Il sacerdote che mi accoglie all’ingresso del Monastero “Mater Ecclesiae” è da quasi vent’anni il più stretto collaboratore di Joseph Ratzinger: prima il Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, poi il Papa, e dal 2013 il Papa emerito. Vivono insieme in una residenza nei Giardini Vaticani, che per tanti anni ospitavavarie comunità di suore di clausura. Ho incontrato l’arcivescovo Georg Gänswein in un momento particolare – dopo gli attacchi a Benedetto XVI causati dalla pubblicazione di un controverso e inattendibile rapportosugli abusi sui minori nell’arcidiocesi di Monaco, e alla vigilia del 95° compleanno del Papa emerito
di Wlodzimierz Redzioch
– Da giovane Lei voleva diventare un certosino. I monaci certosini vivono nel silenzio contemplativo e nella solitudine e, come dice il loro statuto, «separati da tutti», stanno «a nome di tutti al cospetto del Dio vivente». Ma Lei ha scelto un’altra strada: 40 anni fa venne ordinato diacono e 38 anni fa il sacerdote dall’arcivescovo di Friburgo. Da allora la sua vita di sacerdote si svolge “nel mondo”. Potrebbe ricordare le tappe della sua vita sacerdotale?
Mons. Georg Gaenswein
– Adesso son 37 anni che sono sacerdote: sono stato ordinato nel maggio 1984. E’ vero che pensavo di diventare certosino. Al secondo anno del seminario, insieme con un altro seminarista, siamo andati in una certosa per fare un ritiro. Mi ha affascinato quel mondo che è fuori dal mondo: silenzio, spiritualità profonda, vita nel luogo circondato dal bosco. Prima di tornare al seminario mi sono confessato da un anziano monaco certosino, che mi ha detto: «Prima finisca gli studi. Se il Signore la vuole qui lei tornerà. Se si tratta di un entusiasmo passeggero, lei sceglierà un’altra strada». E alla fine ho deciso di diventare un sacerdote della dicesi da dove provengo, Friburgo in Brisgovia. Se adesso sono qui in Vaticano come segretario del Papa emerito questo non era prevedibile, non era nei miei piani di vita. Tutto succedeva anche se io non pianificavo niente. All’inizio facevo il viceparroco, dopo il vescovo mi ha chiesto di continuare gli studi: ho fatto il dottorato a Monaco. Ho collaborato un po’ di tempo con il vescovo, ma dopo è arrivata una richiesta di lavoro per un certo periodo presso la Curia Romana. E questo periodo non è ancora finito…
– Il suo motto di arcivescovo è Testimonium perhibere veritati (dare testimonianza alla verità). Sono le parole di Gesù rivolte a Pilato: «Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per dare testimonianza alla verità». Anche il motto episcopale di Benedetto XVI, che recita Cooperatores Veritatis, fa il riferimento alla Verità. Perché nel mondo di oggi è così necessario, ma anche così difficile, proclamare la verità?
– E’ vero che il mio motto è molto simile al motto episcopale del card. Ratzinger, che è dalla Lettera di san Giovanni. Studiavo gli scritti del card. Ratzinger e, collaborando con lui come suo segretario, mi ha affascinato il problema della verità. La verità è che Dio è Amore. Ho scelto questo motto come filo conduttore della mia vita. La meta della mia vita, come sacerdote e come vescovo, è servire la verità, dare testimonianza della verità. Perché, come dice anche san Giovanni, la verità ci libererà. La verità ci apre gli occhi, ci immunizza contro le menzogne, contro le “fake news”. Ovviamente ci vuole una sincera volontà di accettare e seguire la verità.
– Il suo ultimo libro, Testimoniare la verità, comincia con questa citazione: «La Chiesa è intollerante nei princìpi, perché crede, e tollerante nella pratica, perché ama. I nemici della Chiesa sono tolleranti nei princìpi, perché non credono, e intolleranti nella pratica, perché non amano». Come mai ha scelto queste parole del domenicano Réginald Garrigou-Lagrange come introduzione del suo libro?
– Ho scelto questa frase perché è molto profonda, ma anche provocatoria. La Chiesa non è un’organizzazione fatta da uomini per raggiungere certi scopi. No, la Chiesa è Cristo che continua a vivere, la Chiesa è la colonna della verità che ha un messaggio, la Buona Novella, che non è inventata dagli uomini. Il suo messaggio è la Parola di Dio, la Rivelazione di Dio. Anche oggi la Chiesa parla all’uomo. Ovviamente, l’uomo è segnato dal peccato originale e nel mondo difficile di oggi deve farsi aiutare dalla Chiesa tramite i sacramenti per trovare la strada verso l’ultima meta della nostra strada, cioè la vita eterna. La frase di Garrigou-Lagrange esprime questa verità in modo provocatorio ed aiuta a riflettere sulla nostra realtà.
– Per il mondo la Chiesa è intollerante nei principi perché ha i dogmi. Per questo motivo il mondo combatte la Chiesa “dogmatica”…
– Potremmo dire che la verità è intollerante nel senso che essa, come contenuto, non cambia. E’ l’uomo che cambia. Nell’agire, nel parlare, nel perdonare, noi dobbiamo essere tolleranti verso l’uomo, ma non verso le sue “verità” personali. La verità è stata data a noi da Dio con lo scopo della nostra salvezza. E questo è lo scopo ultimo dell’annuncio della parola di Dio e dei sacramenti.
– Ultimamente si parla tanto della crisi della Chiesa. C’è chi vuole fare delle riforme radicali, “adattare” la Chiesa alla mentalità del mondo, abolire il celibato, introdurre il sacerdozio delle donne, ecc. Lei invece cita Benedetto XVI che ha detto: «La vera crisi della Chiesa nel mondo occidentale è una crisi di fede. se non giungeremo a un reale rinnovamento della fede, tutte le riforme strutturali della Chiesa si riveleranno inefficaci». Perché non si vuole ammettere che la vera causa della crisi della Chiesa è la crisi della fede?
– Mi sono fatto tante volte questa domanda. Tutte le “riforme” che si chiedono alla Chiesa sono state già sperimentate nelle altre Chiese, per esempio in Olanda e nel Belgio. Ma grazie a queste presunte riforme le Chiese non sono diventate migliori, più forti, più fedeli alla Parola di Dio. Adesso questo si vuole fare in Germania. Sono cose vecchie, che non portano i fedeli alla Chiesa, tutt’altro. Tutte quelle presunte riforme che si vogliono fare in Germania sono state da tempo introdotte nelle Chiese protestanti, ma esse ora non hanno fedeli, non c’è più l’amore per Dio, non c’è più fede. La loro realtà è catastrofica. La vera riforma dovrebbe significare riforma personale, cominciare da se stessi: cercare di approfondire la propria fede, di seguire il Signore, di realizzare più sinceramente nella vita la Sua parola. Guardando nella storia della nostra Chiesa, vediamo i grandi santi che riformavano la Chiesa non attraverso le riforme delle strutture, ma l’esempio della vita santa. La medicina per la Chiesa non è annacquare il messaggio evangelico, ma riscoprire la bellezza della Parola di Dio.
– Lei è stato il testimone privilegiato del pontificato straordinario, anche se osteggiato, di Benedetto XVI. Che cosa significava il suo pontificato nella storia della Chiesa?
– La storia stessa risponderà a questa domanda, magari oggi è ancora presto per dirlo. Nella prima omelia dopo l’elezione, lui ha detto che non aveva un programma di pontificato. Questo voleva dire che Papa Benedetto XVI si faceva lo strumento del Signore e ha messo al centro del suo pontificato l’annuncio di Dio, la predicazione del Verbo di Dio. Tutto quello che la Chiesa può fare è comunicare la bellezza della fede. Per l’uomo moderno la verità e la bellezza sono le cose più importanti, che danno senso alla vita e riempiono il cuore e l’anima.
L’altro aspetto del pontificato di Benedetto è il suo magistero; non soltanto le catechesi, le importanti omelie e discorsi ma anche le Encicliche. Ma vorrei ricordare anche l’opera sulla vita di Gesù, che Benedetto ha scritto non in veste di Papa, ma come contributo personale: questa trilogia è una specie di suo testamento scientifico, spirituale e teologico.
– Chi è per Lei personalmente Benedetto XVI?
– Ci conosciamo personalmente da 26 anni, da quando lavoravo nella Curia. La nostra conoscenza si è approfondita quando, nel 2003, sono diventato suo segretario personale e, dopo l’elezione papale, mi ha confermato come segretario. Ormai da anni è la vita in comune: facciamo quasi tutto insieme e per me è diventata una persona di cui ho una grandissima stima. Lo vedo pregare, lavorare, parlare. È una persona molto mite ed affabile, ma allo stesso tempo di grande fermezza quando si tratta dei principi.
– Ci avviciniamo al 95° compleanno di Benedetto XVI. Come sta il Papa emerito?
– Dovevamo affrontare i brutti attacchi mediatici legati alla pubblicazione del rapporto di uno studio legale nell’arcidiocesi di Monaco. Ma malgrado tutto, lui è rimasto molto sereno. Quel che aveva da dire, lo ha detto in modo onesto e chiaro. Davanti a Dio ha la coscienza pulita. A 95 anni è un uomo molto debole, ma, grazie a Dio, ha una grande chiarezza nella mente. Purtroppo, anche la sua voce è molto debole ed è difficile comprenderlo: ci vuole un po’ d’esercizio. Ma la sua presenza stessa è un messaggio ed una testimonianza che fa bene a noi, che gli stiamo vicini, ed alla Chiesa.
Venerdì, 15 aprile 2022
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L’intervista in polacco è stata pubblicata sul settimanale “Niedziela”