di David Botti
Mario Casotti (1896-1975)
1. La formazione idealistica
Quando, nel 1924, Mario Casotti viene chiamato da padre Agostino Gemelli (1878-1959), il francescano fondatore dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, alla cattedra di Pedagogia nella facoltà di Magistero di questo ateneo — che terrà per quasi quarant’anni, insieme all’incarico di Storia della Pedagogia nella facoltà di Lettere e Filosofia dello stesso istituto —, l’entourage dei filosofi idealisti raccolti intorno a Giovanni Gentile (1875-1944) ha un sussulto, perché Casotti è noto come l’enfant prodige dell’attualismo gentiliano.
Nato a Roma il 10 giugno 1896, è stato allievo di Gentile nelle università di Pisa e di Roma, quindi si è laureato con lui in filosofia, nel 1919, discutendo una tesi sulla concezione idealistica della storia. A soli venticinque anni è capo redattore delle riviste La nuova scuola italiana e Levana, autorevoli espressioni della «scuola» gentiliana, fondate nel 1921 da Ernesto Codignola (1885-1965). Dopo aver insegnato pedagogia a Pisa, quindi a Torino, nel 1923, proprio nell’anno della cosiddetta Riforma Gentile, pubblica La nuova pedagogia e i compiti dell’educazione moderna, che costituisce un primo ripensamento critico dell’idealismo. L’anno seguente si converte al cattolicesimo.
2. La pedagogia come scienza
La conversione del giovane Casotti — dovuta soprattutto a ragioni filosofiche, che illustra nelle Lettere sulla religione, del 1925 — viene completata con la frequentazione degli esponenti del neotomismo italiano, in particolare di monsignor Amato Masnovo (1880-1955) e di monsignor Francesco Olgiati (1886-1962). Nel 1930 pubblica Maestro e scolaro. Saggio di filosofia dell’educazione, risposta teoretica ricca e argomentata di un autore cattolico alle tesi idealistiche — soprattutto a quella per cui la pedagogia sarebbe parte della filosofia —, nella quale traccia le prime linee di una concezione pedagogica cattolica nello spirito del tomismo, sostenendo che la pedagogia, in quanto scienza pratica, ossia, scolasticamente, recta ratio factibilium, ha certamente campo e metodi propri, e che la filosofia, in quanto scienza teoretica, deve stabilirne i fondamenti e quindi le finalità.
Sullo stesso argomento segue, nel 1931, La pedagogia di san Tommaso d’Aquino. Saggi di pedagogia generale — un’attenta esegesi, fra l’altro, di passi del grande filosofo e teologo medioevale (1225 ca.-1274) —, mentre, nel 1932, vede la luce l’Educazione cattolica, in cui illustra sistematicamente la tesi della pedagogia come teoria e scienza dell’educazione. Partendo dal fundamentum esposto da sant’Ignazio di Loyola (1491-1556) negli Esercizi Spirituali, Casotti mostra che l’educazione trova la sua unità solo nel fine, il quale può e deve fondersi, nell’animo del discente, con tutte le altre materie d’insegnamento: «La cultura sta, dunque, colla educazione cristiana in un rapporto di mezzo a fine e abbraccia, potremmo dire, tutte quelle cose che il fundamentum dichiara per sé indifferenti […].
«[…] Per dare un’educazione anticristiana non occorre disturbarsi a insegnare dottrine razionalistiche: basta insegnare latino e greco, italiano e storia, tecnologia e matematica, coll’occhio miope dello specialista che vede in esse soltanto un sistema di cognizioni o di attitudini naturali chiuse in se stesse».
All’intensa attività didattica affianca quella scientifica, collaborando alle principali riviste cattoliche specializzate in pedagogia, fra le quali Scuola italiana moderna, dal 1925, e fondando, nel 1933, il Supplemento pedagogico, poi Pedagogia e vita, di cui sarà direttore fino alla morte.
Nel 1937 dà alle stampe Scuola attiva, in cui procede alla confutazione dell’«attivismo», una dottrina educativa ancor oggi base di numerose correnti pedagogiche, che, partendo dall’evidente necessità di una disposizione attiva nell’apprendere finisce con il sostenere che l’educando deve essere agente del suo stesso apprendimento. Dopo un esame dei «trenta punti» della «scuola attiva» di Adolphe Ferrière (1879-1960), Casotti enuncia i requisiti di un attivismo realistico — che consideri, cioè, i limiti dell’intelligenza, la debolezza della volontà, i bisogni dello spirito e la presenza di un finalismo soprannaturale —, passando quindi a documentare la tradizione attivistica cristiana, che sfocia, nella sua incarnazione più recente, nella serenità e nella ricchezza del «metodo preventivo» di san Giovanni Bosco (1815-1888), al quale aveva dedicato una fortunata opera già nel 1934.
All’apice della carriera, nel 1942, gli viene affidata la presidenza dell’Istituto Superiore di Studi sull’Educazione Cristiana Paedagogium, presso l’Università Cattolica, ma è costretto a sospendere l’attività a causa delle vicende belliche e per la morte del figlio Ruggero.
Al termine della seconda guerra mondiale (1939-1945) riprende a insegnare e dirige la collana L’Educazione. Classici della pedagogia commentati dell’Editrice La Scuola, di Brescia, curando personalmente la pubblicazione di opere di grandi pedagogisti del passato. Nel 1947 edita la Pedagogia generale, nella quale svolge in modo organico la problematica educativa e, fra l’altro, esplicita con grande chiarezza a chi spetti il diritto di educare. In proposito afferma che, «[…] nonostante i disperati tentativi di alcuni autori […] [,] l’uomo esiste come individuo, o come sintesi anima-corpo; mentre la società non ha alcuna consistenza ontologica»: da ciò deriva «[…] la condanna di tutte quelle teorie che, idealisticamente o materialisticamente, vorrebbero educare l’individuo come fosse chiamato ad essere solo una “cellula” del corpo sociale, o un “momento dialettico” dello stato». Passa, poi, a definire il ruolo dello Stato, che ha «[…] per obietto, come dicevano gli antichi scolastici, il “bonum commune temporalis” […] [e] deve, certo, accordare tra loro gl’interessi dei singoli individui, epperò la sua autorità è ordinata a che ciascuno sacrifichi quel tanto dei suoi interessi propri che danneggerebbe gl’interessi degli altri». Infine, precisa che il «[…] moderno stato liberale […] non ha una sua dottrina da insegnare, né una sua speciale morale da imporre, perché non ha, a questo scopo, nè la competenza, nè gli organi adatti.
«[…] Resta, dunque, che lo stato si fondi su quella comune dottrina e morale naturale, ch’è nella coscienza di tutti gli uomini in quanto essi ragionevoli […].
«[…] lo stato non ha diritti suoi propri ed originali nel campo educativo, ma solo diritti derivati; ossia che suo compito è riconoscere e sanzionare i diritti impliciti nella natura umana, o, altrimenti, si trasforma in stato tirannico e oppressivo, e menoma la sua medesima essenza di stato, sostituendo al diritto la violenza».
3. La polemica con il personalismo
Gli anni 1950 vedono la progressiva introduzione all’interno del mondo cattolico di una cultura «democratica d’ispirazione cristiana», la quale, in campo pedagogico, trova espressione nella corrente detta del «personalismo», nata in Francia con Emmanuel Mounier (1905-1950) e sviluppatasi attorno alla rivista Esprit. Tale corrente — rappresentata in Italia principalmente da Armando Carlini (1878-1969), da Luigi Stefanini (1891-1956) e da Giuseppe Flores d’Arcais —, si afferma anche per il venir meno dell’egemonia positivistica e idealistica. A ciò si aggiunge la particolare propensione dei personalisti a operare nelle commissioni pluripartitiche deputate alle riforme degli istituti educativi in quanto essi, condividendo alcune moderne correnti filosofiche, sono privi di un adeguato giudizio sul mutato contesto politico. Casotti invece continua a opporsi — come in occasione del Congresso Nazionale di Pedagogia promosso dal Paedagogium nel 1949 — a ogni cedimento sul piano dei princìpi. Infatti, pur sostenendo posizioni che al momento si limitano a chiedere una scuola che favorisca la crescita morale e civile degli italiani, egli pensa sempre al completo ritorno all’umanesimo popolare cristiano. Con l’avanzare della secolarizzazione pedagogica, l’impegno pubblicistico del docente dell’Università Cattolica si arricchisce della denuncia delle deviazioni e delle aberrazioni dell’attivismo naturalistico di John Dewey (1859-1952), provando il carattere equivoco dei concetti di autoeducazione, di paidocentrismo, di naturalismo e di sociologismo pedagogici.
Nel 1951 dà alle stampe la nuova edizione dell’Educazione cattolica, ma subisce, anche dal mondo cattolico, i rilievi critici di chi osserva che i suoi giudizi — come per esempio quello su «[…] autori come il Capponi e il Lambruschini […] [i quali,] a forza di trascurare certi aspetti del Cristianesimo, finirono col negarli di deliberato proposito, dando origine, e in pedagogia e in religione, a quel “minimismo”, come ben fu detto, dogmatico che si studia di ridurre quanto più è possibile il soprannaturale» — implicano princìpi suggestivi, ma di difficile attuazione.
Così, nel 1954, in occasione del primo convegno dell’Istituto Scholé — il Centro di Studi Pedagogici fra Docenti Universitari Cristiani —, ha luogo una sua significativa presa di posizione pubblica verso il personalismo e lo spiritualismo, in polemica con le tesi di Stefanini. Inflessibile sul piano della metafisica, egli dichiara l’impossibilità di accettare il personalismo come teoria che limita all’uomo l’oggetto della filosofia. Invece, soltanto una metafisica dell’essere può assicurare alla persona adeguato fondamento, pena il progressivo dilagare dell’esclusivismo psicologistico e sociologico. I successivi sviluppi delle scienze pedagogiche gli daranno ragione, ma anche la Settimana Sociale sui problemi della scuola considerati in relazione al mutare della società italiana — che si svolge a Trento nell’autunno del 1955, a venticinque anni dalla pubblicazione dell’enciclica Divini illius magistri, emanata da Papa Pio XI (1922-1939) nel 1929, allora il documento magisteriale più sistematico sull’argomento — è connotata dal tentativo di modificare l’atteggiamento dei cattolici in campo educativo e scolastico.
Nel IV convegno dell’Istituto Scholé, nel 1957, Casotti vince un’altra battaglia, riportando ancora una volta l’attenzione sul tema dei princìpi anziché su quello «sperimentalistico» previsto dal programma. Intervenendo sui Rapporti tra metodologia e didattica, mette in guardia dagli eccessi di quanti sono soliti «plaudire alla “rivoluzione copernicana” o puerocentrica, e scagliarsi ferocemente contro l’“educazione antica”». Tale contrapposizione — secondo il cattedratico — è un falso problema, anzi un vecchio pretesto con il quale gli «[…] “specialisti” si annettono l’educazione. Sarà l’igienista, o il famoso medico americano, o il celebre scienziato, o lo psicologo di turno sulle pagine dei rotocalchi, o il direttore del rotocalco medesimo, o l’illustre sociologo: nella estimazione d’un pubblico sempre più vasto, i veri “competenti” in educazione sono costoro. Nè ciò rimane senza effetto anche presso gli studiosi e cultori qualificati di pedagogia. I quali […] finiscono […] quasi subcoscientemente […] col credersi “antiquati” o superati». Occorre — dichiara ancora una volta — tornare all’unità dell’educazione fondata sulla metafisica aristotelico-tomistica.
Negli anni successivi deve accettare l’ingresso di collaboratori seguaci delle nuove teorie pedagogiche nella rivista di cui continua a essere direttore, anche per la chiusura degli ambienti scientifici verso gli allievi della sua «scuola». Il suo progressivo isolamento nel mondo accademico non ne impedisce il prosieguo dell’attività didattica e pubblicistica che, dopo il Concilio Ecumenico Vaticano II (1962-1965), subisce tuttavia l’inevitabile accusa di «integralismo», tanto che la sua morte, avvenuta il 12 luglio 1975 a Marina di Pietrasanta, in provincia di Lucca, trova spazio soltanto sulla rivista da lui diretta.
Mario Casotti non lascia solo gli scritti, ma anche la testimonianza di una vita spesa a proclamare che l’educazione è un processo finalizzato alla conoscenza del vero e alla pratica del bene, unificati nel loro rapporto con l’Essere, cioè con Dio, nell’ambito della pedagogia cristiana.
David Botti
Per approfondire: vedi Franco Virginio Lombardi, Mario Casotti. Una pedagogia tra metafisica e didattica, in Cesare Scurati (a cura di), Profili nell’educazione. Ideali e modelli pedagogici nel pensiero contemporaneo, Vita e Pensiero, Milano 1994, pp. 343-355; e Aldo Agazzi, Le scuole nuove e l’attivismo, in AA.VV., Questioni di storia della pedagogia, La Scuola, Brescia 1963, pp. 893-1074; fra le opere di Mario Casotti, vedi Educazione cattolica, La Scuola, Brescia 1950; e Pedagogia generale, La Scuola, Brescia 1958-1959.