Lo scorso 2 novembre ha compiuto cento anni la psichiatra polacca Wanda Poltawska, amica e collaboratrice di san Giovanni Paolo II, che dall’esperienza dell’internamento a Ravensbrück, campo di sterminio nazionalsocialista, ha tratto la forza per il suo impegno a favore della famiglia e della vita, in particolare dei non nati, svolto soprattutto nella Polonia comunista.
di Włodzimierz Rędzioch
Ancora prima dello scoppio della Seconda guerra mondiale, il 15 maggio 1939 fu aperto a Ravensbrück, sulle rive del lago Schwedt-See, 90 chilometri a nord di Berlino, nella regione tedesca di Meclenburgo, un campo di concentramento femminile. L’unico progettato dai nazionalsocialisti con l’obiettivo specifico di rinchiudere ed eliminare le donne che venivano percepite dal regime come nemiche o inutili: prigioniere politiche, disabili, prostitute, zingare. Dopo lo scoppio della guerra e l’invasione della Polonia da parte delle truppe tedesche, il 23 settembre 1939 le prime deportate polacche giunsero al campo. Nel periodo di funzionamento del campo, dal maggio del 1939 al 30 aprile del 1945, sono passate da lì centotrentamila donne, provenienti da venti Paesi, di cui circa quarantamila dalla Polonia. Nel campo funzionava regolarmente il forno crematorio: le ceneri delle prigioniere venivano buttate nelle acque del placido lago, che divenne la tomba per decine di migliaia di persone. Negli ultimi mesi della guerra, nell’autunno del 1944, dopo che il gerarca tedesco Heinrich Himmler aveva ordinato la sospensione delle camere a gas, Ravensbrück ricevette un ordine diverso. Qui venne costruita una camera a gas provvisoria dove furono eliminate altre seimila donne: per certi storici fu l’ultimo sterminio di massa del regime nazionalsocialista.
In questo campo doveva essere uccisa anche una giovane polacca, Wanda Wojtasik (conosciuta successivamente con il nome del marito, Półtawska), rinchiusa a Ravensbruck nel settembre del 1941. Wanda era nata in Polonia, nella città di Lublino, il 2 novembre 1921. La sua tranquilla giovinezza fu interrotta nel 1939, quando il 1° settembre le armate tedesche attaccarono la Polonia. La ragazza decise di entrare nelle strutture clandestine della resistenza polacca. Purtroppo, nel febbraio del 1941 venne scoperta, arrestata e rinchiusa nella prigione di Lublino e, nel settembre del 1941, trasportata nel campo di concentramento di Ravensbrück. Dietro la porta del campo divenne soltanto un numero: 7709. A Wanda, che non fu fucilata, toccò una sorte più crudele: divenne Kaninchen, cioè prigioniera destinata agli “esperimenti” dell’equipe medica della vicina clinica per le SS, diretta dal dottor Karl Gebhardt. Insomma, divenne una cavia umana. Gli “esperimenti medici” le causarono dolori tremendi e stava per impazzire, ma il campo fu liberato il 30 aprile 1945 e Wanda, dopo la guerra, si trasferì da Lublino a Cracovia: in questo modo provava a cancellare gli incubi legati alla guerra e alla prigionia.
Dopo le sue esperienze nell’inferno nazista, Wanda si chiedeva chi fosse l’uomo, se era capace di commettere tali atrocità. In quegli anni difficili incontrò un uomo, un sacerdote, che seppe capirla ed aiutarla: don Karol Wojtyła. E con don Karol cominciò anche a collaborare, particolarmente nell’ambito della difesa della vita e della famiglia. Nell’intervista che mi ha concesso nel 2014, pubblicata nel libro Accanto a Giovanni Paolo II. Gli amici e collaboratori raccontano (Edizioni Ares, Milano), così ha spiegato questo suo impegno per la vita: «Durante la mia prigionia al campo di Ravensbrück vedevo i nazisti buttare i neonati nei forni crematori: per tutta la vita avevo davanti agli occhi queste immagini strazianti. Per questo motivo mi sono promessa, se fossi sopravvissuta, di studiare medicina e di difendere la vita. […] Nel 1956 nella Polonia comunista fu varata la legge sull’aborto. Io, come medico, e lui, come sacerdote, fummo impressionati di questa decisione contro la vita. Allora abbiamo iniziato un lavoro comune contro questa legge. L’impegno di salvare un bambino neonato, una vita nuova che sbocciava, cominciò allora ed è durato per altri cinquant’anni, sino alla fine».
Il 15 maggio 2020, in occasione dell’anniversario della nascita di san Giovanni Paolo II, la dottoressa Poltawska ha lanciato dalle pagine de L’Osservatore Romano un appello: «Se si vuole ora davvero onorare il centenario della sua (di Giovanni Paolo II) nascita e la sua memoria, io vedo solo un modo: convertire le persone affinché capiscano che ogni bambino e ogni persona hanno il diritto alla vita. L’unico Signore della vita è il Creatore che ama il suo creato. Sono sicura che una legge internazionale che vieti di uccidere i bambini non nati potrebbe essere un ‘regalo’ dell’umanità per questo grande uomo». Questo “regalo” è arrivato dalla Polonia, dove il 22 ottobre, il giorno della memoria liturgica di san Giovanni Paolo II, la Corte Costituzionale ha dichiarato l’incostituzionalità di una legge che permette l’aborto di feti con difetti congeniti. I giudici hanno stabilito che il diritto alla vita, tutelato dalla Costituzione, è dato all’uomo in ogni fase dello sviluppo ed egli ha diritto alla tutela della propria dignità umana, anche nel periodo prenatale. Purtroppo, nel mondo di oggi ci sono delle forze potentissime che contrastano qualsiasi limitazione dell’aborto e, perciò, hanno scatenato in Polonia e contro la Polonia una violenta protesta. Anche la dottoressa Wanda è stata attaccata verbalmente: la sua lotta per difendere la vita non finisce mai, neanche a 100 anni.
Ricordando la figura della dottoressa Poltawska va ricordata una storia particolare, che la lega all’arcivescovo di Cracovia e a san Pio da Pietrelcina. Nel novembre 1962 arrivò a mons. Wojtyła, che si trovava a Roma per il Concilio Vaticano II, la notizia di una grave malattia di Wanda. Allora Wojtyła si ricordò del frate cappuccino di Pietrelcina, che egli aveva incontrato nel 1948, e volle chiedere a quell’uomo di Dio le preghiere per la donna, che era madre di quattro figlie. Il 17 novembre 1962 scrisse una prima lettera, che venne recapitata al frate da un impiegato della Segreteria di Stato, Battisti. Padre Pio, dopo essersi fatto leggere il contenuto della lettera, pronunciò la frase: «A questo non si può dire di no». A distanza di alcuni giorni, Wanda, prima di sottoporsi all’intervento chirurgico per eliminare la massa tumorale, eseguì un nuovo esame diagnostico, da cui risultò che il tumore era completamente scomparso. Questa notizia raggiunse immediatamente mons. Wojtyła, che il 28 novembre scrisse una seconda lettera a padre Pio. In quella occasione il frate cappuccino disse: «Sia ringraziato Dio!» e consigliò a Battisti di tenere entrambe le lettere.
In occasione del centesimo compleanno della dottoressa Wanda Poltawska, il 3 novembre, nella basilica di Santa Maria a Cracovia è stata celebrata una Messa solenne, presieduta dal card. Stanisław Dziwisz, arcivescovo emerito di Cracovia e già segretario di Papa Wojtyła. Erano presenti i familiari della festeggiata, i suoi amici e colleghi, ma anche rappresentanti delle autorità statali e locali. Nella sua omelia il card. Dziwisz ha condiviso la gioia di tutti coloro che si sono riuniti nella chiesa per festeggiare, con l’Eucaristia, «una donna straordinaria alla quale la Chiesa e la Polonia devono tanto». Il porporato ha ricordato che la vita della giovane Wanda fu segnata dall’inferno delle prigioni e dei campi di concentramento tedeschi, ma «in questo crogiolo di sofferenza e umiliazione è emerso l’oro del suo amore e del suo servizio». L’amore e lo spirito di servizio hanno caratterizzato tutta la sua vita come moglie e madre, come medico e docente universitario. Il card. Dziwisz ha parlato del suo impegno «alla grande causa della difesa della vita umana fin dal suo concepimento» e verso la famiglia, per preparare i giovani al progetto del bellissimo amore coniugale. Anche se nei tempi del regime comunista non è stato un compito facile. Quindi il cardinale ha ricordato il rapporto speciale fra la dottoressa Wanda e il card. Wojtyła, di cui è stata una fedele collaboratrice. «La loro amicizia e il loro legame spirituale hanno dato vita a un bene enorme che ha arricchito la Chiesa, non solo nella nostra Patria. Inutile dire quanto Giovanni Paolo II abbia apprezzato la rettitudine, la saggezza, l’esperienza e l’appassionato impegno della dottoressa nelle grandi questioni dell’uomo, della famiglia e della società», ha concluso il porporato.
Martedì, 30 novembre 2021