Michael Richard Pence, Cristianità n. 392 (2018)
Dal 24 al 26 luglio 2018 si è tenuta a Washington D.C., su iniziativa del Segretario di Stato statunitense Mike Pompeo e dell’ambasciatore degli Stati Uniti d’America (USA) per la libertà di religione, Samuel Dale «Sam» Brownback, una convention sulla libertà religiosa, intitolata Ministerial to Advance Religious Freedom, nel corso della quale l’amministrazione statunitense ha ribadito il suo forte impegno per la difesa della libertà religiosa nel mondo (cfr. Marco Respinti, La svolta americana per difendere la libertà religiosa, nel sito web <http://lanuovabq.it/it/la-svolta-americana-per-difendere-la-liberta-religiosa>. I siti web dell’articolo sono stati consultati il 14-9-2018). Il nuovo corso era stato annunciato con un discorso — qui ora pubblicato — che il vicepresidente degli USA Michael Richard «Mike» Pence aveva pronunciato il 25 ottobre 2017 alla cena di solidarietà organizzata a Washington D.C. dall’associazione In Defense of Christians. Diffuso dall’Ufficio stampa della Casa Bianca con il titolo Remarks by the Vice President at In Defense of Christians Solidarity Dinner, il testo è reperibile nel sito web <https://www.whitehouse.gov/briefings-statements/remarks-vice-president-defense-christians-solidarity-dinner>. La traduzione, le inserzioni fra parentesi quadre, le note e il titolo sono redazionali. Sono state omesse espressioni proprie dello stile parlato, come le ripetizioni, e indicazioni pleonastiche, come gli applausi.
«Gli Stati Uniti d’America faranno di tutto per garantire che la libertà religiosa di ogni cittadino sia rispettata»
Mi rivolgo adesso al patriarca Rahi (1), al patriarca Yazigi (2), all’arcivescovo Oshagan (3), all’arcivescovo Kawak (4), al metropolita Joseph (5), a madre Olga (6), a tutti i leader religiosi provenienti dal Medio Oriente che sono qui con noi oggi, agli egregi membri del Congresso, a tutti i nostri ospiti d’onore: essere qui con voi stasera, al Quarto Annual Advocacy Summit and Solitarity Dinner, mi fa sentire veramente piccolo e modesto dinanzi a un’organizzazione che sta facendo la differenza nella vita dei credenti in tutto il mondo: In Defense of Christians. Grazie per l’onore di potermi unire a voi oggi e grazie per ciò che fate.
Porto i saluti di un amico, mio e di tutti coloro che sono perseguitati per la propria fede in tutto il globo terrestre, il quarantacinquesimo presidente degli Stati Uniti d’America, Donald Trump.
Il presidente mi ha chiesto di essere qui questa sera, perché crediamo entrambi, come del resto ciascuno di voi, che una «leadership americana» sia cruciale «per assicurare il futuro dei cristiani nel Medio Oriente» e per proteggere coloro che sono perseguitati in tutto il mondo.
Sotto la guida del presidente Donald Trump, vi posso assicurare che gli Stati Uniti d’America si metteranno sempre dalla parte di coloro che soffrono a causa della propria fede e che sempre presteranno loro aiuto al momento del bisogno.
Permettetemi d’iniziare questa serata dimostrando la mia riconoscenza a tutti voi, ognuno condotto qui dalla propria compassione, per il vostro impegno verso quanti si sono rifiutati di conformarsi a questo mondo, come si dice nel Libro Antico, disposti a patire fuori dalle porte della città per la propria fede.
Andrew Doran (7) e tutti i membri di In Defense of Christians: grazie. Grazie per il vostro essere in prima linea in questa nobile causa. La Bibbia ci dice che riconosceremo i seguaci di Cristo dai frutti che produrranno. Fin dal momento della fondazione, tre anni or sono, il vostro lavoro e la vostra testimonianza sono stati evidenti agli occhi di tutti.
A Carl Anderson (8) e ai Cavalieri di Colombo: grazie per il vostro straordinario lavoro volto alla cura dei perseguitati in tutto il mondo.
E a madre Olga: grazie per aver preso le difese delle vittime di persecuzione nella sua Patria e in tutto il Medio Oriente. La sua fede ispira e motiva tutti noi.
Permettetemi anche di ringraziare due membri del Congresso che sono con noi questa sera, due uomini con cui ho avuto l’opportunità di servire il Paese quando ero membro della Camera dei Rappresentanti. Si tratta di due difensori instancabili dei credenti nel Medio Oriente e in tutto il mondo, il mio amico Jeff Fontenberry (9) e il destinatario del premio Cedars of God [Cedri di Dio], il mio amico Chris Smith (10).
Infine, permettetemi di ringraziare tutti i leader religiosi che sono venuti da vicino e da lontano per essere con noi questa sera, i leader della Chiesa Apostolica Armena, della Chiesta Ortodossa d’Antiochia, della Chiesa Ortodossa Siriaca, della Chiesa Cattolica Melchita, della Chiesa Cattolica Maronita e di tutte le altre tradizioni religiose del Medio Oriente. Ho avuto l’occasione di incontrare molti di questi leader alla Casa Bianca non molto tempo fa. E so di parlare a nome di tutti i presenti guardando questi grandi esempi di coraggio e di fede. La vostra testimonianza è motivo d’ispirazione per tutti noi ed è un onore condividere con voi questa serata.
In tutta sincerità e onestà, siamo qui per voi.
La Bibbia ci dice: «Tutti coloro che vogliono vivere piamente in Cristo Gesù saranno perseguitati» [2Tim. 3,12] e il gregge che voi conducete è fra i più perseguitati al mondo. Questa è la ragione che ci porta qui questa sera.
Circa duemila anni fa i discepoli di Gesù Cristo lasciarono il loro Paese. Lasciarono la loro terra, dirigendosi fuori da Israele in tutte le direzioni, portando con sé la Buona Novella che si proclama ancora oggi. Ma, tristemente, il cristianesimo è sottoposto a un assalto inaudito in quelle terre antiche dove è cresciuto per primo.
Nelle montagne della Siria, nelle valli del Libano, sulle pianure di Ninive e gli altipiani di Armenia, sulle rive del Tigri e dell’Eufrate, nel Delta del Nilo, i padri e le madri della nostra fede hanno piantato semi di fede che, fin dal primo momento, sono giunti a fioritura e hanno portato frutti. Adesso, però, quel giardino di fede, costruito attraverso generazioni, è in pericolo. È minacciato da persecuzioni e da maltrattamenti. Molte comunità cristiane che furono le prime ad abbracciare il messaggio di Cristo si trovano oggi bersaglio di atti di violenza e di atrocità indicibili.
In Egitto assistiamo al bombardamento di chiese durante le celebrazioni della Domenica delle Palme, un giorno di speranza trasformato in un giorno di orrore.
In Iraq, vediamo monasteri demoliti, preti e monaci decapitati, la tradizione cristiana di Mosul risalente a due millenni fa lottare per sopravvivere.
In Siria vediamo antiche comunità bruciate completamente, credenti torturati perché fedeli a Cristo, donne e bambini venduti come schiavi.
Questa sera lasciate che vi assicuri. Il presidente Trump e io vediamo questi crimini per quello che sono: vili atti di persecuzione animati dall’odio contro i cristiani e contro il Vangelo di Gesù Cristo. Allo stesso modo questo presidente conosce chi e che cosa ha perpetrato questi crimini, e li chiama per nome: terroristi islamici radicali.
I praticanti del terrore cercano di sradicare ogni religione diversa dalla loro, e credenti di ogni provenienza hanno sofferto enormemente a causa loro: yazidi, drusi e perfino i loro confratelli musulmani.
Tuttavia, questi barbari covano un odio particolare per i seguaci di Cristo e, sottoposto a questi duri attacchi, il cristianesimo del Medio Oriente sta sperimentando un esodo che non ha avuto eguali dai giorni di Mosè.
È straziante pensare che la popolazione cristiana in Siria si sia dimezzata nei soli ultimi sei anni, crollando da più di 1.250.000 agli odierni 500.000.
In Iraq i seguaci di Cristo sono diminuiti dell’ottanta per cento negli ultimi dieci anni e mezzo. E, in generale, nel Medio Oriente possiamo prevedere un futuro in cui molte aree saranno prive della presenza cristiana. Ma questa sera sono venuto a dirvi che gli aiuti stanno arrivando.
Il presidente Trump e tutta la nostra Amministrazione stanno lavorando senza sosta per proteggere queste comunità antiche. Ma per fermare l’esodo e per porre fine alle sofferenze dobbiamo prima affrontare il nemico che sta costringendo i credenti a fuggire. Questo è il motivo per cui con il presidente Donald Trump stiamo combattendo la battaglia alle nostre condizioni e sul loro territorio.
La verità è che il terrorismo islamico è un’idra con molte teste, ma indipendentemente dal nome che si attribuisce, o il luogo dove cerca di nascondersi, la nostra Amministrazione è risoluta a distruggerne sia i rami sia le radici.
La nostra risoluzione è più evidente che mai nella battaglia contro la personificazione del male ai nostri giorni: l’ISIS.
Tale banda brutale di selvaggi mostra una ferocia che in Medio Oriente non si vedeva dai tempi del Medioevo, attaccando chiunque non sia disposto ad accettare le loro manie apocalittiche, come è accaduto a una donna di nome Kahlia. Kahlia è una seguace di Cristo sulla cinquantina, e sono stati i Cavalieri di Colombo a raccontare la sua storia nel mondo. È stata presa in ostaggio nella sua patria, in Iraq. Durante la sua prigionia i terroristi dell’ISIS pretendevano che si convertisse. Le hanno puntato una pistola alla testa e l’hanno minacciata con una spada alla gola, ma forte della sua fede si è rifiutata. E grazie alla sua fede ha reagito.
È stata picchiata per il suo coraggio, minacciata di morte giorno dopo giorno ma, come ha detto ai suoi carcerieri, Gesù è morto per lei e quindi lei era disposta a morire per Lui.
La fede di Kahlia è un motivo d’ispirazione per tutti noi. L’ha sostenuta durante questa esperienza terribile. Lei è ancora viva, ma decine di migliaia di fratelli credenti e quelli appartenenti ad altre tradizioni religiose hanno perso la vita per mano dell’ISIS.
Ebbene, sotto la guida del presidente Donald Trump state certi che questa amministrazione considera tali atti feroci da parte dell’ISIS quali essi sono davvero: genocidi e crimini contro l’umanità. E noi li chiameremo con il loro nome.
Da candidato, il nostro presidente ha promesso di «schiacciare e distruggere l’ISIS». E oggi, grazie al coraggio delle forze armate americane e la risoluzione del nostro Comandante in Capo [il presidente Trump], sono lieto di riferire che l’ISIS è in rotta.
Tre anni fa, quei barbari celebravano nelle strade della loro autodichiarata capitale a Raqqa. Proclamavano l’inizio dei cento anni del califfato mentre ergevano bandiere nere in tutta la regione, ma queste bandiere nere non sventolano più a Raqqa.
Appena la settimana scorsa, forze americane e alleate hanno liberato Raqqa, e in tutta la Siria e l’Iraq il califfato si sta sbriciolando. Potete stare certi che non ci fermeremo, non allenteremo la presa finché non avremo scovato e distrutto l’ISIS completamente; in questo modo non potrà più minacciare la nostra gente né chi ha per patria il Medio Oriente.
Sappiamo, tuttavia, che per i credenti di quelle terre antiche la vittoria in combattimento è solo parte della battaglia. Proprio come la distruzione dell’ISIS, è anche importante assicurarsi che si fornisca aiuto e conforto a quanti hanno sofferto tante perdite e assicurarsi che possano avvalersi del diritto di tornare.
Mentre gli Stati e i governi in tutta la regione iniziano a restaurare l’ordine, vi prometto che gli Stati Uniti d’America faranno di tutto per garantire che la libertà religiosa di ogni cittadino sia rispettata.
Il diritto di pregare secondo i dettami della nostra coscienza sta al centro della nostra essenza di americani, come uomini e donne creati a immagine e somiglianza di Dio. Proteggere e promuovere la libertà religiosa è una priorità della politica estera dell’amministrazione Trump.
Come prova, il presidente ha nominato ambasciatore generale per la Libertà Religiosa Internazionale un grande leader e un grande uomo di fede, il governatore Sam Brownback.
Con questo presidente, potete starne certi, l’America condanna la persecuzione di qualunque fede in ogni luogo e in ogni tempo, e noi vi ci opporremo con tutta la forza di questa grande nazione.
Per questo motivo, il presidente Trump mi ha proposto di andare in Medio Oriente a dicembre e io vi prometto che uno dei messaggi che porterò da parte del presidente ai leader di quelle regioni è che è arrivato il momento di porre fine alle persecuzioni dei cristiani e di tutte le minoranze religiose.
Mentre vediamo arretrare le onde del terrore, vi posso assicurare che il presidente Trump s’impegna ad aiutare la gente perseguitata a reclamare le proprie terre, ritornare alle proprie case, ricostruire le proprie vite e ripiantare le proprie radici nei luoghi antichi della propria nascita.
Molti di voi in questa sala hanno giustamente osservato che i cristiani e i perseguitati del Medio Oriente non stanno ricevendo il soccorso necessario.
L’Amministrazione precedente ha devoluto ben un miliardo di dollari in aiuti umanitari nel Medio Oriente, ma ha indirizzato la maggior parte di essi verso programmi gestiti dalle Nazioni Unite.
Troppo spesso, tuttavia, le Nazioni Unite non hanno assolto al compito di aiutare le comunità più vulnerabili, specialmente le minoranze religiose. Il risultato è stato che un numero incommensurabile di persone continua a patire e a lottare per tirare avanti quando potrebbe non essere necessario.
Ecco la triste realtà: le Nazioni Unite sostengono di aver devoluto fondi a più di 160 progetti per «aree cristiane», ma per un terzo di quei progetti non vi erano più cristiani da aiutare. Il bisogno di case dei credenti di Ninive e dell’Iraq è stato soddisfatto per meno del due per cento e la maggior parte dei cristiani e degli yazidi rimane ancora nei rifugi provvisori.
Progetti considerati «portati a compimento» consistono solo in una bandiera delle Nazioni Unite issata su edifici inagibili, in molti casi scuole.
E mentre gruppi religiosi con credenziali provate e radici profonde in queste comunità sarebbero più che disponibili a prestare il loro aiuto, le Nazioni Unite continuano a negare le loro richieste di fondi. Amici miei, quei giorni sono finiti.
I nostri fratelli cristiani e tutti coloro che sono perseguitati nel Medio Oriente non devono essere costretti a fare affidamento su istituzioni multinazionali quando l’America li può aiutare direttamente. Questa sera è un privilegio per me annunciare che il presidente Trump ha ordinato al Dipartimento di Stato di smettere di finanziare le inefficaci operazioni di soccorso delle Nazioni Unite. E da questo giorno in avanti, l’America presterà aiuti direttamente alle comunità perseguitate attraverso l’USAID [Agenzia Statunitense per lo Sviluppo Internazionale].
Non faremo più affidamento unicamente sulle Nazioni Unite per assistere i cristiani perseguitati e le minoranze a seguito dei genocidi e delle atrocità dei gruppi terroristici. Da questo momento in poi gli Stati Uniti lavoreranno in collaborazione con gruppi d’ispirazione religiosa e con organizzazioni private per aiutare coloro che sono perseguitati a causa della propria fede.
Questo è il momento. Adesso è arrivato il tempo e l’America aiuterà questa gente nell’ora del bisogno.
Siamo dalla parte di chi soffre per la propria fede perché questo è ciò che gli americani hanno sempre fatto, poiché il legame comune esige una risposta forte. Pertanto, come nazione, giuriamo di sostenere costoro in questi momenti di prova, e ogni giorno — ogni giorno — so che gli americani offrono in coro preghiere per queste comunità, preghiere che vanno dai nostri cuori al cuore del cielo.
Concludendo, permettetemi di dire con fiducia che credo davvero che la gente di fede del Medio Oriente abbia davanti a sé giorni migliori e prendo come insegnamento ciò che ho visto in passato nelle poche occasioni di visitare quella parte del mondo.
Poco più di un decennio fa, nel 2004, mi sono recato per la prima volta in Iraq. Allora ero un membro del Congresso. Ho viaggiato con un gruppo di colleghi proprio dopo la fine delle prime operazioni belliche. Per me è stata un’esperienza notevole vedere ciò che le forze americane avevano permesso liberando l’Iraq dalla tirannia di Saddam Hussein [1937-2006].
Ma l’esperienza d’incontrare i leader delle comunità e i leader politici è stata per me a dir poco commovente e non dimenticherò mai la mia esperienza in una città del sud dell’Iraq chiamata al-Basrah. E non dimenticherò mai ciò che ho visto lì.
Abbiamo passeggiato per le strade della città, che si sta ancora riprendendo da anni di oppressione e di tirannia e dai segni della guerra. Lì ho assistito a un incontro fra l’imam musulmano locale e un vescovo cristiano mentre ci avvicinavamo a un piccolo edificio. In quel luogo ho visto i due abbracciarsi calorosamente. Allora l’interprete che si trovava con me ha iniziato a dirmi che i due parlavano delle condoglianze che l’imam aveva manifestato al vescovo per la morte della madre. E a me è sembrato ovvio che fra i due vi fosse una grande intesa.
E questo ragazzo che veniva da un paesino del Sud Indiana ha guardato con ammirazione questo incontro. Allora mi sono rivolto alla persona del Dipartimento di Stato che ci stava guidando e ho detto che era una visione meravigliosa. E ho chiesto da quanto tempo vi fosse una chiesa ad al-Basrah. Lui ha sorriso e mi ha risposto «circa 1500 anni!».
Amici miei, in quel momento ho visto la bellezza di ciò che quella parte del mondo è stata per millenni, un posto dove i credenti provenienti da retaggi così diversi hanno vissuto insieme in pace e in comunione. Io credo che possa succedere ancora. Può ancora essere un posto dove le fedi più disparate fioriscono, incorrotte dal cancro della violenza e del fanatismo. Ho visto un luogo dove tutti, come si dice nel Libro Antico, si siedono all’ombra della propria vigna e del proprio fico, e nessuno può spaventarli. Io credo che accadrà ancora.
Pertanto, questa sera, di fronte a tutti voi, io affermo di credere che quella parte del mondo può essere — e sarà — ancora una volta quel luogo.
Dico tutto ciò con fiducia, perché guardo voi e vedo la compassione che una serata come questa mette in risalto, così come vedo l’impatto che state avendo su tutto il mondo.
Lo dico perché ho fede. Ho fede nella brava gente dell’America e nel presidente che essa ha eletto, nel Congresso che la rappresenta e nel fatto che insieme continueremo a schierarci con i fedeli di tutto il Medio Oriente e del mondo nell’ora del bisogno.
Ho fede che quei credenti coraggiosi provenienti da quelle terre antiche continueranno a perseverare nelle sfide della persecuzione e che ritroveranno la strada verso casa con rinnovata speranza e forza.
Infine, ho fede perché sono un credente e credo che Colui che ha detto: «Quando dovrai attraversare le acque, io sarò con te» [Is. 43,2]; che Colui che ha detto: «non ti lascerò e non ti abbandonerò» [Gs. 1,5], non lo farà; credo che Lui rimarrà con la Sua gente in qualunque luogo essa si trovi in questo Paese e in tutti i Paesi che sono nei nostri cuori questa sera; e riconoscerà chi gli è fedele in questi tempi di difficoltà.
Io credo davvero che proprio Lui soffierà nuova vita nella comunità di Cristo in quell’angolo del mondo dove tutto è cominciato; pertanto, aiutaci o Dio.
Che Dio li benedica. Che Dio benedica tutti voi e che Dio benedica gli Stati Uniti d’America.
Michael Richard Pence
Note:
(1) Moran Mor Bechara Boutros al-Rahi è, dal 2011, il 77° patriarca di Antiochia e guida della Chiesa maronita. È stato nominato cardinale nel 2012 da Papa Benedetto XVI (2005-2013).
(2) Yohuana Yazigi è un arcivescovo ortodosso siriano, attuale patriarca e primate della Chiesa greco-ortodossa di Antiochia. Eletto nel 2012, è stato intronizzato il 10 febbraio 2013 con il nome di Giovanni X.
(3) Originario di Aleppo, l’arcivescovo Oshagan Coloyan è membro della Chiesa apostolica armena ed è a capo, dal 1998, della Prelatura orientale degli Stati Uniti d’America, dipendente dal Catolicosato della Grande Casa di Cilicia.
(4) L’arcivescovo metropolita Mor Dionysius Jean Kawak è patriarca vicario della Chiesa siro-ortodossa precalcedoniese per l’arcidiocesi degli Stati Uniti orientali.
(5) L’arcivescovo Joseph, al secolo Ilie Pop, esponente della Chiesa ortodossa rumena, è metropolita dell’Europa occidentale e del sud.
(6) Madre Olga del Sacro Cuore, nata e cresciuta in Iraq, originariamente religiosa della Chiesa assira d’oriente pre-calcedoniese, si è convertita al cattolicesimo nel 2005 e nel 2011 ha fondato l’ordine delle Daughters of Mary of Nazareth, con sede a Boston.
(7) Ex procuratore e reduce, è attualmente vicepresidente e senior advisor [consigliere anziano] dell’associazione In Defense of Christians, che ha contribuito a fondare nel 2014. Ha avuto incarichi nel segretariato esecutivo della Commissione Nazionale Statunitense per l’UNESCO, presso il Dipartimento di Stato.
(8) Già membro dell’Ufficio esecutivo presidenziale negli anni di Ronald Wilson Reagan (1981-1989), Carl A. Anderson è, dall’anno 2000, il 13° Cavaliere supremo dei Cavalieri di Colombo, associazione fondata nel 1882 e, a tutt’oggi, la più grande fra le organizzazioni cattoliche a scopi caritativi.
(9) Deputato repubblicano del Nebraska, è stato eletto per la prima volta nel 2005 e, da allora, sempre confermato con risultati elettorali lusinghieri.
(10) Deputato repubblicano del New Jersey dal 1981, nell’agosto del 2017, Christopher Henry Smith è stato nominato dal presidente Trump rappresentante degli Stati Uniti d’America presso l’Assemblea delle Nazioni Unite. Proprio il giorno in cui Mike Pence pronunciava il suo discorso, è stato insignito del premio «Cedars of God» per essersi distinto nell’aiuto alle minoranze perseguitate nel Medio Oriente per ragioni etniche o religiose.