di Daniele Fazio
La figura del sacerdote martire Pino Puglisi (1937-1993) ha ispirato il discorso che il 15 settembre il Papa ha rivolto al clero, ai religiosi e ai seminaristi riuniti nella cattedrale di Palermo. Francesco ha voluto modulare il proprio intervento attraverso tre verbi: «celebrare», «accompagnare», «testimoniare». La vita del sacerdote è intrinsecamente legata all’Eucaristica, ragion per cui il ministero sacerdotale non è un mestiere, ma una missione che si gioca nella logica del dono. Il prete, così come il consacrato, è dunque un uomo del dono e anche uomo del perdono, unito quindi anche al sacramento della Riconciliazione che deve amministrare, dispensando il perdono di Dio e non come fosse un detective, e vivere in relazione ai confratelli e alle comunità in cui si trova.
Emerge così una figura sacerdotale quale «[…] uomo di Dio 24 ore su 24, non uomo del sacro quando indossa i paramenti […]. Per questo è fondamentale pregare Colui di cui parliamo, nutrirci della Parola che predichiamo, adorare il Pane che consacriamo, e farlo ogni giorno». La pietà popolare, poi, ha bisogno di essere seguita accompagnata ed immunizzata da forme inautentiche di religiosità che più che devozione generano ostentazione, nonostante questo, però, il Santo Padre esorta i sacerdoti ad averne cura, aiutare ed essere presenti. Essa è «il “sistema immunitario della Chiesa”. Quando la Chiesa incomincia a farsi troppo ideologica, troppo gnostica o troppo pelagiana, la pietà popolare la corregge, la difende».
Il secondo verbo, «accompagnare», dà occasione al Pontefice di rinnovare l’invito ai sacerdoti di seguire la figura del Buon Pastore, soprattutto per esercitare prossimità e ascolto nei confronti dei giovani. Non occorrono imponenti piani pastorali – che non servono spesso a nulla, soprattutto se considerati fini e non mezzi –, ma serve essere radicati nella propria vocazione. «La via dell’incontro, dell’ascolto, della condivisione è la via della Chiesa. Crescere insieme in parrocchia, seguire i percorsi dei giovani a scuola, accompagnare da vicino le vocazioni, le famiglie, gli ammalati; creare luoghi di incontro dove pregare, riflettere, giocare, trascorrere del tempo in modo sano e imparare a essere buoni cristiani e onesti cittadini. Questa è una pastorale che genera, e che rigenera il prete stesso, la religiosa stessa».
L’ultimo verbo adoperato dal Santo Padre è «testimoniare», che riporta all’essenza della semplicità del Vangelo, la quale rifugge ogni doppiezza, ogni mondanità, ogni forma di clericalismo, familismo e burocratismo del sacro: «Lo scandalo della gente è quando vede preti mondani, con lo spirito del mondo. Lo scandalo della gente è quando trova nel prete un funzionario, non un pastore. E questo mettetelo bene in testa e nel cuore: pastori sì, funzionari no! La vita parla più delle parole. La testimonianza contagia. […]. Si possono fare tante discussioni sul rapporto Chiesa-mondo e Vangelo-storia, ma non serve se il Vangelo non passa prima dalla propria vita. E il Vangelo ci chiede, oggi più che mai, questo: servire nella semplicità, nella testimonianza».
L’ultimo incontro siciliano del Papa è stato dedicato, in piazza Politeama, ai giovani. Tre di loro lo sollecitano con domande e lui, nonostante la stanchezza per una giornata molto intensa, risponde integrando il proprio discorso con parole a braccio, come ormai è suo stile. Non si può ascoltare Dio in poltrona, perché Egli si manifesta nella relazione, Egli è azione. Bando, dunque, alle facili comodità che rendono il giovane un “vecchio”. Nello specifico, «[…] si tratta di muovere il cuore, mettere il cuore in cammino […]. Se tu vuoi ascoltare la voce del Signore, mettiti in cammino, vivi in ricerca. Il Signore parla a chi è in ricerca. Chi cerca, cammina. Essere in ricerca è sempre sano; sentirsi già arrivati, soprattutto per voi, è tragico». Ma dove cercare il Signore? Il Papa risponde: «cercatelo nella preghiera, cercatelo nel dialogo con gli altri, cercatelo sempre in movimento, cercatelo in cammino […]. Questo è importante: Gesù crede in voi più di quanto credete voi in voi stessi. Gesù vi ama più di quanto voi vi amate. Cercatelo uscendo da voi stessi, in cammino: Lui vi aspetta. Fate gruppo, fatevi degli amici, fate delle camminate, fate degli incontri, fate Chiesa così, camminando. Il Vangelo è scuola di vita, il Vangelo sempre ci porta al cammino. Credo che questo sia il modo di prepararsi per ascoltare il Signore».
Rispondere al Signore che chiama non ammette posti in panchina o dietro le quinte. Proprio per questo il Papa esorta i giovani: «Sognate in grande, alla grande! Perché nei grandi sogni tu troverai tante, tante parole del Signore […]». Da ciò scaturisce il servizio, che libera dalla chiusura in sé, e che il Santo Padre concretizza nella cultura dell’incontro, prendendo spunto dalla posizione geografica della Sicilia, centro del Mediterraneo, e dalla sua storia che l’ha fatta divenire un crocevia di culture e dialetti. Ancora oggi è necessario, dice Francesco, «favorire gli incontri, perché il mondo di oggi è un mondo di scontri; di guerre, di scontri… La gente non si capisce… E la fede si fonda sull’incontro, un incontro con Dio. Dio non ci ha lasciati soli, è sceso Lui a incontrarci. Lui ci viene incontro, Lui ci precede, per incontrarci. La fede si fonda sull’incontro […]. Voi siete un popolo con un’identità grande e dovete essere aperti a tutti i popoli che, come in altri tempi, vengono da voi. Con quel lavoro dell’integrazione, dell’accoglienza, di rispettare la dignità degli altri, della solidarietà…».
Per fare ciò è necessario vivere nell’amore, «non l’amore sentimentale, che noi possiamo guardare nei teleromanzi, nelle telenovele, ma quello concreto, l’amore del Vangelo». Servire, sporcarsi le mani, bandire le comodità inutili, sognare in grande, evitare il malaffare, l’indifferenza, il gattopardismo e la logica dell’irredimibile sono le premesse perché i giovani siano costruttori di futuro, costruttori della civiltà dell’amore, a partire dalla viva linfa delle radici che nutre la speranza e può vincere ogni crisi. Coltivare le radici significa anche parlare con gli anziani, i quali sono i custodi dei valori e possono trasmettere l’appartenenza alle nuovi generazioni perché non siano “gassose” e sradicate: «un giovane che non ha appartenenza in una società, in una famiglia, in una cultura, è un giovane senza identità, senza volto. In tempo di crisi dobbiamo sognare, dobbiamo metterci in cammino, dobbiamo servire gli altri, dobbiamo essere accoglienti, dobbiamo essere giovani di incontro, dobbiamo essere giovani con la speranza nelle mani, con il futuro nelle mani e dobbiamo essere giovani che prendono dalle radici la capacità di far fiorire speranza nel futuro».
Il Pontefice conclude, quindi, con uno auspicio speciale: «Mi piace vedervi qui, nella Chiesa, portatori gioiosi di speranza, della speranza di Gesù che supera il peccato. […] È la forza di Gesù che supera il peccato e ti aiuta ad andare avanti. La speranza che supera la morte. Sogniamo e viviamo la cultura della speranza, la cultura della gioia, la cultura dell’appartenenza a un popolo, a una famiglia, la cultura che sa prendere dalle radici la forza per fiorire e portare frutto».