“Oikos”, in greco, vuol dire “casa”. La cancel culture è allora una forma particolarmente radicale dell’oikofobia, ovvero dell’odio di sé che contamina l’Occidente
di Michelangelo Longo
L’oikofobia è stato il cavallo di battaglia del filosofo conservatore Roger Scruton. Coniò il termine per esprimere la repulsione che una parte del mondo occidentale provava (e prova) per se stesso, per le proprie istituzioni, la propria storia, la propria casa (in greco oikos). Nel magnifico libro Sulla caccia paragona questo sentimento alle ribellioni di un adolescente quando la sua famiglia comincia a diventargli stretta.
Dal punto di vista sociale esiste una cultura “oikofobica” per eccellenza, la cultura progressista, che, rifiutando tutto dell’Occidente (i modelli di sviluppo, la storia, la cultura, etc), è approdata al relativismo globale e alla cancel culture. Quest’ultimo passaggio è estremamente interessante: non potendo “riformare” la società, si procede all’eliminazione dei fondamenti culturali e storici. Non è una storia nuova, dai roghi dei libri del nazismo all’eliminazione dei kulaki ucraini da parte dell’Unione Sovietca, gli episodi di cancel culture si sono esplicitati sotto il cappello di diverse ideologie al grido: se la realtà non si piega alla mia idea, tanto peggio per la realtà.
Sebbene Roger Scuton fosse un personaggio eclettico, con svariati interessi filosofici e anche economici (basti ricordare che fu docente di estetica al Birkbeck College, allevatore negli USA, amante del vino), fu un ecologista vero e impegnato, non gli sfuggì mai il fondamento della sua esistenza, quella cultura anglosassone che lo aveva partorito e cresciuto. Non fu teologo, ma non gli sfuggì la domanda principe per un inglese: quale senso avesse la Chiesa anglicana. Non diede una risposta, ma semplicemente si ritenne non all’altezza per affrontare la secolare tradizione della chiesa di Sua Maestà.
Certamente Roger Scruton non era oikofobico, percepiva la decadenza della sua terra, la necessità di affrontare anche i nemici di quell’Occidente che, a cavallo degli anni ’80 e ‘90, lo trattò da paria perché anticomunista e unico intellettuale inglese a sostenere la premier Margaret Thatcher, ma mai si lasciò andare allo zelo amaro, anzi, fondò una società di comunicazione in Cecoslovacchia alla caduta della cortina di ferro e si dedicò all’allevamento dei cavalli nel Nuovo Mondo, prendendosi anche in giro sul ritardo di questa sua tardiva “conversione” al libero mercato, che aveva predicato comodamente seduto da una cattedra universitaria. Amava la sua terra e la sua cultura.
Sembra che oggi l’oikofobia abbia intaccato anche i suoi lettori. Il pensiero che striscia tra i lettori del filosofo conservatore è oikofobico come il pensiero progressista: il mondo in cui viviamo, l’Occidente corrotto e relativista, non vale più la pena di essere vissuto e difeso…Sembra di sentire il ragazzo di 15 anni che si rende conto che la sua famiglia non è perfetta e vuole qualcosa di diverso: se va male, sfascerà tutto.
Ma rimane il figlio dei suoi genitori, frutto del loro amore e delle relazioni che hanno costruito e coltivato. Rimane loro figlio anche quando non saranno più in grado di badare a se stessi, rimane loro figlio anche nell’ipotesi che i genitori abbiano sbagliato tutto nella loro vita che siano stati i genitori peggiori della storia dei genitori. Il figlio quindicenne ha certamente la tentazione di cancellarli dalla loro vita, ma non potrà farlo fino in fondo: nella sua mamma e nel suo papà c’è la sua origine, le sue radici.
L’unica opzione coerente rimane quindi piegarsi sulle piaghe dei propri genitori, sostenendoli e facendo tutto quello che si può, anche quando saranno sfigurati dal tempo e dalle fatiche della vita e non saranno più affascinanti e soddisfacenti, ma magari coricati in un letto e trasportati su una sedia a rotelle.
Noi siamo figli dell’Occidente un tempo glorioso e forte, oggi piagato e affaticato. A differenza degli uomini per cui la decadenza è ineluttabile, le società possono essere rivitalizzate, rifondate, anche dopo pause oscure e dolorose. Credo che la domanda che dobbiamo porci sia questa: vogliamo amare e difendere l’Occidente anche ora, malato e sofferente, o preferiamo fare come il ragazzino adolescente che guarda fuori dalla sua famiglia e pensa che lì ci sia la soluzione della sua insoddisfazione?
Non si può escludere la morte di questa un tempo splendida civiltà, anzi, possiamo già certificarla: ma non potrà nascerne una nuova se non prendendo come un seme i principi fondamentali che la fecero grande.
Mercoledì, 4 maggio 2022