Non votare è un segno di disperazione. La dottrina sociale della Chiesa è il faro che squarcia le tenebre del nichilismo ed indica la strada di un voto veramente utile
di Marco Invernizzi
Vorrei dedicare questo intervento al tema dell’astensionismo previsto alle prossime elezioni del 25 settembre. Secondo la Società Ipsos, il 33,4% degli elettori è orientato ad astenersi, mentre il 10,1% sarebbe indeciso. Si arriverebbe così al voto del 66,6% degli aventi diritto. Alle politiche del 2018 votò il 72,93%, quindi si perderebbe quasi un 7% in più di elettori in quattro anni, una diminuzione costante ormai da diversi decenni (cfr. Corriere della Sera, 9 settembre).
Alle elezioni politiche del 18 aprile 1948 votò il 92,23% degli italiani. Per anni la partecipazione elettorale superò il 90%. A cominciare dal 1979 la partecipazione cominciò a scendere sempre di più, in modo quasi progressivo di elezione politica in elezione politica, mentre nelle amministrative l’affluenza era sempre inferiore. Fu negli ultimi anni del secolo scorso che gli studiosi cominciarono a occuparsi del fenomeno, ormai non più marginale, dell’astensionismo, anche se ancora molto contenuto rispetto, per esempio, ad altre democrazie europee.
Ma oggi, anche dopo il risultato delle ultime amministrative, dove si è scesi nei diversi turni sotto la soglia del 50% di partecipazione (per fare un esempio, al secondo turno delle elezioni amministrative, a Napoli ha votato il 35% degli aventi diritto), il tema diventa importante e meriterà una profonda analisi.
Comincio col dire che comprendo il malessere che spinge l’elettore a non andare a votare, o a votare scheda bianca o nulla. Durante la Prima repubblica i partiti esprimevano le diverse ideologie che si sono combattute per il potere in Europa dopo la Rivoluzione del 1789, a volte sanguinosamente. Il voto era di appartenenza e le percentuali cambiavano pochissimo, se non in conseguenza di cambiamenti ideologici e sociali rilevanti, come per esempio nel 1968. Il non voto era visto anche come la conseguenza del non riconoscersi nelle diverse proposte ideologiche dei partiti.
Oggi non è più così. I partiti hanno perso attrazione perché l’epoca delle ideologie è terminata e si sono trasformati in comitati elettorali al servizio di un leader, che attraggono quasi esclusivamente chi ha degli interessi da difendere o delle ambizioni da raggiungere. Ci sono aspetti positivi nella fine delle ideologie, ma la nuova epoca non è migliore di quella che l’ha preceduta perché è dominata dal relativismo, dalla perdita del senso comune, dal venire meno della speranza, anche di quelle speranze fallaci che erano le ideologie. Da qui la comprensibile disaffezione dell’elettore e l’aumento dell’assenteismo. Siamo così caduti da un male al suo opposto, dal delirio delle ideologie, che sfociava spesso nella violenza, al nichilismo e alla disperazione politica.
Per curare il male di oggi la politica non è adeguata, e il solo pensarlo ci farebbe ricadere nel clima ideologico. La speranza viene da Qualcuno che non è riducibile a nulla di umano, se non alla Sua Chiesa. È quest’ultima, con la sua dottrina sociale, che insegna a cercare e amare il bene comune, non pezzi di verità, come facevano le ideologie e come fanno spesso anche uomini di Chiesa, che per invitare al voto evocano valori certamente importanti, ma poco o nulla attinenti al possibile governo del bene comune da parte della coalizione che vincerà le elezioni.
Il prossimo governo non deciderà, infatti, i destini della pace nel mondo, o della solidarietà universale, o della povertà che incombe nei Paesi del terzo mondo, ma più realisticamente sarà chiamato a decidere, relativamente all’Italia, se salvaguardare (e come) la vita innocente, se mettere la famiglia al centro della vita pubblica investendo su di essa dal punto di vista culturale ed economico, se salvaguardare l’educazione dei giovani proteggendoli, per quanto possibile, dall’ideologia gender e dalla pornografia che possono distruggerli.
La Nota dottrinale sull’impegno e il comportamento politico dei cattolici è stata scritta vent’anni fa (2002) dalla Congregazione per la dottrina della fede con l’approvazione pontificia, ma è ancora valida, andrebbe soltanto aggiornata e ripresentata. Essa aiuta a operare un discernimento che manca nelle comunità ecclesiali e che aiuterebbe l’elettore cattolico a scegliere le priorità. Forse, così facendo, si potrebbe limitare il dilagare dell’astensionismo, almeno quello intra-ecclesiale, previsto per le prossime elezioni al di sopra del 30%, per la prima volta nella storia delle elezioni politiche.
Non si tratta, dunque, di dare un giudizio di moralità o meno nei confronti di chi decide di non votare per mancanza di fiducia nei confronti dei partiti e delle loro proposte. Si tratta, però, di chiedersi se relativamente ai valori fondamentali del bene comune le proposte dei partiti sono tutte eguali, oppure c’è chi promuoverebbe di meglio, seppure sempre con timidezza, riguardo al tentativo di superare l’inverno demografico, la difesa della vita innocente, la famiglia naturale e la libertà dei corpi intermedi e delle persone. E ancora, guardando al passato: i governi di centro-destra, pur con tutti i loro limiti, soprattutto per quanto avrebbero potuto fare, non sono forse riusciti a impedire l’approvazione di quelle leggi che, appena possibile, i governi di centro-sinistra hanno approvato, come per esempio le unioni civili?
Allora non cediamo alla tentazione dell’astensionismo, o del “voto inutile”, magari in nome di una “lotta contro il sistema” velleitaria e confusionaria.
Lunedì, 12 settembre 2022