12 mesi dal ritiro delle truppe americane da Kabul, 12 mesi di governo talebano, 12 mesi di silenzio sul popolo afghano
di Silvia Scaranari
Il mondo è stato distratto da un colpo di coda del Covid-19, dalla comparsa del vaiolo delle scimmie, dalla guerra scoppiata in Ucraina e si è dimenticato dell’Afghanistan. All’inizio di agosto una notizia improvvisa – Al-Zawahiri, leader di Al-Qaeda dopo la morte di Osama Bin Laden, ucciso da droni americani nel centro di Kabul – ha riacceso l’attenzione su questo martoriato paese.
L’operazione che ha fatto festeggiare un Biden alla ricerca di successi, in un momento non facile del suo governo, ha messo in grave crisi la gestione del potere talebano, già in difficoltà verso il proprio popolo. Quelli che hanno costruito il proprio potere sulla retorica della liberazione della patria dall’odiato straniero americano, quelli che hanno garantito di non proteggere terroristi di nessun movimento per ottenere la riduzione del blocco del Fondo monetario, si sono trovati improvvisamente il più famoso terrorista tranquillamente in casa e un’incursione di droni del nemico addirittura nella capitale. Difficile spiegare all’uomo di strada questa situazione, soprattutto se questo normale cittadino afghano vive con un’inflazione alle stelle, gli è impossibile trovare lavoro, si è visto tagliare ogni sussidio statale e vive con la paura di non rispettare alla perfezione le rigorose norme dei suoi governanti. L’incidente diplomatico sarà superato, ma restano i disastri di questi ultimi mesi.
Il Governo talebano, entrato in carica lo scorso settembre dopo l’uscita di tutti gli stranieri dal Paese, ha chiuso lo stato in un rigoroso isolazionismo e causato una situazione globale di gravità straordinaria. Per valutare solo la situazione economica, secondo il WFP (Word Food Programm) 22,8 milioni di afghani (su circa 38) soffrono la fame, la moneta locale ha perso il suo valore, tanto da rievocare la drammatica svalutazione del marco nella Germania del primo dopoguerra, i prezzi del cibo aumentano e milioni di bambini soffrono di malnutrizione. A rischio anche migliaia di donne in gravidanza, senza il sufficiente nutrimento per proseguire o per mettere al mondo bimbi sani. La lodevole decisione di vietare la coltivazione di oppio non ha visto un progetto di riconversione dei campi né di rioccupazione dei lavoratori, causando così migliaia di nuovi disoccupati ridotti alla fame.
Altro fronte gravissimo è quello dei diritti umani. Le donne sono state chiuse in casa. In questa situazione è vietato loro di lavorare, anche vendere sul mercato i prodotti del proprio misero orto è considerato sconveniente. Chiuse le scuole per le ragazze (alcune riaperte solo dopo le pressioni internazionali dello scorso inverno), dai 12 anni in su nessuna ragazza può uscire senza accompagnatore maschio, il che rende impossibile frequentare qualsiasi scuola.
E’ stato ripristinato il «Ministero per la soppressione del vizio e la promozione della virtù», già attivo dal 1990 al 2001, che lo scorso 7 maggio ha fornito indicazioni precise sull’abbigliamento: «le donne che non sono né troppo giovani né anziane devono coprirsi il volto, tranne gli occhi, come indicato dalla Shari’a, per evitare di provocare quando incontrano uomini che non siano maharam (parenti stretti)», dice il decreto firmato da Haibatullah Akhunzada, leader supremo dei talebani, «devono indossare un chador, in quanto è tradizionale e rispettoso»!
Vietate attrici nei film e nelle serie tv, mentre le giornaliste sono state obbligate a presentarsi coperte durante le trasmissioni. Le sempre maggiori restrizioni all’abbigliamento televisivo hanno scatenato, lo scorso maggio, una protesta, con due coraggiose conduttrici che si sono presentate a volto scoperto, ma la loro contestazione è durata poco perché subito minacciate di licenziamento. Ritorsione modesta, se confrontata con le reclusioni forzate e le percosse a cui sono sottoposte ragazze e donne non considerate adeguate alle norme. Alcune informazioni riservate riferiscono di calci, pugni, bastonate sul seno e tra le gambe, perché sono zone che non è permesso mostrare a nessuno. E ovviamente, ma non troppo, alle donne è proibito guidare qualsiasi mezzo di trasporto, biciclette comprese, mentre anche la rigidissima Arabia Saudita si è aperta alla patente femminile.
Poiché un proverbio ci ricorda che «piove sempre sul bagnato», l’Afghanistan ha dovuto affrontare anche un violentissimo terremoto. Lo scorso 21 giugno una scossa di magnitudo 6.1 Richter ha colpito l’est dell’Afghanistan e le regioni confinanti del Pakistan nordoccidentale. Mentre la precedente scossa del 2015, – sebbene più violenta, con magnitudo 7.5 – aveva colpito una zona poco abitata, questa volta sono state colpite le città Khost e Paktika e migliaia di case sono crollate in un soffio, causando circa 2000 vittime e migliaia di feriti.
La gravità della situazione si può valutare anche dall’immediata richiesta di aiuti rivolta dal Governo talebano alla comunità internazionale. I nuovi eventi renderanno i talebani più aperti al dialogo o causeranno nuove sofferenze al popolo afghano?
Domenica, 14 agosto 2022