Uno degli elementi più peculiari, ma anche più impressionanti, della pedagogia tesa alla educazione dell’“uomo nuovo” comunista è l’utilizzazione di un sentimento come l’odio, antico come l’“uomo vecchio”, ma considerato da ogni cultura e da ogni civiltà rappresentativo della parte oscura dell’essere umano stesso. È una utilizzazione programmatica che deriva ‒ come ha felicemente intuito monsignor Fernando Ocáriz ‒ da una sorta di “necessità” ideologica: in presenza di una società “sfigurata” dall’opera secolare del cristianesimo, che aveva utilizzato come suo motore l’amore per il prossimo fondato sull’amore verso Dio, il marxismo non poteva, per diametrum e per necessità dialettica, che assumere come suo motore l’odio.
La “catastrofe antropologica” ‒ come la chiama mons. Justo Mullor García (in Luigi Accattoli, E finalmente il Pontefice vola in Lituania, in Corriere della Sera, 4-9-1993) ‒ che ne è conseguita poteva pre-vedersi. Chi aveva occhi limpidi lo aveva infatti pre-visto per tempo dalla tematica dichiarazione “musicale” che Vladimir Il’ič Ul’janov dello Lenin (1870-1924) fa scrivere sull’organo ufficiale del partito comunista sovietico Pravda comunicando esplicitamente e con largo anticipo (era il 31 agosto 1918) il leit motiv della colonna sonora che avrebbe accompagnato la costruzione del “mondo nuovo”: «Il nostro inno sarà […] l’inno dell’odio» (cit. in Ambrogio Dehò, Il comunismo alla resa dopo 60 anni, Edizioni Domenicane Italiane, Napoli 1979, p. 60).
In un ordine segreto inviato agli ufficiali comunisti della provincia di Penza nel 1918, durante la campagna di confisca dei beni dei kulak, cioè i piccoli proprietari terrieri, e definita “dekulakizzazione”, lo stesso Lenin afferma: «Compagni! L’insurrezione dei cinque distretti dei kulaki deve essere spietatamente repressa. L’interesse dell’intera rivoluzione lo richiede perché ora “l’ultima decisiva battaglia” coi kulaki è in corso dappertutto. Bisogna dare l’esempio.
- Impiccare (impiccate senz’ombra di dubbio, cosicché la gente possa vedere) non meno di cento kulaki conosciuti, uomini ricchi, sanguisughe.
[…] Telegrafate la conferma della ricevuta e dell’esecuzione.
Vostro Lenin» (Richard Pipes)
L’odio ebbe subito anche i suoi cantori, come Dem’jan Bednyj [pseudonimo di Efim Alekseevič Pridvorov (1883-1945)], «[…] il poeta favorito del nuovo regime, uno dei pochi scrittori di origine contadina […]. Era un bolscevico di vecchia data e scriveva poemi propagandistici, costituiti da slogan politici messi in rima, che esortavano gli operai a odiare e a uccidere» (Pipes). Ecco un suo illuminante componimento, nel quale «[…] invitava i soldati bianchi a massacrare i loro ufficiali:
Uccidete i parassiti! Uccideteli tutti fino all’ultimo!
E avendo eliminato i dannati parassiti
Liberati dal giogo dell’orda altezzosa
Uno per uno, a reggimenti, a squadroni,
Entrate nei nostri ranghi fraterni!» (Pipes)
Non per niente il rivoluzionario Lev Davidovič Trockij (Leon David Bronštein [1879-1940]) lo considerava un vero professionista e lo «[…] magnificava […] per questo motivo: “[Non c’è] nulla di dilettantesco nella sua rabbia e nel suo odio. Odia con l’odio ben fondato del partito più rivoluzionario del mondo!» (Pipes).
Bibliografia
Fernando Ocáriz, Il marxismo ideologia della rivoluzione, Ares, Milano 1977.
Richard Pipes, Comunismo, trad. it., 2a ed. it., Rizzoli, Milano 2003.
Idem, Il regime bolscevico. Dal Terrore rosso alla morte di Lenin, trad. it., Mondadori, Milano 1999.