entra in chiesa e colpisce alla gola la statua della Madonna. Dalla ferita sgorga sangue, che macchia il vestito del soldato; quest’ultimo viene preso e incarcerato. Ancora nel secolo XVI si conservava, appeso all’altare, il pugnale. La Madonna del Miracolo, come è subito chiamata l’immagine sacra, resta sull’altare maggiore fino all’arrivo dal mare della statua della Madonna di Bonaria. Questa era stata posta inizialmente nella cappella a destra dell’altare maggiore, dove oggi si trova l’immagine di Nostra Signora del Miracolo, ma la mattina seguente le due statue sono trovate scambiate di posto. Essendosi ripetuto per tre volte il prodigio, le statue sono lasciate nella. collocazione che occupano tuttora (17).
Le vicissitudini del santuario negli anni della Rivoluzione e dell’anticlericalismo
L’afflusso sempre crescente dei pellegrini al santuario di Bonaria rende troppo angusta la antica chiesa trecentesca; così, verso la fine del secolo XVII, si pensa di costruire una chiesa più grande a fianco di quella antica, e il 25 marzo 1704 se ne poneva, con grande solennità, la prima pietra. Ma i lavori non possono continuare a lungo, perché nel 1707 scoppiava la guerra di successione al trono spagnolo, durante la quale la Sardegna subisce diverse occupazioni, guerra che termina soltanto nel 1720, quando il duca di Savoia Vittorio Amedeo II ottiene il dominio dell’isola e il titolo di re di Sardegna.
Toccava ora ai nuovi sovrani proseguire la costruzione, e nel 1722 Felice De Vincenti, regio architetto dell’arsenale di Torino, prepara un nuovo progetto, di cui l’università di Cagliari conserva il modellino in legno, progetto che però non ha séguito, forse perché troppo grandioso, ed è infine sostituito da un altro dovuto all’architetto Giuseppe Viana. Frattanto, nel 1742 veniva eretto il porticato della facciata, e fra il 1757 e il 1764 si innalzavano le venti colonne della navata (18). Ma ormai si avvicinava la fine del secolo, e con essa i tragici avvenimenti di una rivoluzione che avrebbe sconvolto l’Europa.
L’ondata espansionistica della Rivoluzione francese ha come suo primo obiettivo in Italia il regno di Sardegna, e non solo la sua parte continentale, direttamente confinante con la Francia, ma anche l’isola, per la sua vicinanza alla Corsica, che, ceduta dai genovesi al re di Francia nel 1768, era stata unilateralmente annessa e dichiarata dipartimento francese dalla Assemblea Nazionale del 1789. Così, nel gennaio del 1793, una flotta francese compare davanti a Cagliari e cannoneggia la città, tentando uno sbarco. La risposta dei difensori è meravigliosa: «i cannonieri delle batterie a mare tolsero il velo al simulacro della Madonna e se ne fecero vessillo issandolo sulla dàrsena. Dopo la vittoria vollero celebrare una solenne funzione di ringraziamento nel Santuario» (19).
Ma la Rivoluzione avanzava non solo con la forza delle armi, ma anche con la propaganda delle idee: nel luglio del 1795 scoppiano a Cagliari dei tumulti con l’uccisione di alcuni notabili locali, e stavolta la funzione fatta celebrare a Bonaria dal vicerè è di riparazione, non più di giubilo. Intanto, giorno dopo giorno. anno dopo anno, l’incalzare della Rivoluzione abbatteva nell’Italia continentale le istituzioni dell’Antico Regime: il 16 ottobre 1797 cessava di esistere la repubblica di Venezia e l’ultimo console veneto a Cagliari deponeva ai piedi della Madonna di Bonaria il vessillo con il leone di san Marco; il 3 marzo 1799 sbarcava a Cagliari, esule da Torino occupata, re Carlo Emanuele IV, e il giorno seguente si recava con la regina e la corte a Bonaria per ringraziare la Madonna del felice viaggio compiuto: lo stesso fa suo fratello e successore Vittorio Emanuele I nel febbraio del 1806, quando, caduta definitivamente in mano a Napoleone tutta l’Italia continentale, raggiunge Cagliari con la regina e le figlie da Napoli, dove aveva per quattro anni accarezzato il sogno di recuperare in breve tempo Piemonte e Savoia; infine, il 3 febbraio 1807 la colonia ragusea di Cagliari celebrava per l’ultima volta nel santuario di Bonaria la festa di san Biagio, patrono della repubblica di Ragusa, caduta in mano ai francesi.
Dopo tante cerimonie velate di mestizia, finalmente il santuario ne vede svolgersi una lieta: il 14 novembre 1812 nasce a Cagliari la principessa Maria Cristina, quartogenita di re Vittorio Emanuele I, e, pochi giorni dopo la nascita, la regina, seguendo l’uso plurisecolare delle madri cagliaritane, si recava con la neonata a Bonaria per porla sotto la protezione della Madonna: e la preghiera è esaudita, perché la principessa, divenuta poi regina delle Due Sicilie, nel 1853, diciassette anni dopo la morte, è proclamata venerabile da Papa Pio IX.
Intanto la effimera fortuna di Napoleone volgeva al termine e nel 1814 il re poteva fare ritorno a Torino. Prima di lasciare Cagliari la regina vuole donare al simulacro della Madonna di Bonaria due corone d’oro, che si conservano tuttora (20). Sembrava che la Restaurazione dovesse segnare l’inizio di un’era di pace sociale e di rinnovato fervore religioso. Invece la Rivoluzione, sconfitta sul piano militare, continuava a covare sotto la cenere, per risultare infine vittoriosa sul piano politico, prima nel regno di Sardegna e poi in tutta Italia.
Le prime avvisaglie si erano avute già durante il periodo della Restaurazione. Nel 1827 l’Amicizia Cattolica – l’organizzazione contro-rivoluzionaria fondata a Torino dal venerabile Pio Brunone Lanteri – veniva fatta sciogliere, cedendo alle pressioni e ai ricatti di regalisti e di liberali, da re Carlo Felice, che pure aveva in passato generosamente finanziato l’associazione e amava definirsi «Primo Amico cattolico» (21). Contemporaneamente a Cagliari, dai fondi che la pietà popolare donava al santuario per la costruzione della nuova chiesa, si prelevavano prestiti per opere pubbliche, e nel 1832, nonostante le proteste dei mercedari e della popolazione, la intera somma era devoluta all’ospizio «Carlo Felice», in evidente omaggio alla giansenistica e ottocentesca distinzione fra elemosine «utili» – quelle per «opere sociali» – ed elemosine «inutili» – quello per il culto e la gloria di Dio -, distinzione che ricorda tanto la protesta di Giuda di fronte al gesto di Maria di Betania: «perché non si è venduto quest’unguento per trecento danari, e non lo si è dato ai poveri?» (22).
Quasi per riparare al male fatto, fra il 1848 e il 1849 viene completamente rifatto, in stile neoclassico, l’altare maggiore, non si sa con quale guadagno per l’arte (23). Ma il 1848 è anche l’anno della Statuto, che ha come conseguenza l’ascesa al governo dei liberali, che mettono mano alla progressiva laicizzazione dello Stato sabaudo, prima uguagliando e poi abbondantemente superando le legislazioni giurisdizionalistiche di altri Stati italiani (24). La situazione peggiora ulteriormente dopo il 1860, «quando Torino si vide venire i legisti della scuola giannoniana» (25): le soppressioni di ordini religiosi e relativi indemaniamenti si moltiplicano giorno dopo giorno, e nel giugno del 1866 i mercedari ricevevano l’ordine di lasciare il convento e di chiudere la chiesa. La protesta dei cagliaritani è unanime, e in questa occasione si vede la protezione della Madonna verso il proprio santuario: di fronte alla reazione della opinione pubblica gli stessi uffici incaricati del provvedimento non osano applicare la legge fino in fondo e alla fine ottengono dal ministero la revoca dell’ordine di chiusura della chiesa e l’assegnazione di tre religiosi per le necessità del culto; quanto al convento, viene diviso fra il comune di Cagliari e il demanio, che affitta la sua parte tollerandovi anche una bettola di infimo ordine.
Tutta la storia del santuario nella seconda metà del secolo scorso si può riassumere come un continuo «braccio di ferro» fra i fedeli che volevano rendere omaggio alla Madonna di Bonaria e le autorità statali che cercavano di impedirlo. Così, quando l’8 dicembre 1868 si costituisce spontaneamente a Cagliari un comitato per le celebrazioni del quinto centenario dell’arrivo del simulacro, si ha per tutta risposta, proprio il 24 marzo dell’anno successivo, il sequestro degli ornamenti più preziosi, che sono chiusi in una cassetta per trasportarli alla chetichella a Firenze, allora capitale. Solo il rifiuto del comandante della nave di imbarcare la cassetta senza regolare consegna con descrizione e stima del contenuto ne impedisce l’allontanamento da Cagliari: ma per la restituzione al santuario occorre una petizione popolare al re e al ministro guardasigilli, appoggiata da una delibera del consiglio comunale di Cagliari. Lo scalpore che segue all’affronto contribuisce, se non altro, ad appianare le difficoltà, e il 24 aprile 1870, domenica in Albis, avviene la solenne incoronazione del simulacro con due corone d’oro che erano state benedette personalmente da Papa Pio IX il giorno di Pasqua dello stesso anno (26).
Patrona Massima della Sardegna
Agli inizi del nostro secolo il colle di Bonaria si presentava agli occhi dei pellegrini in uno stato di miserevole abbandono. Se fra il 1875 e il 1895 erano stati fatti lavori di ampliamento e di restauro del santuario, con l’aggiunta di una settima campata e l’innalzamento di una facciata neogotica in cui era stato inserito il portale trecentesco proveniente dalla distrutta chiesa di San Francesco in Stampace, accanto a esso si levavano, fra ciuffi di erbacee, gli imponenti muri e colonne della chiesa incompiuta. Tuttavia nel convento – la cui ala demaniale era stata riscattata fin dal 1876 dalla archidiocesi di Cagliari – si stava lentamente e faticosamente ricostituendo la comunità mercedaria, e nel 1907 tutto l’episcopato sardo chiedeva a Papa san Pio X la elevazione della Madonna di Bonaria a Patrona Massima della Sardegna. Un decreto pontificio del 13 settembre 1907 esaudisce la richiesta, e dal 23 al 30 aprile dell’anno successivo sono celebrate le solenni feste con l’intervento del legato pontificio card. Pietro Maffi, arcivescovo di Pisa (27). In tale circostanza viene rilanciata la proposta – che era parsa irrealizzabile solo sei anni prima – di riprendere i lavori della chiesa maggiore, proposta che suscita subito l’entusiasmo di tutti i sardi. I lavori iniziano il 25 aprile 1910 e, pure con la lunga interruzione dovuta alla prima guerra mondiale, arrivano quasi a completezza, così che il 22 aprile 1926 la chiesa, insignita da Papa Pio XI del titolo di basilica minore, può essere consacrata al culto dal card. Gaetano Bisleti, mentre il 4 novembre 1930 una cappella del transetto era consacrata dall’arcivescovo mons. Piovella a sacrario dei caduti cagliaritani della Grande Guerra.
La seconda guerra mondiale si abbatte su Cagliari con tutta la sua violenza: la città è ripetutamente bombardata, e nel 1943 le bombe colpiscono anche il colle di Bonaria, provocando, nella basilica, la caduta delle decorazioni della volta e degli affreschi della cupola; la statua della Madonna di Bonaria trova riparo in una delle «grotte» del vicino cimitero (28).
Dopo la guerra viene decisa non solo la riparazione dei danni del bombardamento, ma anche un restauro integrale del santuario, il completamento della facciata della basilica, e, la sistemazione di tutta la zona circostante: i lavori si rivelano assai lunghi e sono completati solo nel 1960. Nel 1950 è terminata la risistemazione dell’interno della basilica e nel 1954 è innalzata la nuova facciata in calcare bianco. Nel 1958, mentre erano ancora in corso i lavori di restauro del santuario, è solennemente celebrato il cinquantenario della proclamazione della Madonna di Bonaria a Patrona Massima della Sardegna: in quella occasione il Santo Padre Pio XII indirizza al popolo sardo un radiomessaggio in cui, invitando gli isolani e restare fedeli alle proprie tradizioni religiose, definiva la Sardegna «eredità e dominio di Maria» (29). Alla fine del 1960 sono ultimati i restauri del santuario: la facciata di cemento del 1895 era stata sostituita con una della stessa pietra di quella della basilica, l’interno ripulito dalle pesanti decorazioni ottocentesche e rinnovato l’altare maggiore, che veniva benedetto il 7 dicembre 1960 dall’arcivescovo mons. Paolo Botto alla presenza del maestro generale dei mercedari; il giorno seguente, festa della Immacolata, il simulacro viene trasportato in processione dalla basilica al santuario, nel corso di una solenne cerimonia durante la quale l’arcivescovo legge la lettera inviata da Sua Santità Giovanni XXIII (30). L’ultimo tocco alla sistemazione definitiva del colle di Bonaria lo dava il comune di Cagliari, che il 7 luglio 1963 poneva la prima pietra della scalinata che collega il piazzale antistante la basilica e il santuario al sottostante viale Diaz e al mare.
Bonaria oggi, nell’epoca della secolarizzazione
A chi, magari seguendo gli itinerari consigliati dalle agenzie turistiche, visiti oggi la Sardegna, tutto quanto ho scritto potrà apparire nient’altro che il ricordo, di un passato irrimediabilmente perduto, anche se non troppo lontano nel tempo. Lo sfruttamento turistico delle bellezze naturali dell’isola ha trasformato la Sardegna in un «paradiso di vacanze» per quegli individui dalle tasche piene e dall’anima vuota che, anche se brontolano contro la Rivoluzione quando minaccia i loro portafogli, «la favoriscono […] nella vita familiare, sulle spiagge, alle piscine e negli altri divertimenti» (31).
La difesa delle peculiarità etnico-linguistiche dei popoli sardi è usurpata da un «autonomismo» sinistroide e terzomondistico, longa manus dei peggiori socialismi mediterranei – come quello libico di Gheddafi e quello maltese di Mintoff -, e non del tutto immune da sospetti di collusione col terrorismo di Barbagia Rossa. Quando nel 1970 il Sommo Pontefice Paolo VI si reca a Cagliari per celebrare a Bonaria il sesto centenario del prodigioso arrivo del simulacro, riceve, accanto al devoto omaggio di centinaia di migliaia di sardi giunti da tutta l’isola, dal continente e dall’estero, anche l’oltraggio sacrilego delle sassate di una banda di «sessantottari» ultracomunisti, due volte indegni di essere chiamati «sardi», avendo rinnegato non solo la fede cristiana, ma addirittura il senso «pagano» della sacralità dell’ospite, così radicato nell’anima sarda.
Tutto è perduto, allora? Affermare ciò sarebbe indice di quel pessimismo troppo umano che è parente prossimo della disperazione. Abbiamo visto il ruolo svolto dal culto della Madonna di Bonaria nei secolari legami fra Sardegna e Spagna. Ebbene, «nel marzo 1937, in vista della spiaggia di S. Vero Milis, fu rinvenuta galleggiante sul mare una statua della Madonna col bambino in braccio. Si ha ragione di ritenere che la statua, che porta tracce di bruciature, provenga dalla Spagna, tolta da qualche Chiesa incendiata e buttata in mare durante l’imperversare della guerra civile, che vide scatenarsi tanta furia selvaggia contro la Chiesa e i religiosi» (32). Più che «profuga», quella Madonna sembrava «ambasciatrice», latrice di una richiesta di aiuto. L’aiuto si dà e in Spagna la Rivoluzione viene, se non sconfitta, almeno arginata (33). Ma anche sconfiggerla sarebbe stato possibile, se solo si fosse seguita, dopo la vittoria militare, la via indicata nel messaggio che la Madre di Dio e della Chiesa aveva affidato, circa vent’anni prima, ai tre pastorelli di Fatima. Tale messaggio si conclude con una promessa, che, al di là dell’umanamente prevedibile, è ragione di conforto e di incoraggiamento a non desistere dalla lotta contro la Rivoluzione: «Infine, il mio Cuore Immacolato trionferà» (34).
Giulio Guerra
Note
(1) Si chiama Castello – traduzione del nome sardo dell’intera città, Casteddu – il rione medievale di Cagliari, delimitato dalle mura pisane dei secoli XIII-XIV, che sorge su uno sperone di roccia sovrastante il porto, e che costituisce il centro storico, e direi quasi la «acropoli» della città, oggi ampiamente diffusa nella pianura e sulle colline circostanti.
(2) Sulla storia sarda di quegli anni cfr. ANTONIO ARRIBAS PALAU, La conquista de Cerdeña por Jaime II de Aragón, Instituto Español de Estudio Mediterráneo, Barcellona 1952.
(3) Cfr. PIETRO LEO e PADRE GIUSEPPE MELCHIONNA O. D. M., Santuario di N.S. di Bonaria. Società Poligrafica Sarda, Cagliari 1970, pp. 7-17.
(4) Cfr. BRUNELLO MASSAZZA, Il Santuario e la Basilica di N.S. di Bonaria, Edizioni del Santuario, Cagliari s.d., pp. 6-8.
(5) Cfr. P. LEO e PADRE G. MELCHIONNA O. D. M., op. cit., pp. 98-99.
(6) Ibid., pp. 19-20
(7) Cfr. ibid., p. 24.
(8) Cfr. ibid., p. 6 1.
(9) Ibid., p. 30.
(10) Cioè relativo alla più vasta comunità dei popoli allora soggetti alla corona di Spagna. Cfr., a questo proposito, FRANCISCO ELÍAS DE TEJADA, La monarchia tradizionale, tr. it. riv. e accr., Dell’Albero, Torino 1966.
(11) Cfr. P. LEO e PADRE G. MELCHIONNA O. D. M., op. cit., pp. 30-32.
(12) Cfr. ibid., pp. 144-149.
(13) Cfr. nota 10 e F. ELIÁS DE TEJADA, Cerdeña hispánica, Montejurra, Siviglia 1960.
(14) Cfr. P. LEO e PADRE G. MELCHIONNA O. D. M., op. cit., p. 23.
(15) Cfr. FERNAND BRAUDEL, Civiltà e imperi del Mediterraneo nell’età di Filippo II, tr. it., 2ª ed., Einaudi, Torino 1976, vol. I., pp. 146- 148; e GIANCARLO SORGIA, La politica nord-africana di Carlo V, Cedam, Padova 1963.
(16) Cfr. P. LEO e PADRE G. MELCHIONNA O. D. M., op. cit., pp. 37-43.
(17) Cfr. ibid., pp. 168-170.
(18) Cfr. ibid., pp. 50-54.
(19) Ibid., p. 57.
(20) Cfr. ibid., pp. 57-58.
(21) Cfr. LÉON CRISTIANI, Una Croce per Napoleone. Vita di P. Bruno Lanteri 1759-1830, Fondatore della Congregazione degli Oblati di Maria Vergine, tr. it., Procura dei P.P. Oblati di M.V., Roma 1980, pp. 148-149.
(22) Gv., 12, 5.
(23) Cfr. P. LEO e PADRE G. MELCHIONNA O. D. M., op. cit., p. 60.
(24) Cfr. a tale proposito L’Episcopato e la Rivoluzione in Italia ossia Atti Collettivi dei Vescovi italiani, preceduti da quelli del Sommo Pontefice Pio IX contro le leggi e i fatti della Rivoluzione, offerti a San Pietro in occasione del diciottesimo centenario del glorioso suo martirio, Tip. vescovile di Gio. Issoglio e C., Mondovì 1867.
(25) Ibid., Discorso d’introduzione, Articolo Sesto, §43, p. XLII.
(26) Cfr. P. LEO e PADRE G. MELCHIONNA O. D. M., op. cit., pp. 61-64.
(27) Cfr. ibid., pp. 69-70. L’arcivescovo di Pisa ebbe nel Medioevo giurisdizione ecclesiastica sull’isola, e porta ancora oggi il titolo di Primate delle isole di Corsica e Sardegna e in quelle Legato nato.
(28) Cfr. ibid., pp. 70-72. Le «grotte» del cimitero di Bonaria – che sorge sull’area di una necropoli punica del IV secolo a.C. – sono i vani di antiche tombe scavale nella roccia.
(29) Il testo del radiomessaggio è riportato, integralmente in P. LEO e PADRE G. MELCHIONNA O. D. M., op. cit., pp. 77-82.
(30) Riprodotta anastaticamente in P. LEO e PADRE G. MELCHIONNA O. D. M., op. cit., pp. 84-87.
(31) PLINIO CORRÊA DE OLIVEIRA, Rivoluzione e Contro-Rivoluzione, 3ª ed. it. accresciuta, Cristianità, Piacenza 1977, n. 157.
(32) P. LEO e PADRE G. MELCHIONNA O. D. M., op. cit., pp. 34-35.
(33) Non è questa la occasione per una analisi delle cause del fallimento politico del «franchismo». Più in generale, per i rapporti fra «fascismi» e Contro-Rivoluzione, cfr. GIOVANNI CANTONI, L’Italia tra Rivoluzione e Contro-Rivoluzione, saggio introduttivo a P. CORRÊA DE OLIVEIRA, op. cit., pp. 19-29.
(34) Cfr. ANTONIO AUGUSTO BORELLI MACHADO, Le apparizioni e il messaggio di Fatima secondo i manoscritti di suor Lucia, 4ª ed. it., Cristianità. Piacenza 1982.