Il mondo contemporaneo è sempre più segnato dalla crisi delle relazioni. Su di esse anzitutto bisogna lavorare per fermare la corsa verso un nichilismo sempre peggiore.
di Marco Invernizzi
«Oggi non si può più essere cristiani come semplice conseguenza del fatto di vivere in una società che ha radici cristiane: anche chi nasce da una famiglia cristiana ed è educato religiosamente deve, ogni giorno, rinnovare la scelta di essere cristiano, cioè dare a Dio il primo posto, di fronte alle tentazioni che una cultura secolarizzata gli propone di continuo, di fronte al giudizio critico di molti contemporanei».
Queste parole del Papa emerito, pronunciate da Benedetto XVI nell’udienza di mercoledì 26 febbraio 2013, mi sembrano il miglior modo per fare gli auguri di Natale a chi segue il sito e le attività di Alleanza Cattolica. Perché esse ci mettono di fronte alla realtà, dura e triste, del secolarismo che avanza, ma non sono assolutamente senza speranza, anzi. Ci dicono soltanto quello che constatiamo tutti i giorni: il Cristianesimo non è più, e da molto tempo, il senso comune del nostro popolo. Quindi è inutile gridare, protestare, scandalizzarsi e, poi, chiudersi tranquilli nella convinzione che, noi pochi rimasti, siamo gli unici “buoni”, nel giusto: peggio per gli altri.
Questo non è cristianesimo, questo soprattutto non è l’insegnamento di Cristo. E’ piuttosto l’atteggiamento falsamente aristocratico di chi si ritiene superiore, si chiude nel “gruppo” degli eletti e guarda dall’alto lo svolgersi degli eventi. Sempre Benedetto XVI ha condannato questo modo sbagliato di essere cristiani nell’enciclica Spe salvi, ricordando che l’uomo è un essere sociale, o un animale politico avrebbe detto Aristotele, che non si salva da solo, ma attraverso le relazioni che instaura con gli altri. Cristo andava a cercare i peccatori, gli ammalati, coloro che avevano bisogno del medico.
Anche l’uomo contemporaneo ha bisogno di un medico speciale, che gli curi l’anima. Noi per primi. Ma se per Grazia ricevuta il battezzato ha un po’ di consapevolezza di questa situazione drammatica del “mondo che muore”, allora ha il dovere di “uscire” da se stesso, di andare a cercare gli ammalati, di piegarsi su una società ferita per fare quanto è nelle sue possibilità per costruire un mondo migliore, a partire dagli ambienti piccoli o grandi che frequenta.
Nel 2022 ci aspettano nuove battaglie. I possibili referendum su droga e omicidio del consenziente, ma soprattutto le battaglie culturali, in primis quella per portare l’attenzione di una classe dirigente distratta o ideologicamente indifferente sul tema del suicidio demografico. Ogni anno l’Istat ci ricorda che diminuisce il numero dei nati (e nella pandemia è invece aumentato quello dei morti), ma dopo le solite reazioni di facciata di intellettuali, giornalisti e politici tutto continua come prima. Nessuna importante politica a sostegno della famiglia e soprattutto nessuna attenzione culturale alla cellula fondamentale della società. Del resto, non c’è da meravigliarsi: i matrimoni diminuiscono drasticamente, soprattutto quelli religiosi, come ci ricorda sempre l’Istat, e temo che non sia solo un problema legato alla diffusione del Covid-19; le separazioni e i divorzi invece aumentano. Tutto questo induce molti a ritenere la famiglia come qualcosa di non necessario, forse di superabile.
Sono le relazioni ad essere ammalate ed è su quelle che bisogna lavorare. Certo, le relazioni dipendono dalle persone, ma poche persone sono veramente consapevoli di quanto sia importante in un’epoca di crisi ripartire dalle relazioni, anche le più piccole, facendo ogni sforzo per renderle più forti, più durature, più capaci di allargarsi e di generare ambienti.
Come ripete spesso Papa Francesco, lamentarsi non è un atteggiamento da cristiano. Serve fiducia in Dio, che non ha voltato le spalle agli uomini, e serve tanta voglia di andare oltre il proprio io.
Natale può essere l’occasione perché ciascuno chieda a Gesù Bambino di ottenere per sé questa importante Grazia.
Mercoledì, 15 dicembre 2021