Un provvedimento inquietante contro i custodi della memoria del “dissenso in URSS”
di don Stefano Caprio
Con la decisione del tribunale di Mosca del 29 dicembre 2021 è stata ufficialmente soppressa l’associazione culturale e umanitaria Memorial, creata nel 1987 per denunciare le repressioni dei lager sovietici e riabilitare la memoria delle vittime. Con questa decisione si consuma simbolicamente il trentennio “post-sovietico”, per passare in modo esplicito alle condizioni della nuova Russia “neo-sovietica”. La chiusura è stata motivata con la violazione delle norme sugli “agenti stranieri”, che negli ultimi anni esprimono la vera natura del regime isolazionista e anti-occidentale della Russia putiniana.
Secondo tali norme, le organizzazioni che ricevono finanziamenti dall’estero per attività sociali, culturali e informative vengono iscritte in una “lista nera”, sono tenute ad auto-denunciarsi in ogni pubblicazione o manifestazione con la dicitura «questo contenuto è considerato agente straniero», e i suoi membri sono soggetti a una serie di limitazioni. Alla motivazione ufficiale, la Procura generale che sosteneva l’accusa ha aggiunto quelle di «diffamazione della memoria dell’Unione Sovietica, descritta come un paese terrorista» (l’antica accusa di “propaganda antisovietica”), e inoltre della «diffusione di false informazioni» e perfino di «induzione alla depressione» della popolazione.
La depressione dei russi è in effetti il sentimento dominante rimasto come eredità del crollo repentino dell’Unione Sovietica, che ha fatto fuggire tutti i “fratelli” delle altre repubbliche, facendo perdere alla Russia lo status di superpotenza mondiale e sprofondandola nella crisi economica e sociale. Da allora rimane quasi come subcosciente collettivo il desiderio di rivalsa, soprattutto nei confronti degli odiati occidentali e dei “traditori” da loro stipendiati, oggi identificati proprio negli “agenti stranieri” di cui Memorial è probabilmente il padre putativo. Riemerge qui anche l’antica allergia russa a ogni forma di dissenso, che risale ai tempi del “giogo tartaro” e dei principi che si vendevano ai khan per ottenere dei vantaggi. Ai tempi sovietici, molti disprezzavano i dissidenti non per la loro contrarietà al regime totalitario, ma per la tendenza a “cercare gloria” presso gli occidentali invece di soffrire insieme al popolo in attesa della redenzione.
Lo stesso Vladimir Putin era asceso al potere nel 1999, alla fine dei convulsi anni di Boris Nikolaevič Eltsyn (1931-2007), che aveva scelto l’Occidente come modello da imitare, finendo per rendere la Russia un Paese impaurito dall’aggressività del capitalismo mondiale e umiliato, fino ad avere la sensazione di essere ormai ridotto ai minimi livelli economici e politici dalla comunità internazionale. Le prime parole di Putin da premier furono riassunte nella famosa frase di minaccia rivolta ai terroristi ceceni: «li faremo fuori andando a prenderli anche al cesso», col gergo di strada (o piuttosto “di galera”, di leniniana memoria) che lo ha contraddistinto nel successivo ventennio di potere. Ora appare chiaro che il nuovo “zar il Terribile” non ce l’aveva solo con i ceceni, ma con tutti i nemici interni ed esterni della Russia, anzi del «Mondo Russo» (Russkij Mir), l’espressione usata da Putin per indicare lo spazio ex-sovietico e la grande comunità dei russi sparsi a tutte le latitudini. Dopo tante vicende drammatiche e la ricerca spasmodica delle vie di ricostruzione della grandezza della Russia, nel 2020 l’erede degli zar e dei segretari del Pcus ha sintetizzato tutte le conquiste politiche e ideologiche nella nuova Costituzione, approvata nella tempesta mondiale della pandemia di Covid-19, con la quale rendeva praticamente eterna la sua presidenza e consacrava le colonne della vera “idea russa”, che dall’antica Rus’ medievale giunge oggi a riprendersi il posto che le compete al mondo, senza rinnegare nulla del proprio passato, neanche il secolo rivoluzionario dei lager e delle “grandi guerre patriottiche”. Il sigillo su questo disegno sarebbe la riconquista di Kiev, la prima storica capitale, con un’invasione dell’Ucraina che sembra farsi di giorno in giorno sempre più probabile.
Proprio le tensioni internazionali di questi anni e di questi giorni, che vedono fronteggiarsi sul Mar Nero le navi da guerra della Nato e quelle della flotta russa di Sebastopoli, e sui confini bielorussi migliaia di profughi asiatici e africani gettati come armi improprie contro le frontiere della Polonia e dell’Europa, hanno portato infine alla “liquidazione” di Memorial, secondo il gergo giuridico russo di reminiscenza sovietica (la likvidatsija dei nemici della rivoluzione era il ritornello di Lenin e Stalin). La messa al bando di ogni finanziamento e sponsorizzazione proveniente dall’estero non è altro che una ritorsione contro le tante sanzioni occidentali, che si susseguono dall’annessione della Crimea nel 2014 contro la Russia e ora anche contro la Bielorussia, l’ultimo fratello sovietico rimasto fedele all’ideale della grande Unione. Del resto, proprio la prima fase post-sovietica degli anni Novanta aveva visto spadroneggiare in Russia una schiera di stranieri, europei e occidentali, chiamati dallo stesso Eltsyn ad aprire aziende e banche, iniziative sociali e caritative, istituti di studio e comunità religiose delle confessioni “eretiche” del Cristianesimo cattolico e protestante. I primi ad accogliere e affiancare questa invasione erano stati proprio gli eredi del dissenso antisovietico dei decenni precedenti, a cui gli occidentali guardavano come la speranza di una Russia allineata al nuovo modello del mondo pacificato e “globalizzato”, che si era liberato dallo spauracchio del comunismo e del totalitarismo.
In realtà, i membri di Memorial avevano addirittura preceduto questi cambiamenti epocali, emergendo dalle nebbie sovietiche già negli anni della perestrojka gorbacioviana. L’associazione era nata nel 1987, sulla base della sezione storica ed educativa del club Perestrojka Democratica, che teneva incontri regolari nella sala dell’Istituto centrale di economia e matematica dell’Accademia russa delle scienze. L’anno prima, in conseguenza dello scoppio della centrale nucleare di Černobyl, Gorbačev aveva dovuto accelerare l’apertura della glasnost, la “trasparenza” delle informazioni che tutto il mondo chiedeva per valutare gli effetti della catastrofe-simbolo della fine dell’Urss. Insieme alla libertà di informazione, era stato necessario liberare i prigionieri politici che ancora erano rinchiusi nei lager o rimanevano segregati nelle città di confino, come Andrej Sakharov, il fisico e premio Nobel che impersonava l’anelito alla libertà di tutti i dissidenti e divenne il padre di Memorial, nonché di tutte le iniziative per strapparsi dal collo il giogo della dittatura.
A quel punto, per la prima volta nel XX secolo, nel Paese era diventato possibile riconoscere e condannare apertamente la repressione. Secondo le memorie del direttore esecutivo di Memorial, Elena Žemkovaja, alla fine di una riunione del club uno dei professori, Jurij Samodurov, invitò diversi partecipanti a rimanere a discutere le iniziative pratiche che avrebbero permesso di riabilitare le vittime della repressione politica e perpetuare la loro memoria. La prima idea fu quella di raccogliere le firme per l’installazione di un monumento in onore delle vittime del terrore. Presto furono aperte sezioni del circolo in varie città della Siberia e dell’Ucraina, come Krasnojarsk, Novosibirsk, Kharkov, Voronež, Tomsk. Per evitare il centralismo, ciascuna delle cellule veniva registrata come organizzazione indipendente. Il processo di selezione per i membri del Consiglio di Memorial venne poi organizzato in modo molto simbolico e originale: un gruppo di volontari intervistava i passanti in piazza Puškin, al centro di Mosca, compilando un elenco dei venti nomi più frequentemente citati. Insieme a Sakharov spiccavano nomi prestigiosi della cultura e della politica, come il poeta Vitalij Korotič, lo storico della letteratura Dmitrj Lichačev (1906-1999), il politico emergente Boris Eltsyn, il gorbacioviano Jurij Afanas’ev, il poeta Evgenij Evtušenko (1932-2017) e il cantautore Bulat Okudžava (1924-1997), fino all’altro grande dissidente, Aleksandr Solženitsyn (1918-2008), che rifiutò, essendo ancora in esilio in Canada (tornò solo nel 1994, rimanendo comunque isolato da ogni aggregazione politica).
Nel giugno del 1988 Memorial riuscì ad ottenere dalle autorità il permesso di tenere una manifestazione nel Parco dell’Amicizia di Mosca, in memoria delle vittime del terrore politico, durante la quale intervennero Andrej Dmitrevič Sakharov, Sergej Kovalev, Jurij Afanas’ev, Elem Klimov e altri. Ai rappresentanti del Comitato centrale del PCUS, che erano presenti alla manifestazione, furono consegnate 45mila firme raccolte per l’installazione di un monumento alle vittime della repressione. Il 14 giugno 1988 si tenne una manifestazione analoga a Leningrado, poi tornata San Pietroburgo, e nell’agosto successivo Sakharov fu eletto presidente del Consiglio di Memorial, anche se l’organizzazione non aveva ancora una registrazione ufficiale. Sakharov ha cercato in ogni modo di ottenere la registrazione di Memorial, incontrando più volte i rappresentanti delle autorità e partecipando attivamente alla creazione della conferenza preparatoria del 29-30 ottobre 1988, alla quale parteciparono circa 600 persone. Il partito cercò di bloccare la sua registrazione con tutti i cavilli giuridici e amministrativi possibili, esercitando anche forti pressioni sui membri delle sezioni regionali dell’associazione. Il 29 e 30 gennaio 1989 si tenne, infine, la conferenza di fondazione di Memorial presso la Casa della Cultura dell’Istituto dell’Aviazione di Mosca. Sakharov venne addirittura eletto deputato del Parlamento di Mosca alle elezioni di primavera, ma morì pochi mesi dopo, il 14 dicembre 1989, a soli 68 anni. Al funerale, il presidente Mikhail Gorbačev chiese alla vedova, Elena Bonner (1923-2011), come perpetuare la memoria di Andrej Dmitrevič, ed ella immediatamente rispose: «registri Memorial!» Un mese e mezzo dopo, arrivò finalmente il permesso dalle autorità; nell’aprile 1991 Memorial ottenne ogni permesso giuridico, giusto trent’anni prima della chiusura forzata dei giorni scorsi.
Negli anni Novanta l’associazione si gettò a capofitto nell’attività editoriale, anche con il lancio di un proprio quotidiano, chiamato 30 Ottobre in ricordo di quando, il 30 ottobre 1974, i prigionieri dei lager della Mordovia e di Perm avevano iniziato uno sciopero della fame di massa per protestare contro le repressioni del regime. Già dagli ultimi anni di Gorbačev era diventato possibile consultare gli archivi statali e quelli del KGB, ora diventato FSB, sulle vittime dei lager: una possibilità che si sarebbe attenuata verso la fine del periodo eltsiniano e chiusa definitivamente negli anni di Putin. Il “libro elettronico” in cui sono custodite le memorie ritrovate è comunque riuscito a raccogliere quasi tre milioni di nomi di vittime. Oltre ai nomi e alle storie dei prigionieri, degli esiliati, delle tante persone uccise e di quelle infangate da accuse infamanti (per mascherare la repressione politica), era stato possibile in quegli anni installare altri monumenti, aprire centri e mostre, perfino ritrovare i luoghi delle esecuzioni e delle sepolture, come il poligono di Butovo, vicino a Mosca, o il bosco di Sandormokh, non lontano da San Pietroburgo, là dove erano state eseguite fucilazioni di massa nel 1937 alla chiusura del primo dei grandi lager, quello delle isole Solovki. Lassù, sopra il Circolo Polare Artico, avevano trovato il martirio vescovi e sacerdoti ortodossi e cattolici, come il teologo Pavel Florenskij (1882-1937) o l’esarca dei greco-cattolici Leonid Fedorov (1879-1935), poi canonizzato dalla Chiesa ucraina. Moltissimi di questi testimoni sono stati poi accolti dalla Chiesa ortodossa russa nell’elenco dei «nuovi martiri del XX secolo», la cui documentazione è stata ritrovata in gran parte proprio grazie ai membri di Memorial. L’elenco non è completo, ma la Chiesa ha chiuso da qualche anno le procedure di canonizzazione per l’impossibilità di consultare gli altri documenti.
Le fosse comuni staliniane del bosco di Sandormokh furono ritrovate da uno degli esponenti più importanti di Memorial, lo storico 67enne Jurij Dmitriev, responsabile della sezione della Carelia (la Finlandia russa) e autore della ricerca sulla storia della costruzione del canale tra il Mar Bianco e il Mar Baltico, il Belomorkanal, costruito da Stalin a tempo di record tra il 1931 e il 1933, in cui si calcola che persero la vita circa 300mila condannati ai lavori forzati. Il suo destino personale ha preceduto e annunciato la fine dell’intera associazione: arrestato nel 2016 con accuse di molestie sessuali nei confronti della figlia adottiva minorenne, a molti apparse decisamente forzose, è stato condannato inizialmente a tre anni di reclusione, quindi a 13 e, pochi giorni prima della chiusura di Memorial, a 15 anni, di fatto «una condanna a vita», come egli stesso ha affermato. Una sorte simile sembra essere quella dell’oppositore più in vista dell’ultimo anno, il blogger Aleksej Naval’nyj, avvelenato nell’agosto 2020 e arrestato al rientro in patria, nel gennaio 2021, con una condanna a tre anni già estesa ad altri due e, probabilmente, destinata ad aumentare a oltranza, proprio come avveniva ai tempi di Stalin, quando venivano comminate condanne per reati vari a cui venivano aggiunti “sulle corna”, come si diceva, altri periodi da scontare per accuse rimediate in lager, senza alcuna possibilità di difesa.
Le attività di Memorial sono comunque continuate con molta intensità anche nei periodi meno favorevoli. Nel 1997 i membri del Memorial Human Rights Center, l’estensione internazionale di Memorial, hanno pubblicato il libro The Unknown Soldier of the Caucasian War, 1994-1996, documentando così non più una strage dei tempi sovietici, ma una delle tragedie della nuova Russia, il conflitto ceceno che fece da premessa all’ascesa di Putin al potere. Il libro contiene un elenco dei nomi dei soldati russi morti, dispersi e catturati durante la prima guerra cecena.
Nel 1999-2000 Memorial ha tenuto a Milano la mostra GULAG: The System of Camps in the USSR. Nel 2000 il centro ha avviato un’indagine sull’omicidio di oltre cinquanta civili nel villaggio ceceno di Novye Aldy. Nello stesso anno è stato lanciato il programma «Tutela dei diritti umani mediante meccanismi internazionali». Nel 2001 Memorial ha pubblicato una testimonianza impressionante, la prima edizione del diario della studentessa Nina Lugovskaja, prigioniera negli anni Trenta del terrore staliniano, e ha creato il sito web Caucasian Knot. Nel 2004 il centro è stato uno dei fondatori della Public Verdict Foundation. Nel 2004 il Memorial Research Center di San Pietroburgo ha creato il Museo virtuale GULAG. Nel 2010 è stata lanciata la terza versione del sito. Dal 2007 al 2011 c’è stato un contenzioso con l’ufficio del Procuratore Militare Capo di Russia, chiedendo la riabilitazione delle vittime di Katyn e la declassificazione dei materiali investigativi. Il 10 luglio 2007 ha avuto luogo l’apertura delle prime «Letture alternative russe», su ispirazione dell’imprenditore incarcerato in lager Mikhail Khodorkovskij, arrestato nel 2003 e graziato da Putin nel 2013, per venire poi esiliato in Germania.Il 29 ottobre dello stesso anno si è svolta la prima azione de «Il ritorno dei nomi» presso la lapide posta alle isole Solovki, dove in seguito tutte le iniziative di Memorial sono state chiuse per lasciare spazio al monastero ortodosso locale.
Nel 2008 è stato creato il programma «Sostegno ai prigionieri politici e ad altre vittime della repressione politica». Il 18-19 marzo 2008 Memorial, insieme al Centro Culturale Polacco, ha tenuto a Mosca la proiezione del film Katyn di Andrzej Wajda. A marzo è stato pubblicato l’appello «Sulle immagini nazionali del passato» (il XX secolo e la “guerra delle memorie”). Il 5-7 dicembre si è tenuta la prima conferenza internazionale sulla «Storia dello stalinismo», che ha radunato moltissimi storici, specialisti e relatori da tutto il mondo. Nel 2009 Memorial ha lanciato il portale Lezioni di Storia. Nel 2011 Memorial si è trasferito nei nuovi locali moscoviti in Karetnyj Rjad, dove sono stati trasferiti l’archivio, il museo e la biblioteca. I fondi per l’acquisto dei locali sono stati forniti dalle fondazioni Ford e Böll, dall’Open Society Institute e da donatori privati. L’associazione aveva ormai uno statuto internazionale riconosciuto e sono iniziati i guai con il regime, che ha tempestato la nuova sede di continue verifiche e sanzioni per irregolarità di ogni genere: era proprio il modello di quello che poi è stato definito “agente straniero”, a cui sono stati assimilati molti altri centri di studio e ricerca, agenzie e case editrici e istituzioni di ogni genere.
Il 13 marzo 2012 Memorial ha lanciato il sito Maledetti dal potere, dedicato alle attività della Croce Rossa sovietica, e il 30 ottobre dello stesso anno è stato aperto il sito Il Martirologio di Rjazan, dedicato al periodo del terrore di stato sovietico nella regione centrale della Russia europea. Dopo la radicalizzazione del regime putiniano seguita al conflitto ucraino, esploso dopo la rivoluzione dell’Euromaidan di Kiev nell’inverno 2013-2014, le persecuzioni contro Memorial e gli “agenti stranieri” si sono fatte incalzanti e sempre più pesanti, fino alla decisione della soppressione.
Durante il processo, l’accusa sostenuta dalla Procura generale ha attribuito a Memorial un ruolo politico attivo di opposizione all’ordine costituito. Secondo il procuratore, «Memorial ha partecipato a tutti i movimenti di protesta, ha sostenuto le manifestazioni non autorizzate, che avevano lo scopo di destabilizzare il paese». Le liste dei prigionieri politici pubblicate e diffuse da Memorial hanno lo scopo di formare un’impressione negativa del sistema giudiziario in Russia e a confondere le idee ai cittadini, motivazioni che portano alle accuse di “estremismo” e perfino “terrorismo”. L’avvocato di Memorial Vitalij Čerkasov ha sostenuto nel suo intervento che «si sta cercando di spegnere quella piccola lampada ancora accesa che segnala che qualcosa non sta funzionando nel nostro Paese».
Come molti hanno fatto notare, il processo a Memorial è in tutto e per tutto un processo politico, che pone un interrogativo epocale non solo ai russi, ma agli europei e al mondo intero: che mondo abbiamo costruito in questi trent’anni, dopo la fine del comunismo? Che cosa abbiamo imparato dalle storie tragiche dello scorso secolo? Un altro avvocato, Ilja Novikov, ha citato un poeta del dissenso, Igor Guberman:
«Quando si alza il turbine del terrore
E l’oscurità della caccia è squarciata da latrati
Benedetto colui che potrà osare
Di non spegnere il fuoco nei luoghi amati».
Venerdì, 31 dicembre 2021