di Domenico Airoma
Dunque, per il nostro Parlamento c’è l’emergenza fascista.
Un famoso giurista, non sospetto di simpatie con il regime mussoliniano, era solito avvertire che «se una legge non è necessaria, è necessario non farla».
La situazione, per certo, dev’essere allarmante se il nostro legislatore ritiene di sanzionare con la reclusione da sei mesi a due anni «chiunque propaganda i contenuti propri del partito fascista o del partito nazionalsocialista tedesco, ovvero dei relativi metodi sovversivi del sistema democratico, anche attraverso la produzione, distribuzione, diffusione o vendita di beni raffiguranti persone, immagini o simboli a essi chiaramente riferiti, ovvero ne fa comunque propaganda richiamandone pubblicamente la simbologia o la gestualità».
Interroghiamoci, allora, sui possibili indicatori di una tale emergenza.
C’è un gruppo organizzato di persone nel nostro Paese che sta compiendo atti diretti alla costituzione di una formazione politico-partitica chiaramente riferita ai «[…] contenuti propri del partito fascista o del partito nazionalsocialista tedesco»? Qualcuno potrebbe far rilevare che, se anche fosse vero, vi è già una specifica disposizione di legge che fulmina chi intende ricostituire il partito un tempo capeggiato dal Duce. E tuttavia si potrebbe ribattere che s’intende, con tale nuova fattispecie incriminatrice, colpire qualsiasi condotta preparatoria di un siffatto progetto politico. Il fatto è, però, che le cronache non riferiscono di una dilagante propaganda esplicitamente volta a riproporre sulla scena politica il partito fascista.
Allora, non deve essere questa l’emergenza.
Un altro indicatore potrebbe ricavarsi dallo scenario politico internazionale; si potrebbe cioè dire che in Europa o nel resto del mondo vi sia un significativo, esteso e diffuso permanere dell’ideologia fascista o che tale ideologia produca ancora oppressione e sofferenza. Si potrebbe; ma i fatti ancora una volta non sembrano supportare l’allarme del parlamento italiano.
Quindi, neppure questa è l’emergenza.
Vi è, infine, un ultimo indicatore, rappresentato dalla «[…] produzione, distribuzione, diffusione o vendita di beni raffiguranti persone, immagini o simboli» chiaramente riferibili al partito fascista. Dobbiamo, cioè, ritenere che il mercato dei portachiavi con il volto del Duce o degli scritti del Ventennio sia in allarmante ascesa, tanto da richiedere un intervento immediato ed una sanzione esemplare.
A meno che…
A meno che non s’intenda incominciare a introdurre nel nostro ordinamento giuridico, in modo surrettizio e utilizzando strumentalmente un terreno – quello della propaganda fascista – che nessuno oserebbe contestare, il principio della incriminabilità delle opinioni dissenzienti rispetto al pensiero dominante; tentativo non riuscito con la proposta che ha cercato d’introdurre il reato di omofobia dai contorni evanescenti, ma dall’obiettivo sin troppo chiaro: colpire un modo di essere e di pensare più che condotte violente e prevaricatorie.
Eppure…
Eppure a voler utilizzare quegl’indicatori che non servono a giustificare l’esistenza di un’emergenza fascista, ci si accorgerebbe che, se un’emergenza c’è, è quella della persistenza dell’ideologia comunista, un’ideologia che è tutt’altro che spenta sia nella sua versione statuale sia nella sua eredità nichilistica.
Guardando il globo terracqueo, infatti, tuttora il rosso comunista affligge varie centinaia di milioni di uomini: dalla Cina a Cuba, dalla Corea del Nord al Venezuela.
Guardando al nostro continente e al nostro Paese, tocca ancora vedere non solo celebrato il simbolo della falce e martello, ma tuttora utilizzato da formazioni partitiche che si presentano alle competizioni elettorali: un simbolo nel cui nome sono state assassinate varie decine di milioni di uomini in varie parti del mondo e che ha segnato tragicamente la storia di molte nazioni, al pari se non di più del nazionalsocialismo tedesco.
E tocca ancora assistere al proliferare di centri cosiddetti “sociali” dove l’ideologia comunista viene spesso vissuta come violenza fine a sé stessa e distruzione di tutto ciò che residua di una società a misura d’uomo.
Nonostante tutto ciò, vi è chi sembra più preoccupato di qualche saluto romano: che, per carità, non è una pratica raccomandabile, ma pur essa trova già sanzione nel nostro ordinamento. Mentre salutiamo lo spegnersi della civiltà occidentale, dei suoi principi e delle sue libertà.