Un popolo senza eroi sarebbe, semplicemente … infelice.
di Gaetano Tursi
L’eco planetaria – per taluni sorprendentemente spropositata – che ha suscitato la morte di Diego Armando Maradona ha scatenato l’usuale sequela di stucchevoli dispute sulla adeguatezza dell’“uomo” al “campione”, sulla distanza tra la “realtà” e la “leggenda”, sul contrasto tra i suoi (innumerevoli) “vizi” ed il suo (indiscutibile) “talento”, per non dire delle sue, invero equivoche, amicizie napoletane e, ancora di più, della imbarazzante infatuazione per simpatie politiche non proprio commendevoli – seppure non troppo distanti dall’immaginario di certa vulgata “neo-terzomondista”, oggi drammaticamente in auge.
Queste dispute, però, nel bene e nel male, le lascio ben volentieri ad altri; non mi interessa, qui, aderire ad una “letteratura edificante” o, al contrario, ad una lamentazione moralistica. «Chi scrive per convincere, mente sempre», scriveva Nicolas Gomez Davila (1913-1994), ed io preferisco far vincere la verità, innanzitutto quella dei fatti.
In quanto accaduto, mi interessa, qui, solo “il fatto” che sia accaduto un qualcosa di eccezionale, «sorprendentemente spropositato», si diceva.
Nel merito, facciamo pure finta che abbia ragione Giuliano Ferrara, il quale, su Il Foglio, ha scritto: «fu un Byron di Fuorigrotta […] ora infuriano i toni e i tratti del santino, e risulta eterno, il migliore di sempre, quando la vera lode è che riuscì perfettamente a essere il peggiore di sempre». Forse ha ragione. Forse. Forse varrebbe la pena chiedersi perché questo nostro mondo ne ha fatto un santino, ma questo significherebbe fare autogol.
Quel che è certo, però – e solo questo mi interessa, qui ed ora – è che aveva torto Bertolt Brecht, il drammaturgo marxista, quando scriveva: «Beati i popoli che non hanno bisogno di eroi».
E’ vero, infatti, esattamente il contrario. Un popolo senza eroi sarebbe, semplicemente … infelice. E presto smetterebbe di essere popolo, per diventare quella moltitudine di eguali, senza vizi e senza virtù, senza luci e senza ombre, senza storia e senza futuro, senza natali e senza destino, buono forse per il «nuovo umanesimo» di cui taluno blatera, ma, tristemente, senza (più) alcun senso. Quanto, infine, alla direzione del senso, essa non dipende certo dagli eroi, ma dalla cultura della società che li ha generati. Ma questa è un’altra storia.
Martedì, 25 novembre 2020