di Daniele Fazio
Il 19 settembre è ricorso il quarantesimo anniversario della morte del filosofo francese Étienne Gilson (1884-1978), un pensatore laico che si è posto nel Novecento alla scuola di san Tommaso d’Aquino (1225-1274) e che Papa san Giovanni Paolo II (1920-2005) ha voluto citare nominalmente, tra gli altri, anche nell’enciclica Fides et Ratio, del 1998, quale esempio di intellettuale capace di operare una sintesi tra ragione e fede.
Gilson è stato principalmente un autorevole storico della filosofia medioevale. I suoi scritti sono dei classici. Uno fra tutti è Lo spirito della filosofia medioevale (1932), ma si possono altresì ricordare i poderosi studi sul pensiero di san Tommaso d’Aquino (1225-1274), del beato Giovanni Duns Scoto (1266-1308), di san Bonaventura da Bagnoregio (1221-1274)) e di sant’Agostino d’Ippona (354-430), senza dimenticare quelli su san Bernardo di Chiaravalle (1090-1153), Abelardo (1079-1142) e Dante Alighieri (1265-1321).
Tuttavia, se questo è l’ambito dove maggiormente egli si è segnalato, limitarne il pensiero solo all’elemento storiografico è riduttivo, dal momento che Gilson offre un impianto teoretico, metafisico e gnoseologico importante, testimoniato dagli scritti dedicati al tema dell’essere e del realismo.
Lo studioso francese difende infatti la nozione di filosofia cristiana non semplicemente quale dimensione storica di un pensiero che caratterizzò la sintesi tra la ragione e la fede nel Medioevo, ma come possibilità e riconoscimento dell’esercizio della ragione da parte di ogni cristiano senza prescindere dalla fede. Se, infatti, non esiste una “ragione cristiana”, esiste però un esercizio cristiano della ragione che allarga certamente gli orizzonti.
Quando il giovane Gilson iniziò alla Sorbona il proprio iter di studi vigeva – dominante il neo-positivismo – l’idea secondo cui il Medioevo fosse stata un’epoca di dittatura teologica e che la filosofia avesse compiuto un salto dai Greci a Cartesio (1596-1650). Gilson dimostrò invece il contrario, restaurando una verità storiografica importante. Nel campo degli sudi sulla filosofia medioevale è stato, per certi versi, ciò che la storica Régine Pernoud (1909-1998) è stata nel campo strettamente storiografico. Entrambi hanno fatto giustizia del pregiudizio illuministico secondo cui mille anni di Medioevo sarebbero stati secoli bui.
Intellettuale cattolico, affrontò anch’egli la temperie del post-Concilio, successive al Concilio Ecumenico Vaticano II (1962-1965), dissentendo risolutamente sulla diffusione di teorie e prassi contrarie alla tradizione e al magistero della Chiesa Cattolica. Papa san Paolo VI (1897-1978) – a nome di tutta la Chiesa – inviò un’accorata lettera all’ormai anziano professore francese, in cui, tra l’altro, si legge: «Ringraziamo il Signore per questi anni così bene impiegati e che con tanta efficacia hanno contribuito all’irradiazione del pensiero cristiano, ci teniamo a esprimerLe oggi personalmente una stima che nutriamo da tanto tempo per Lei e una riconoscenza che la Chiesa Le deve».
Ma il pensiero di Gilson è utile anche per vaccinarci da due tendenze. La prima è quella razionalistica – che forse oggi ha meno presa – di ritenere che la ragione, e in particolare la ragione strumentale, sia un assoluto al di fuori del quale tutto andrebbe rifiutato. Per le operazioni che sa compiere l’intelletto è straordinario e oggetto dello stupore umano, ma ciò non deve spingere alla concezione – di marca idealista – che esso sia la causa della realtà, la causa dell’esistenza. L’altra tendenza – forse oggi più di moda– è quella nichilistica. Icasticamente Gilson scrive: «io sono per l’essere contro il nulla» É. Gilson Costanti filosofiche dell’essere, a cura di R. Diodato, ed. Massimo, Milano 1993 (postumo), p. 214.
Ridimensionare l’assolutismo della ragione non vuol dire infatti cadere in posizioni irrazionaliste, ma saper porre il giusto primato tra la realtà e il pensiero; e, una volta giunti con il pensiero, attraverso l’ente, alle porte dell’Essere si aprono due possibilità: tacere o pregare.