Card. Camillo Ruini: «La santità di Giovanni Paolo II ha illuminato di sé tutta la Chiesa».
di Wlodzimierz Redzioch
Il cardinale Camillo Ruini (Sassuolo, 19 febbraio 1931) è stato vicario del Pontefice per la diocesi di Roma e arciprete della basilica papale di San Giovanni in Laterano dal 1º luglio 1991 al 27 giugno 2008, sotto i pontificati prima di Giovanni Paolo II, che lo ha chiamato a Roma, poi di papa Benedetto XVI, che lo ha riconfermato fino al compimento del 77° anno di età. Presidente della Conferenza Episcopale Italiana (CEI) dal 7 marzo 1991 alla stessa data del 2007 e, fino al 31 gennaio 2013, presidente del Progetto culturale della CEI, è stato considerato per quasi un trentennio la personalità più influente della Chiesa in Italia. È stato (e lo è ancora) un lucidissimo interprete della situazione politica ed ecclesiale non solamente in Italia, ma in Europa e nel mondo.
Con l’avvicinarsi del giorno 2 aprile il porporato ricorda la morte e i funerali di Giovanni Paolo II, di cui fu uno dei più importanti, competenti e fedeli collaboratori.
Lei, da Vicario del Papa per la diocesi di Roma, come ha vissuto l’agonia di Giovanni Paolo II e la reazione della gente che affollava la piazza San Pietro gli ultimi giorni di marzo e primi di aprile del 2005?
Ho fatto la mia ultima visita a Giovanni Paolo II il mattino del suo ultimo giorno di vita. Mi fermai brevemente per dire una preghiera e ricevere la sua benedizione, ma lo vedevo talmente affaticato che mi sono trattenuto nella sua stanza il meno possibile. La sera ero a casa mia, in San Giovanni in Laterano, e stavo pregando quando la TV diede la notizia della morte del Papa. Mi precipitai in Vaticano con il mio autista e il mio segretario. L’autista fu molto bravo, riuscì a passare e a entrare in Vaticano, nonostante la grande folla che riempiva le strade. Sono salito subito e sono entrato nell’appartamento pontificio. Nello stesso tempo è arrivato l’allora card. Ratzinger. Poco dopo, mons. Stanislao Dziwisz e suor Tobiana hanno portato nella stanza la salma del Papa e ci siamo fermati a pregare.
Quando sono uscito per tornare al Laterano c’era ancora più gente che pregava. Ne fui molto confortato: quell’enorme folla e quel grido, «santo subito!», significavano che la gente aveva compreso la santità e la grandezza di questo Papa, che la sua testimonianza di fede e di amore, il tanto bene da lui fatto in oltre 26 anni di Pontificato avevano inciso in profondità nell’anima delle persone ed erano destinati a portare ancora molto frutto.
Nei giorni seguenti questa certezza si è rafforzata, alla vista di quella fiumana di gente che non accennava a diminuire, e per le tante testimonianze di persone che volevano parlarmi. Ho avuto anche l’onore e la gioia di celebrare una Messa in San Pietro per il Papa defunto in uno dei giorni precedenti il funerale solenne: preparando la breve omelia ho rivissuto interiormente i vent’anni nei quali sono stato tra i diretti collaboratori di Giovanni Paolo II.
Dopo la morte di Giovanni Paolo II sembrava che tutto il mondo si fosse messo in fila per rendergli omaggio e dargli l’ultimo saluto, aspettando in file chilometriche. Si è chiesto perché milioni di persone venute da tutta Italia e da tutto il mondo sentivano così forte il legame con Giovanni Paolo II?
Visitando con il Papa le parrocchie di Roma, avevo già toccato con mano l’affetto e la devozione della gente per Giovanni Paolo II. Specialmente quando la malattia aveva reso per lui difficile camminare. Tuttavia il Papa percorreva lentamente la navata centrale delle chiese parrocchiali spostandosi sulla destra e sulla sinistra, per consentire al maggior numero di persone di toccarlo e di rivolgergli la parola. Avevo notato che molti piangevano di commozione, ammirati per il suo coraggio e la sua dedizione, ma erano anche rattristati nel vederlo così sofferente.
Perciò non fui tanto sorpreso alla vista di quelle file interminabili che gli davano l’ultimo saluto. Certo, il fenomeno era imponente e anche sorprendente: non si erano mai visti una simile partecipazione e un così forte coinvolgimento affettivo. Ricordo che, quando siamo stati ammessi, in numero inevitabilmente limitato, a vedere per l’ultima volta la salma prima che fosse chiusa nella bara, un noto uomo politico italiano scoppiò a piangere vicino a me, pur non essendo particolarmente credente.
Il fatto che Giovanni Paolo II abbia visitato, nel corso del suo Pontificato, tanti Paesi del mondo e tante diocesi italiane è certamente uno dei motivi per i quali tanti milioni di persone gli erano affezionati. Ma ci deve essere qualcosa di più: mi riferisco al fascino che emanava da lui, fascino che era espressione della sua santità e della sua straordinaria umanità. Tante volte ho constatato che questo Papa non aveva bisogno di molte parole per suscitare l’affetto, anzi l’entusiasmo, sia dei piccoli gruppi sia delle grandi folle. Ciò che è avvenuto nei giorni successivi alla sua morte è la conferma di tutto questo.
L’8 aprile 2005, i funerali di Giovanni Paolo II in Vaticano rappresentavano il più grande ritrovo di autorità politiche nella storia: delegazioni ad alto livello (presidenti, premier, ministri, ambasciatori) di 159 stati, rappresentanti delle organizzazioni internazionali e leader religiosi. Dagli Stati Uniti è arrivata la delegazione composta dal presidente George W. Bush, Condoleezza Rice, segretario di Stato, e i due ex-presidenti George Bush padre e Bill Clinton, ma anche rappresentanti del Congresso americano. Perché tutto il mondo rendeva omaggio a Giovanni Paolo II?
Giovanni Paolo II era un Papa totalmente immedesimato nella missione apostolica ed evangelizzatrice della Chiesa. Perciò non faceva politica e tuttavia, proprio così, ha svolto un grande ruolo sulla scena politica internazionale. Il pensiero corre subito alla Polonia e a Solidarnosc, il sindacato che ha osato sfidare il potere comunista con il decisivo sostegno di Giovanni Paolo II. In questo modo è caduta la cortina di ferro ed è finita la divisione dell’Europa. Non possiamo dimenticare, inoltre, l’incessante impegno di questo Papa a favore della pace, ad esempio la sua opera per evitare uno “scontro di civiltà” dopo il tragico attentato alle Torri Gemelle di New York, con l’incontro di Assisi e la grande preghiera per la pace dei leaders delle varie religioni.
Non è strano, perciò, che ai funerali dell’aprile 2005 abbiano partecipato i più alti rappresentanti di tanti Paesi e Stati. Aggiungo che erano presenti anche gli esponenti di Chiese e comunità cristiane non cattoliche e di altre religioni. Ricordo in particolare il metropolita Kirill, che rappresentava il Patriarcato ortodosso russo e che adesso è diventato egli stesso il Patriarca. Kirill chiese di vedermi e mi affidò un messaggio per colui che il Conclave avrebbe eletto successore di Giovanni Paolo II. Trasmisi il messaggio a Benedetto XVI nella prima udienza che mi concesse dopo la sua elezione.
La morte e i funerali di Giovanni Paolo II sono stati, per la Chiesa cattolica, un vero apogeo, un vertice difficilmente uguagliabile di credibilità evangelica, di autorevolezza e di fiducia. La santità del defunto Pontefice ha illuminato di sé tutta la Chiesa.
Sono passati appena 17 anni da quell’omaggio corale del mondo a Giovanni Paolo II e 7 anni dalla sua canonizzazione, ma certi ambienti, particolarmente in Polonia, fanno di tutto per infangare la gigantesca figura del Papa e per far scordare il suo Magistero. Cosa direbbe a questa gente?
Quello che lei mi dice è davvero sconcertante e sarebbe incredibile, se purtroppo non fosse vero. Chi, come me, è stato a lungo a contatto diretto con Giovanni Paolo II ha potuto maturare, già quando egli era ancora vivo, la convinzione e direi la certezza di avere a che fare con un grande santo, oltre che con un grande uomo. Mi ha colpito fin dall’inizio l’intensità della sua preghiera: vi si immergeva totalmente, appena le circostanze lo permettevano, e niente di ciò che accadeva intorno a lui lo distraeva. Mi stupiva la sua straordinaria capacità di perdonare anche coloro che si opponevano con asprezza, spesso dentro alla Chiesa, alle direttive del suo Pontificato e alla sua stessa persona. Giovanni Paolo II era totalmente distaccato dai beni della terra, alle sue necessità provvedeva la carità di qualche buona persona. Era invece quanto mai sollecito ad aiutare i poveri, vicini e lontani, in particolare i “popoli della fame”. Chi mette in dubbio la sua santità è accecato dai pregiudizi e non sa quello che dice.
Dispiace soprattutto quando sono dei cattolici a prendere tali posizioni. Non sapevo che proprio in Polonia ci siano ambienti dediti a infangare la sua figura e a far dimenticare il suo Magistero. Sappiamo tutti quanto Giovanni Paolo II ha fatto per la Polonia e quanto abbia amato la sua patria. Egli è il figlio della Polonia che nel nostro tempo ha più reso grande il proprio Paese. Devo pensare che questi assurdi attacchi abbiano la loro principale radice nell’insofferenza verso il Magistero di questo grande Papa. Mi riferisco ad esempio alla difesa della famiglia e della vita umana, contro cui oggi in Polonia c’è un’opposizione alla quale danno molto rilievo, anche in Italia, i mezzi di comunicazione impegnati a screditare il nostro grande patrimonio di civiltà umana e cristiana. Di loro non dobbiamo avere paura, come ha detto Giovanni Paolo II fin dall’inizio del suo Pontificato. Dobbiamo invece essere fino in fondo testimoni della verità e del bene, in Polonia come in Italia e in ogni altro luogo.
* * *
L’intervista in polacco è stata pubblicata nel settimanale Niedziela (La Domenica)